lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
09.03.2010 Realpolitik: trattare anche coi criminali pur di raggiungere il proprio obiettivo
Anche con l'Iran che manda a morte un professore di 76 anni? Cronaca di Giulio Meotti, dichiarazioni di Charles Kupchan riportate da Marina Valensise

Testata: Il Foglio
Data: 09 marzo 2010
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti - Marina Valensise
Titolo: «In Iran oggi mi sarei vergognato di morire nel mio letto. Il caso Maleki - Il realista Kupchan ci spiega come è possibile far scoppiare la pace»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/03/2010, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " In Iran oggi mi sarei vergognato di morire nel mio letto. Il caso Maleki ", a pag. 4, l'articolo di Marina Valensise dal titolo " Il realista Kupchan ci spiega come è possibile far scoppiare la pace ", preceduto dal nostro commento. Ecco i due articoli:

Giulio Meotti : " In Iran oggi mi sarei vergognato di morire nel mio letto. Il caso Maleki"


Giulio Meotti

Roma. Agli agenti di polizia che lo stavano arrestando, tre mesi fa, Mohammad Maleki ha detto: “Vi ringrazio, in questi tempi mi sarei vergognato di morire nel mio letto”. Sono state le sue ultime parole da uomo libero. E’ stato trascinato per strada, mentre la polizia gli sequestrava ottanta libri, un computer e il diario privato. Primo rettore dell’Università di Teheran dopo il 1979, Maleki ieri è stato accusato di essere “nemico di Dio” (“mohareb”, nella lingua locale). Il che in Iran equivale a una condanna a morte. Lunga barba bianca, settantasei anni, umanista dall’orgoglio persiano, Maleki aveva denunciato il bagno di sangue nelle università. “E’ una specie di rivoluzione culturale, si vuole creare la paura e stroncare ogni critica”. L’ex rettore ha trascorso le ultime settimane in isolamento, in una cella così piccola che non aveva lo spazio per distendersi. Ad aprile verrà decisa la sua sorte, ma le organizzazioni dei diritti umani parlano già di condanna a morte. Amnesty International ha lanciato un appello per liberare l’anziano professore che ha un cancro alla prostata e soffre di diabete e problemi cardiaci. Ricercatore nel campo della nutrizione, Maleki ha trascorso una vita all’opposizione. Prima contro lo Scià Pahlevi, poi contro la Repubblica Islamica. Nominato rettore dell’università della capitale, dopo appena due anni Maleki venne arrestato nel cuore della notte dalla polizia degli ayatollah per essersi opposto alla “rivoluzione culturale” (l’islamizzazione degli atenei). Condannato a cinque anni di prigione, da allora è entrato e uscito dalle carceri iraniane, è stato espulso dall’università e gli è stato impedito di lasciare il paese e di frequentare conferenze. Maleki ha preso parte alla nascita della coalizione “Solidarietà, democrazia e diritti umani in Iran”, di cui è segretario. I suoi membri chiedono il rispetto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la separazione tra religione e stato, l’eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere, sulla razza, sull’etnia, sulla religione, sulle opinioni, l’uguaglianza di diritti tra tutti i cittadini, nonché la condanna di ogni forma di violenza e tortura. Maleki dal carcere ha fatto uscire come samizdat una lettera agli iraniani. L’ha intitolata “Una goccia è il mare, se è nel mare”. “So bene come brucia il cuore ogni volta che il cavo colpisce la pianta dei piedi o qualsiasi altra parte del corpo”, scrive l’ex rettore. “So bene come la personalità e l’intera esistenza sono scosse e turbate quando si viene condotti bendati nella stanza degli interrogatori e la guardia chiude la porta, e non si può vedere niente e nessuno, lo schiaffo violento dell’interrogante ti fa perdere l’equilibrio, e sbatti con forza sul muro, ti rovesci in terra, ti contorci per il dolore, e senti la voce dell’interrogante che ti rimette in piedi tirandoti per i capelli mentre ti grida oscenità”. In un’altra lettera, Maleki ha fatto autocritica: “La mia generazione pensava che il paese sarebbe tornato a essere la nostra patria una volta che lo Scià fosse stato sepolto. Il motto della mia generazione non era ‘morte al dispotismo’, bensì ‘morte al despota’. E ora abbiamo visto i risultati di questo motto”. L’atto di dissenso più clamoroso però Maleki lo ha compiuto nel 2006. Il presidente Ahmadinejad aveva appena inviato a George W. Bush una lettera in cui lo invitava a risolvere con l’Iran la controversia sull’energia nucleare. Il dottor Maleki rispose con una lettera aperta ad Ahmadinejad: “Non parlerò dei crimini e delle orribili torture delle carceri dello Scià, perché qualsiasi fossero, quelle azioni non erano compiute nel nome di Dio, del Profeta e dell’islam. Ma nella Repubblica islamica sono stato testimone di esecuzioni quotidiane di decine di ragazzi dai quindici anni in su; e c’erano molti che non potevano reggere la pressione e morivano sotto tortura”. In prigione Maleki ha assistito al famoso “giorno del giudizio”. E’ così che lo descrive: “Sono stato testimone dell’impazzimento di centinaia di ragazze che erano state violentate…Spero che un giorno la verità verrà svelata e che tutti possano capire quali crimini strazianti hanno avuto luogo nelle prigioni della Repubblica islamica, nel nome di Dio e della religione”. Già l’esergo della lettera aveva fatto infuriare i pasdaran iraniani. La missiva inizia così: “In nome della libertà, della conoscenza e della giustizia”.

