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Corriere della Sera - L'Unità - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto Rassegna Stampa
10.03.2010 La visita di Joe Biden vista dal club dei contro-Israele
Ugo Tramballi, Udg, Zvi Schuldiner e il nuovo affiliato Francesco Battistini

Testata:Corriere della Sera - L'Unità - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto
Autore: Francesco Battistini - Umberto De Giovannangeli - Ugo Tramballi - Zvi Schuldiner
Titolo: «Israele, sgarbo a Biden accolto con nuove colonie - Ostaggio degli oltranzisti sta morendo l’anima della mia Gerusalemme - A Gerusalemme Est 1.600 nuove case - Passi indietro sulla porta dell’inferno»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/03/2010, a pag. 18, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Israele, sgarbo a Biden accolto con nuove colonie ", dall'UNITA', a pag. 28, l'intervista di Umberto De Giovannangeli ad Avraham Burg dal titolo " Ostaggio degli oltranzisti sta morendo l’anima della mia Gerusalemme ", dal SOLE 24 ORE, a pag. 10, la cronaca di Ugo Tramballi dal titolo " A Gerusalemme Est 1.600 nuove case ", dal MANIFESTO, a pag. 1-9, l'articolo di Zvi Schuldiner dal titolo " Passi indietro sulla porta dell’inferno". Pubblichiamo in altra pagina della rassegna l'articolo di Aldo Baquis sulla visita di Joe Biden in Israele, una cronaca sostanzialmente corretta.

Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Israele, sgarbo a Biden accolto con nuove colonie "

Battistini si rammarica che nell'agenda di Biden, al primo posto, ci fosse la minaccia del nucleare iraniano. Non è ben chiaro il motivo. Il programma nucleare iraniano rappresenta una minaccia per tutto l'Occidente e Israele. E' logico,  perciò che la priorità fosse quella.
Il titolo dell'articolo è scorretto. La costruzione di nuove case a Gerusalemme non significa colonie nuove. E' una decisione che spetta al municipio e non ha nulla a che vedere con il congelamento imposto da Netanyahu per il fatto che Gerusalemme non è una colonia, ma la capitale unica e indivisibile di Israele.
Ecco l'articolo:


Francesco Battistini

GERUSALEMME — Doveva venire da solo e senza troppa enfasi (tanto che un giornale israeliano s’era chiesto un po’ seccato «perché al Cairo hanno avuto il presidente americano e il suo discorso al mondo arabo, mentre a noi tocca il numero due?»): Joe Biden è atterrato solenne con l’Air Force Two e con signora al seguito, Mrs Jill. Voleva pernottare almeno una notte nei Territori, a Ramallah o a Betlemme (inaudito, anche per un semplice vice): la Cia ha detto che era meglio di no, e l’ha spedito a dormire al David Citadel Hotel di Gerusalemme. Poteva battezzare solennemente i nuovi negoziati indiretti fra israeliani e palestinesi, primo tentativo di dialogo dopo 14 mesi di gelo: per tutto il giorno ha preferito parlare d’Iran, svicolando la questione, per farsi spiazzare la sera dall’annuncio di 1.600 nuove case da costruire a Gerusalemme Est.

