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La Stampa Rassegna Stampa
10.03.2010 Joe Biden a Gerusalemme per riaprire i negoziati indiretti fra Israele e palestinesi
Cronaca di Aldo Baquis

Testata: La Stampa
Data: 10 marzo 2010
Pagina: 8
Autore: Aldo Baquis
Titolo: «Nuove case a Gerusalemme. Schiaffo a Biden»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/03/2010, a pag. 8, la cronaca di Aldo Baquis dal titolo " Nuove case a Gerusalemme. Schiaffo a Biden ".

La cronaca di Aldo Baquis è corretta. Non lo è il titolo. Il fatto che vengano costruite nuove case a Gerusalemme non rappresenta uno 'schiaffo a Biden' per un semplice motivo: Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile di Israele, fa parte del territorio di Israele,  e Netanyahu ha specificato fin dall'inizio che il congelamento degli insediamenti per 10 mesi non includeva la capitale.
Ecco l'articolo:


Joe Biden con Bibi Netanyahu

Giunto a Gerusalemme nell’intento di infondere nuovo calore nelle relazioni fra Usa ed Israele e di incoraggiare il premier Benyamin Netanyahu a dar prova di coraggio nei negoziati di pace, il vicepresidente Joe Biden ha subito toccato con mano le complessità della politica locale e del conflitto. Tre ore dopo aver pubblicamente lodato la moratoria israeliana relativa a nuovi progetti edili ebraici in Cisgiordania ordinata da Netanyahu, Biden ha appreso dai notiziari radio serali che il ministero israeliano degli Interni aveva appena approvato la costruzione di 1.600 nuove abitatazioni nel rione ortodosso ebraico di Ramat Shlomo, entro i confini municipali di Gerusalemme ma oltre la storica linea di demarcazione con la Cisgiordania.
Biden ha reagito duramente, dicendo in un comunicato che la decisione «mina la fiducia necessaria per la ripresa del processo di pace». Lo stesso Netanyahu ha manifestato stupore. Il ministero degli Interni, ha spiegato, ha agito a sua completa insaputa. Ma da Ramallah le voci di indignazione non si sono fatte attendere. «Una pura provocazione», ha esclamato Nabil Abu Rudeina, un consigliere del presidente Abu Mazen. «Israele vuole affondare i negoziati prima ancora che siano ripresi». Lo stesso Abu Mazen ha subito telefonato al presidente della Lega Araba, Amr Mussa, e lo ha invitato a prendere provvedimenti «adeguati» con Israele.
Nei giorni scorsi l’emissario statunitense George Mitchell aveva annunciato che molto presto darà inizio a «proximity talks», colloqui a distanza israelo-palestinesi che, in seguito, dovrebbero diventare diretti. Ma con Biden ai dirigenti israeliani premeva affrontare la questione dei programmi nucleari iraniani e la necessità di fermarli con sanzioni il più possibile severe. A fine marzo, ha assicurato l’ospite, il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe approvare una nuova risoluzione.
«Il pilastro delle nostre relazioni - aveva dichiarato Biden al suo arrivo - resta l’impegno assoluto alla sicurezza di Israele. I progressi in Medio Oriente hanno luogo quando tutti comprendono che non c’è alcun spazio fra Israele e Stati Uniti». E per illustrare visivamente il concetto aveva avvicinato le palme delle mani, fino a farle toccare. Da parte sua il capo dello Stato Shimon Peres ha auspicato che l’Iran possa essere messo fuori, almeno moralmente, dalle Nazioni Unite. Un regime come quello di Ahmadinejad «che invoca la distruzione di Israele, che predica il terrorismo e impicca la gente nelle strade» non può essere - secondo Peres - «membro con pieni diritti dell’Onu».

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