Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/03/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo "Ecco chi vuole il potere in Iraq ".
Nouri al Maliki
Roma. Celebrato il momento del coraggio iracheno nel giorno delle elezioni, domenica scorsa, ora c’è da capire chi comanderà nel nuovo Iraq. Le linee politiche sono due. Da una parte c’è la visione di un Iraq fortemente centralizzato, dove il nazionalismo prevale sulle divisioni etniche e religiose, il governo di Baghdad tiene a bada la tendenza delle regioni ad andare per contro proprio e l’influenza aggressiva dell’Iran è tenuta per quanto è possibile alla larga. Dall’altra c’è la visione opposta: un Iraq dove il potere sciita prevale sulle ragioni nazionali, dove la riconciliazione con i sunniti è malvista – dopotutto sono loro, la ex cricca di Saddam Hussein, ad avere perso la guerra, e allora che subiscano – e dove le regioni non vedono l’ora di emanciparsi dall’autorità centrale per accomodarsi secondo le vecchie crepe etniche e religiose: curdi rintanati a nord, sunniti sparsi nella fascia centrale del paese e sciiti padroni dello sterminato sud ricco di petrolio, a fare piedino con gli iraniani. Ieri sarebbero dovuti uscire i primi dati – lo scrutinio è al 30 per cento – ma la conferenza stampa sui risultati è finita male, alimentando sospetti: il computer centrale è andato in tilt e gli sciiti dell’Alleanza nazionale irachena – con l’inaffondabile Ahmad Chalabi – hanno contestato rumorosamente i risultati prima che arrivassero, vociando di brogli. Per ora il partito in testa è la Coalizione per lo stato di diritto del primo ministro in carica Nouri al Maliki. Il premier appartiene alla prima scuola di pensiero. Baghdad fortissima e lasciamoci le divisioni religiose alle spalle. Il suo colpo più spettacolare è l’alleanza politica con i sunniti della provincia di al Anbar: lui, premier sciita, nella stessa lista con gli ex guerriglieri che hanno fatto passare l’inferno ai soldati americani e che poi si sono ravveduti. Una convergenza impossibile, come se in Italia si arrivasse al patto elettorale tra Forza Nuova e Rifondazione comunista. Il suo secondo colpo migliore è stato il repulisti contro le milizie sciite di Moqtada al Sadr. Gli osservatori lo avevano preso per un debole, si sono dovuti ricredere. La sua permanenza al potere darebbe continuità, ed è importante in Iraq, dove la stabilizzazione è così lenta e vulnerabile. Ci sono anche lati oscuri: Maliki ha creato un reparto militare che risponde a lui solo e lo usa contro i rivali politici, attirandosi il nomignolo infamante di “Saddam light”. Dietro Maliki, nelle aree a maggioranza sunnita del centro e dell’ovest, potrebbe essersi piazzata la Lista nazionale irachena di Ayad Allawi. Se Allawi diventerà ago della bilancia, la visione nazionalista dell’Iraq sarà ancora più forte. I suoi uomini considerano l’Iran una minaccia e puntano all’alleanza con il fronte arabo, Arabia Saudita, Giordania ed Egitto e probabilmente a diventare parte della Lega araba – un paese a maggioranza sciita sarebbe così iscritto a una Lega dominata dai sunniti. Per Washington sarebbe il finale ideale, dice l’analista americano Juan Cole, un acceso oppositore della guerra: ci sarebbe un governo proamericano – con dentro addirittura un ex asset della Cia come Allawi – desideroso di spegnere l’estremismo e soprattutto di aiutare l’occidente a contenere l’Iran. Ma i lati oscuri sono ancora di più: Allawi è stato nel partito di Saddam Hussein, il Baath, e anche se poi è stato perseguitato – ha ancora le cicatrici dei colpi d’accetta con cui i sicari di Saddam tentarono di eliminarlo – gli sciiti non dimenticano. E poi c’è una storia mai confermata. Nel 2004, una settimana prima di diventare premier ad interim, Allawi avrebbe fatto allineare sei prigionieri al muro e avrebbe sparato loro con una pistola. Contro Maliki e Allawi c’è l’Alleanza nazionale irachena – che include anche Moqtada al Sadr, il capo delle milizie sciite che al momento studia a Teheran per diventare ayatollah. Loro sono all’altro capo dello spettro politico. Filoiraniani e filoayatollah, hanno dalla loro l’altro ex asset della Cia, Chalabi, che ora terrebbe contatti con i padrini di Teheran.
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