La prima visita in Israele d’un Obama Boy non è un successo. In vista del voto di novembre, la presidenza Usa voleva ripulire un po’ di ruggine nei rapporti con gl’israeliani; e gl’israeliani, gongolarsi nel sentire dall’amico americano che c’è una priorità, Ahmadinejad, che «tra Usa e Israele non c’è distanza alcuna quando si parla di sicurezza», che permane l’ «impegno assoluto, totale, senza riserve» nel difendere gl’israeliani... Poi, a freddo, ecco il siluro: Eli Yishai, ministro dell’Interno che non sempre è in linea con Netanyahu, firma la costruzione dei 1.600 alloggi a Ramat Shlomo, un quartiere religioso nella zona occupata di Gerusalemme Est, con un 30% da destinare a «giovani coppie». Proprio qui. Proprio oggi. Biden incassa, tace qualche ora. Che può dire, del resto? Aveva appena liquidato la faccenda palestinese con un generico invito «ad assumersi i rischi della pace, questa è una vera opportunità». Tocca a un portavoce della Casa Bianca condannare per primo la mossa, da Washington: né la sostanza né il momento «sono utili», se si vuole la pace. Finché, a buio inoltrato, non arriva il momento di farsi sentire anche a Gerusalemme: l’ «azione unilaterale» d’Israele, commenta lo stesso Biden, «mina la fiducia necessaria ad avviare i colloqui indiretti per la ripresa del processo di pace. Dobbiamo costruire un’atmosfera per sostenere i negoziati, non per complicarli».

L’argomento non s’esaurirà qui. Il viaggio americano si chiude oggi in Cisgiordania. Il decreto va ratificato entro due mesi, Bibi ha un margine per ripensarci. Impossibile prevedere: dopo l’ok concesso a 112 nuove case in una colonia vicino a Betlemme, qualche giorno fa, il governo israeliano ha stoppato un piano di demolizione del sindaco di Gerusalemme che avrebbe incendiato i quartieri arabi. Netanyahu però ha sempre escluso che la parte Est della capitale potesse finire nel frigo degl’insediamenti. E l’annuncio di Yishai, stavolta, muove proteste ovunque: Abu Mazen chiede l’intervento della Lega araba, Erekat parla di «sistematica distruzione del processo di pace», la sinistra israeliana del Meretz di «tempistica che mira a disturbare la visita di Biden» e gli stessi negoziati.

Il disturbo c’era in partenza, però. La Priorità Iraniana aveva schiacciato la questione palestinese fin dall’agenda del vice-Obama. E se i numeri uno o due dovevano occuparsi degli ayatollah, i «negoziati indiretti» cominciati in queste ore sono parsi subito roba da comprimari. L’inviato Usa sul tema, George Mitchell, non è stato nemmeno invitato all’incontro Biden-Netanyahu. Al tavolo si sono seduti Yitzhak Molcho, per gl’israeliani, e il solito Saeb Erekat. Qualcuno crede a questo rito trito e ritrito? Lo scetticismo è diffuso. Osserva un opinionista israeliano (Nahum Barnea) che ogni mattina Mitchell si sveglia, esce dal suo hotel a Gerusalemme e va a Ramallah ad ascoltare le posizioni del premier palestinese Fayyad; ogni mattina, Fayyad si sveglia nella sua casa di Gerusalemme e va a Ramallah ad ascoltare Mitchell. Questo, da mesi: perché mai dovrebbe cambiare qualcosa, se adesso ad alzarsi la mattina sono i loro numeri due? È l’ora dei Biden, e bisogna accontentarsi.

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : "  Ostaggio degli oltranzisti sta morendo l’anima della mia Gerusalemme"

Avraham Burg, fra i fondatori dell'Ong Peace Now, dichiara riguardo Gerusalemme : "Ora se ne stanno andando anche i moderati, e tutti coloro che non ce la fanno più a “respirare” un’atmosfera cupa, claustrofobica, provocata da chi sta trasformando Gerusalemme in una nuova Teheran...". Gerusalemme come Teheran? Burg ha mai letto un quotidiano in vita sua? Non ci risulta che a Gerusalemme sia in atto la repressione contro chi non ha votato l'attuale governo. Le elezioni israeliane sono democratiche, tanto che anche la cittadinanza araba ha scelto i propri rappresentanti da mandare alla Knesset. Chi fa tafferugli a Gerusalemme sono i cittadini arabi, che non accettano la presenza degli ebrei. Problemi ne creano anche gli ortodossi, ma gli argomenti riguardano l'applicazione della Halachà, quindi tutt'altra cosa.
Nel finale dell'intervista, Udg chiede a Burg : "
Lei accetta ancora l’idea di uno Stato ebraico? " . La risposta di Burg è : "Non può funzionare. Definire Israele uno Stato ebraico è la chiave per la sua fine. Uno Stato ebraico è esplosivo, è un esplosivo". Israele è lo Stato ebraico. Se la zona è esplosiva, bisogna ringraziare i Paesi arabi limitrofi che non ne accettano l'esistenza. Non è Israele a far terrorismo contro di loro, ma l'opposto.
In ogni caso risulta evidente che Burg è in prima linea per quanto riguarda l'odio contro lo Stato ebraico. Infatti ha scelto di diventare francese e vive a Parigi, dove cura i suoi affari.
Ecco l'intervista:


