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David Braha
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I leader che hanno guidato Israele 11/03/2010

" I leader che hanno guidato Israele "
analisi di David Braha


Ben Gurion (passato), Netanyahu (presente), e per il futuro?

Per buona parte dei suoi quasi sessantadue anni di vita, lo Stato d’Israele ci ha abituato a capi di governo estremamente carismatici, popolari, idealisti. Gente decisa, spesso eroica, che aveva un’idea e la seguiva fino in fondo, ad ogni costo. Ma soprattutto, gente che dava al bene per il proprio paese la precedenza su tutto. Il primo fu David Ben-Gurion, ma anche i suoi successori furono personaggi di spessore non inferiore: basti pensare a Golda Meir, Rabin, Begin, Sharon... Non solo. Ma quasi tutti questi leader avevano un braccio destro o comunque una persona universalmente considerata l’unica alternativa possibile. Peres aveva Rabin, e viceversa; dopo ancora venne Barak. A Begin seguì Shamir, mentre alla fine degli anni ’90 solo Sharon avrebbe potuto succedere a Netanyahu come capo del Likud, cosa che poi effettivamente avvenne. Ma se questi sono stati i leader del passato chi sono quelli attuali, e soprattutto chi potrebbero essere quelli del futuro?

Dopo il suo primo, fallimentare mandato durato dal ’96 al ’99, Netanyahu è tornato nuovamente a capo del governo israeliano nel marzo del 2009 dopo aver rimesso insieme i pezzi del suo Likud, profondamente segnato dalla scissione che ha portato alla nascita del centrista Kadima per mano di Ariel Sharon. Il suo grande merito politico è stato proprio questo: resuscitare un partito rimasto orfano del proprio leader ed abbandonato da gran parte dei suoi membri di maggior rilievo per portarlo, nel giro di tre anni, da schieramento minore di opposizione (nel 2006 il Likud ottenne soltanto 12 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano) a partito maggiore di governo nel 2009. Tuttavia, un recente sondaggio condotto dal quotidiano israeliano Ha’aretz rivela che la popolarità personale del premier, rimasta alta nel corso di tutto il suo primo anno di mandato, ha recentemente registrato una flessione dovuta soprattutto all’effetto degli insediamenti: buona parte dell’opinione pubblica israeliana, e in particolar modo l’elettorato di centro-destra, non ha infatti apprezzato la scelta di Netanyahu di congelare le costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania, una mossa che non pochi hanno interpretato come atto di sottomissione ai diktat dell’Amministrazione Obama. Comunque la diminuzione di consensi nei suoi confronti non sembrerebbe preoccupare Netanyahu oltremodo, in quanto lo stesso sondaggio di Ha’aretz indica che, se la popolarità del premier è in discesa, quella del suo partito è invece in netta ascesa: se oggi si dovessero tenere le elezioni infatti, il Likud ne uscirebbe come il maggiore partito israeliano conquistando circa 35 seggi in Knesset, ovvero ben 8 seggi in più dei suoi attuali 27.

 Se la popolarità personale di Netanyahu è in calo, l’unica alternativa possibile e credibile al premier è e resta Tzipi Livni, leader di Kadima e attuale capo dell’opposizione. Ciò tuttavia non sembrerebbe avvenire tanto per diretto merito della Livni, quanto piuttosto a causa di una seria carenza di leader carismatici e popolari che possano eventualmente prendere il posto di Netanyahu: i sondaggi infatti mostrano che il numero di consensi a suo favore, nonostante sia secondo solo a quello del premier, è rimasto pressoché invariato nel corso degli ultimi mesi. Allo stesso tempo, il partito guidato da Livni, Kadima, sta registrando un calo di popolarità a favore tanto del Likud quanto del partito laburista Avodah. Tale andamento è dovuto principalmente a due fattori. Il primo è la competizione del numero due del partito, Shaul Mofaz, ex capo di Stato Maggiore e ministro della Difesa: nonostante, sempre secondo Ha’aretz, ad oggi soltanto l’11% degli iscritti a Kadima preferirebbe Mofaz a Livni, la sola presenza di un’immagine che metta in discussione la leadership di quest’ultima infatti non sta giovando ne alla Livni stessa, ne tantomeno alla popolarità del partito, che esce indebolito da questa lotta intestina. La seconda ragione invece riguarda piuttosto le scelte personali di Livni e la strategia di opposizione al governo attuata dal suo partito. Sono molti in Israele a rimanere perplessi dalla mancanza di chiarezza nelle altalenanti opinioni della leader di Kadima, la quale in diverse occasioni ha fatto un’affermazione smentendosi poco dopo dichiarando l’esatto opposto di ciò che aveva detto inizialmente. Inoltre tale mancanza di chiarezza è rafforzata soprattutto dalla dilagante sensazione che il cardine della strategia di opposizione di Kadima sia un attacco incondizionato alle scelte e all’operato del governo, con poco spazio per idee ed alternative finalizzate al reale benessere del paese.

 Ma se questo è lo stato di salute dei due maggiori partiti israeliani, gli unici ad avere effettivamente i numeri per mettere insieme e guidare un possibile governo, quello che invece dovrebbe preoccupare veramente l’opinione pubblica israeliana è la questione dei possibili successori. Ad oggi infatti, non sembrerebbero esistere figure di spicco in grado di prendere eventualmente il posto degli attuali leader, tanto nel breve quanto nel lungo termine. Israele ha già avuto esperienza di questo nel suo recente passato quando Ariel Sharon, colpito da un ictus, è stato sostituito dal suo vice Ehud Olmert, una figura politica di spessore nettamente inferiore e molto meno carismatica rispetto al suo predecessore. In Kadima l’attuale unica alternativa a Livni è, come detto, Mofaz, il quale tuttavia gode di una popolarità estremamente limitata all’interno degli iscritti al partito. Mentre per quanto riguarda il Likud i possibili nomi sarebbero quelli di Benny Begin, dei vice-Primo Ministro Silvan Shalom e Morhe Ya’alon, o del ministro dell’Educazione Gideon Sa’ar: tuttavia nessuno di questi sembra convincere fino in fondo l’opinione pubblica. E allora, chi saranno i prossimi? Ad eccezione dell’anziano Shimon Peres, attuale Presidente dello Stato d’Israele, i leoni della cosiddetta “vecchia guardia” sono tutti scomparsi, e al giorno d’oggi lo stato ebraico si trova con una classe politica che appartiene alla sua seconda generazione (basti pensare che Netanyahu è fino ad ora l’unico Primo Ministro israeliano nato dopo la fondazione dello Stato). Ma se già i politici di adesso, con i loro scandali, l’attaccamento al potere in quanto tale, e l’apparente minore attaccamento alla nazione ed ai valori che essa rappresenta, lasciano perplessi gli elettori in cerca di un leader vero in grado di guidare il paese in acque burrascose, cosa dovremmo aspettarci invece dalla futura, terza di generazione? Per il momento sono in pochi a porsi il problema: effettivamente Netanyahu non ha nemmeno superato il suo primo anno di mandato. Ma, Ariel Sharon insegna, nessun leader, per quanto carismatico e popolare, è eterno.


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