Avraham Burg

Una denuncia che è anche una dichiarazione d’amore per una Città violata. La «sua» città: Gerusalemme. «Guardo con angoscia e sgomento a ciò che Gerusalemme è diventata: la capitale del fanatismo, di un oltranzismo zelota che ha cambiato i connotati della città. Gerusalemme è oggi una città triste che appartiene sempre più ai coloni e agli ultraortodossi». A denunciarlo è Avraham Burg, presidente della Knesset dal 1999 al 2003, già a capo dell’Agenzia ebraica mondiale. Nel 2007 ha pubblicato “Sconfiggere Hitler” (uscito in italiano presso Neri Pozza). Il libro avviauna critica radicale ai fondamenti attuali dello Stato di Israele, alla sua identità collettiva definita, sostiene Burg, quasi esclusivamente in rapporto all’Olocausto. Naturalmente ha causato violente polemiche in Israele ma è anche stato un best seller, ed è stato tradotto in tutto il mondo. Cosa è oggi Gerusalemme? Una città che divide, che emargina, che espelle....». Gerusalemme capitale eterna del popolo ebraico... «Ma lo spirito di quel popolo, a cui appartengo, è violentato da ciò che coloni e ultraortodossi hanno fatto e stanno facendo di Gerusalemme. L’anima di Gerusalemme sta morendo ogni giorno davanti ai nostri occhi. Una volta la giustizia abitava qui. Ora è stata calpestata da coloro che hanno assassinato l’anima di unanazione. Sì, Gerusalemme è stata la capitale del popolo ebraico. Lo è stata nello spirito, prim’ancora che fisicamente: lo spirito di un popolo che aveva giurato che non avrebbe mai fatto ad altri ciò che aveva dovuto subire. Ora le cose non stanno più così. E Gerusalemme incarna un mutamento inquietante. La Gerusalemme ostaggio degli ultraortodossi non mi appartiene, non la sento più mia. Non sento mia una città che assiste ogni giorno al triste, tragico spettacolo di intere famiglie palestinesi costrette a lasciare le loro case. È un silenzioso esodo di massa che dovrebbe indignare e che invece viene accolto con soddisfazione dai tenaci sostenitore della Grande Gerusalemme ebraica. Ma l’esodo forzato non riguarda più solo i palestinesi...». E chi altro? «Penso agli israeliani laici, di sinistra che hanno deciso di lasciare Gerusalemme per l’atmosfera irrespirabile che la pervade.Nonsono più solo i ricchi a lasciare Gerusalemme. Ora se ne stanno andando anche i moderati, e tutti coloro che non ce la fanno più a “respirare” un’atmosfera cupa, claustrofobica, provocata da chi sta trasformando Gerusalemme in una nuova Teheran... La speranza che resta è in quanti hanno deciso di resistere e di non chiudere gli occhi o restare in silenzio di fronte allo scempio di legalità fatta da coloro che si credono, che si sentono i padroni di Gerusalemme. Mi riferisco ai giovani che si oppongono alla demolizione di case palestinesi e che per questo vengono picchiati da una polizia che si dimostra invece molto compiacente quando siha a che fare conipogrom compiuti dai coloni estremisti nei villaggi palestinesi a ridosso di Gerusalemme. Se Gerusalemme avràun futuro è grazie a questi eroi di pace, non certo per il sindaco Barkat e primoministro Netanyahu. Oggi l’umanesimo di Jerusalaim rivive nella protestanon violenta condotta a Gerusalemme Est da giovani israeliani e palestinesi. In mancanza di una leadership di Stato, questi nostri figli hanno deciso di far da sé, di scrollarsi di dosso l’indifferenza. Sono loro la nostra “Onda Verde”. Sono loro a incarnare lo spirito israeliano di giustizia che viene cancellato da politici irresponsabili. Governanti senza morale e senza neanche il coraggio di dire la verità alla gente...». Quale sarebbe questa verità scomoda? «Cari concittadini,nonè possibile tenersi tutto quanto senza pagare un prezzo. Non possiamo tenere una maggioranza palestinese sotto lo stivale israeliano, e al tempo stesso pensare di essere l’unica democrazia del Medio Oriente. Non può esservi democrazia senza uguali diritti per tutti coloro che vivono qui, gli arabi come gli ebrei. Non possiamo tenerci i territori e conservare una maggioranza ebraica nell’unico Stato ebraico al mondo: non con mezzi umani, morali ed ebraici. Volete la Grande Israele? Non c’è problema: basta abbandonare la democrazia. Creiamo nel nostro Paese un efficiente sistema di separazione razziale, con campi di prigionia e villaggi di detenzione. Il ghetto di Qalqilya e il gulag di Jenin. Volete una maggioranza ebraica? Non c’è problema: o mettete gli arabi su autovetture, autobus, cammelli e asini e li espellete in massa, oppure ci separiamo da loro inmodoassoluto, senza trucchi e senza inganni. Una via di mezzo non c’è. Dobbiamo smantellare tutti - tutti - gli insediamenti e tracciareunconfine internazionalmentericonosciuto fra il focolare nazionale ebraico e il focolare nazionale palestinese...». Un linguaggio della verità pesante, molto pesante.... «Ma incommensurabilmente più etico delle falsità somministrate a grandi dosi ogni giorno... Volete la democrazia? Nonc’è problema: o abbandonate la Grande Israele fino all’ultimo insediamento e avamposto, oppure date pieno diritto di cittadinanza e di voto a tutti, arabi compresi. Naturalmente il risultato sarà che quelli che non volevano uno Stato palestinese accanto al nostro ne avrannouno proprio in mezzo a noi, attraverso le urne. Ecco quel che dovrebbe dire un primo ministro onesto al suo popolo... Dovrebbe dire: il tempodelle illusioni è finito, ed è giunto quello delle decisioni. E che la pace non potrà essere a costo zero per Israele. Francamente mi è davvero difficile immaginare Netanyahu, a cui è stata strappata a denti stretti l’accettazione del principio dei due Stati, stringere la mano sul prato della Casa Bianca ad Abu Mazen, magari circondato dai rappresentanti di Hamas reduci da un ennesimo attentato. È difficile credere che dal gioco di veti incrociati e richiami a un passato che risale a oltre 3.000 anni fa, possano emergere quella flessibilità, audacia e lungimiranza necessarie per avviare un negoziato. Resta la speranza in quei giovani che continuano a lottare a Gerusalemme Est: un raggio di luce in un mare di ombre... ». L’ultima domanda ci riporta ad un concetto contenuto nel suo libro “Sconfiggere Hitler”che ha scatenato una bufera di polemiche dentro e fuori Israele. Lo riprende con un interrogativo: Lei accetta ancora l’idea di uno Stato ebraico? «Non può funzionare. Definire Israele uno Stato ebraico è la chiave per la sua fine. Uno Stato ebraico è esplosivo, è un esplosivo».

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " A Gerusalemme Est 1.600 nuove case "

Anche Ugo Tramballi, come Battistini, punta l'attenzione sulla costruzione di nuovi edifici a Gerusalemme, come se fosse quella la notizia importante.
Molto più interessanti le rassicurazioni degli Usa circa il nucleare iraniano e il tentativo di riaprire i negoziati.
Come già scritto sopra, Gerusalemme non è oggetto di trattative. E' la capitale di Israele ed è normale che, con l'aumento della popolazione, sia necessario costruire nuove case.
Ecco l'articolo:


Ugo Tramballi

«Penso che questo sia un momento di opportunità concreta », dice Joe Biden annusando l'aria di un rinnovato processo di pace. Più o meno nello stesso momento in cui al ministero israeliano degli Interni decidono di costruire 1.600 nuove case in un quartiere di Gerusalemme Est che dovrebbe essere arabo. Il già traballante negoziato indiretto promosso dagli americani muore prima ancora d'incominciare.
La sostanza e il timing della decisione, dice in serata la Casa Bianca, «non sono utili al processo di pace». L'annuncio di Israele, rincara Biden, «mina la fiducia necessaria per avviare colloqui indiretti».
«È una politica sistematica per distruggere il processo di pace », constata Saeb Erekat, il presunto negoziatore palestinese. Se era questo l'aiuto che gli Stati Uniti possono dare alla soluzione del conflitto, il vicepresidente Biden poteva anche restare a Washington. Quella che molti considerano una provocazione premeditata, nei tempi e nei modi, è avvenuta quando Biden era già a Gerusalemme. Il giorno prima del suo arrivo il ministro della Difesa Ehud Barak (laburista) aveva ordinato la costruzione di altri 112 appartamenti nell'insediamento ebraico ultra- ortodosso di Beitar Illit. La decisione viola anche il congelamento temporaneo delle attività edilizie deciso da Bibi Netanyahu, il premier. La ragione è una di quelle che non prevedono altre spiegazioni: a Beitar Illit si costruirà «per motivi di sicurezza». Fine.
«Gli Stati Uniti saranno sempredalla parte di coloro che si assumono il rischio della pace », diceva ieri Biden con enfasi. Anche George Mitchell, il negoziatore di Barack Obama, annunciava soddisfatto il risultato della sua navetta fra i leader israeliani e palestinesi: «Sono lieto che abbiano accettato di partecipare ai colloqui indiretti». Conoscendo i suoi interlocutori, Mitchell invitava «le parti a evitare ogni dichiarazione e azione che possano provocare tensioni o pregiudicare il risultato dei colloqui ». Detto fatto.
La figura che gli israeliani stanno facendo fare al loro migliore alleato è penosa. Forse la stanno facendo fare anche al loro primo ministro: le aperture di Netanyahu alla trattativa non piacciono. I nuovi 1.600 appartamenti verranno costruiti nel quartiere ultraortodosso di Ramot Shlomo. Il ministro dell'Interno che ne ha ordinato la costruzione è Eli Yishai, capo dello Shas, il partito religioso dei sefarditi orientali. «Nessun dubbio che la scelta dei tempi non sia casuale», dice Meir Margalit, consigliere comunale di Gerusalemme per la sinistra pacifista di Meretz.
La settimana scorsa i servizi segreti israeliani avevano distribuito al ministro degli Esteri e al corpo diplomatico un'analisi sull'amministrazione Obama. Il presidente, sosteneva, è troppo impegnato in questioni interne che determineranno più dei temi internazionali il futuro del partito democratico alle elezioni di medio termine. Dunque, nonostante le promesse, Obama non farà nulla a favore dei palestinesi e nessuna pressione sugli israeliani. Forse è stata questa analisi a spingere il governo a centrare i colloqui con Biden sul pericolo iraniano - Shimon Peres ha solo chiesto agli Usa di buttare fuori l'Iran dall'Onu senza offrire nulla in cambio sul versante palestinese. Dalla speranza del negoziato perfetto alla disillusione di una nuova rivolta, la linea è retta e breve.

Il MANIFESTO - Zvi Schuldiner : "  Passi indietro sulla porta dell’inferno"


La priorità della visita di Biden era il nucleare iraniano, ma non per il motivo che scrive Schuldiner : " Biden arriva subito dopo la visita del comandante delle forze armate Usa. L’obiettivo di entrambi sembra chiaro: frenare un possibile attacco israeliano al reattore iraniano. La questione iraniana è un incubo regionale. ". Con una frase Schuldiner è riuscio a far diventare la vittima carnefice. Non è più l'Iran a minacciare, ma Israele.
Schuldiner scrive ancora : "
Quando il presidente iraniano ripete le tiritere sull’inesistenza dell’olocausto o sulla necessità di cancellare Israele dalla carta geografica, non fa che alimentare le fiamme che Netanyahu e i suoi alleati vogliono tenere vive ". Ahmadinejad ha dichiarato più volte che la Shoah è un'invenzione degli ebrei e di voler cancellare lo Stato ebraico. Sono le sue convinzioni. Non è possibile classificarle come semplici tiritere e sostenere, poi, che l'unico difetto che hanno è quello di alimentare le " fiamme che Netanyahu e i suoi alleati vogliono tenere vive ". Non è Israele a voler distruggere l'Iran, ma il contrario.
Schuldiner scrive : "
La divisione - inimicizia, quasi odio - interna ai palestinesi permette al governo israeliano di proseguire con una politica tutt’altro che pacifica. Dietro la retorica di Netanyahu sui «due stati» si nasconde una costante espansione, la continua repressione nei Territori occupati, Gerusalemme inclusa, e il brutale accerchiamento nella grande prigione a cielo aperto che è oggi la Striscia di Gaza. ". Le divisioni delle fazioni palestinesi minano i processi di pace. Al governo di Netanyahu (come a quelli precedenti), non interessa la politica espansionistica, ma la pace con i Paesi confinanti. Se questa non esiste, la responsabilità è del terrorismo islamico che ha come unico scopo la distruzione di Israele. Arafat è stato ad un passo dall'avere uno Stato per i palestinesi, ma l'ha rifiutato, convinto di poter ottenere di più (la cancellazione dello Stato ebraico) con la violenza.
Ciò che fa Israele è difendersi e non cedere a tutte le pretese arroganti degli arabi. Ma per Zvi Schuldiner non è abbastanza, evidentemente. Nell'articolo mancano alcune domande fondamentali. Per esempio Gaza viene definita "prigione a cielo aperto". Una domanda interessante sarebbe come mai la popolazione è costretta a vivere in povertà dai terroristi di Hamas quando la comunità internazionale ha stanziato circa un anno fa 4 miliardi e mezzo di $ per la ricostruzione della Striscia? E un'altra domanda potrebbe essere: che fine hanno fatto i fondi? Un'altra domanda, che cosa offrono i palestinesi a Israele nell'ambito dei negoziati di pace? Perchè deve essere solo Israele a cedere senza ottenere nulla in cambio? Abu Mazen ha dichiarato più volte che non riconoscerà mai Israele come Stato ebraico, i leader di Hamas promettono di continuare con gli attentati terroristici. Ma Schuldiner sorvola su questi 'dettagli'.
Ecco l'articolo:

La settimana scorsa il senatore John Kerry, lunedì l’inviato Usa George Mitchell, ora il vicepresidente Joe Biden. Dopo mesi di paralisi seguiti al drammatico discorso del presidente Barack Obama al Cairo, sembra che il processo di pace in MedioOriente torni all’ordine del giorno. Anche se 19 anni dopo la conferenza diMadrid, e quasi 17 dall’avvio del processo di Oslo, con tutte le pressioni degli Stati uniti, tutto quello che israeliani e palestinesi hanno accettato è di avviare una serie di negoziati indiretti. È difficile valutare l’obiettivo reale della visita di Biden in Israele. Tolto il dialogo israelo-palestinese, la questione davvero esplosiva è quella che riguarda l’Iran e i presunti sforzi del presidente Ahmadi Nejad per procurarsi una bomba atomica. Biden arriva subito dopo la visita del comandante delle forze armate Usa. L’obiettivo di entrambi sembra chiaro: frenare un possibile attacco israeliano al reattore iraniano. La questione iraniana è un incubo regionale. Mentre la politica estera israeliana si è fondata su una costante esasperazione del pericolo di un Iran atomico, per la regione tutta Ahmadi Nejad è un pericolo perché appoggia elementi radicali islamici che combattono regimi arabi.Un possibile attacco israeliano non solo non risolverebbe la questione atomica,mascatenerebbe reazioni tali da trasformare l’intero Medio oriente in un inferno. I dirigenti israeliani continuano a giocare sulla politica della paura. Quando il presidente iraniano ripete le tiritere sull’inesistenza dell’olocausto o sulla necessità di cancellare Israele dalla carta geografica, non fa che alimentare le fiamme che Netanyahu e i suoi alleati vogliono tenere vive. La visita di Ahmadi Nejad a Damasco, l’incontro con il leader di Hezbollah, HassanNasrallah, e con i leader diHamas, rafforzano l’immagine di un costante pericolo per Israele. Gli Usa però non vengono solo per frenare Israele sull’Iran. Sanno, come la maggioranza dei leader arabi - inclusa la Siria - che la questione palestinese è la chiave per la calma e la stabilità e temono che la politica israeliana provochi invece una nuova deflagrazione. Il governo di Netanyahu si dichiara favorevole alla soluzione dei «due stati» ma molti credono, con buona ragione, che questo sia solo un artificio retorico. Il governo israeliano dichiara il congelamento delle nuove costruzioni nei Territori occupati, ma manda avanti tutti i progetti di colonie, trasformando Gerusalemme nel punto caldo che provocherà la nuova esplosione. Il sindaco di Gerusalemme e i suoi alleati sono dei veri piromani, il suo razzismo si traduce in un aperto attacco alla presenza palestinese nella città. PerfinoNetanyahu, sotto forte pressione americana, ha insistito perché sindaco evitasse di pubblicare un nuovo piano cittadino il cui elemento chiave era la distruzione di case palestinesi nel villaggio di Silwan, nella parte est (palestinese) di Gerusalemme. Il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas deve aver preso troppo sul serio la retorica americana e ha rifiutato negoziati diretti con gli israeliani. Facendo così un gran favore a Netanyahu, che ha fatto la figura di quello che voleva il dialogo. Questo può confondere gli osservatori sprovveduti, ma non può nascondere il vero problema: i palestinesi sono divisi e la relativa tranquillità in Cisgiordania, o un certo miglioramento economico, non possono essere la base di un reale cambiamento. Ora la pressione di vari leader arabi ha portato Abbas ad accettare negoziati indiretti. I colloqui indiretti sono un enorme passo indietro, e non possono occultare gli elementi di fondo del conflitto israelo-palestinese. La divisione - inimicizia, quasi odio - interna ai palestinesi permette al governo israeliano di proseguire con una politica tutt’altro che pacifica. Dietro la retorica di Netanyahu sui «due stati» si nasconde una costante espansione, la continua repressione nei Territori occupati, Gerusalemme inclusa, e il brutale accerchiamento nella grande prigione a cielo aperto che è oggi la Striscia di Gaza. Parole, cosmetica, formule vaghe non possono preludere a una soluzione reale. Forse è ora che Israele, e l’Europa, si rendano conto della reale dimensione del conflitto e delle sue potenziali, sanguinose implicazioni.

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