Marina Valensise : " Il realista Kupchan ci spiega come è possibile far scoppiare la pace "


Charles Kupchan

Charles Kupchan sostiene che la realpolitik sia l'unico approccio possibile per raggiungere la pace. Unica eccezione : " A volte il compromesso è impraticabile, come nel caso dei nazisti tedeschi, o nel caso di al Qaida, che mira semplicemente a sterminare il suo avversario ". Insieme ai nazisti e ad al Qaeda, però, Kupchan non mette Stati come l'Iran. A suo avviso, anzi, la minaccia iraniana potrebbe far arrivare a un compromesso palestinesi e israeliani. Kupchan tralascia un 'dettaglio'. L'Iran minaccia Israele, non i palestinesi. E comunque l'obiettivo principale di Ahmadinejad è la cancellazione dello Stato ebraico. Non è diverso da nazisti e da al Qaeda.
Ecco il pezzo:

Venezia. Non è ancora stato pubblicato l’ultimo libro di Charles A. Kupchan, “How Enemies become Friends. The Sources of Stable Peace” (Princeton University Press), ma gli ospiti del seminario Aspen su Europa, medio oriente e Mediterraneo l’hanno ricevuto in dono. Il politologo della Georgetown University era membro del Consiglio di sicurezza nazionale ai tempi di Bill Clinton ed è allora che ha deciso di mettersi a studiare il modo in cui esplode la pace, “un evento spesso trascurato dagli storici”. “Non certo per suffragare la diplomazia di Obama” dice subito, parlando “di coincidenza fortuita”. Il libro comincia con le tribù sull’isola di Manhattan che, esauste dopo decenni di rivalità, trovarono un accordo e vissero in pace sino all’arrivo dei coloni dall’Europa e tocca tutte le punte più alte della pace nella storia, dal Congresso di Vienna al Trattato di Versailles, ma se uno gli domanda se esiste una costante, Kupchan risponde da realpolitiker: “Ogni caso è a sé, ma la pace inizia sempre quando una delle due parti si sente con le spalle al muro e fa un gesto di apertura. Se l’avversario mostra reciprocità, la guerra finisce”. Paradossalmente, anche una minaccia comune può provocare la pace. Per esempio, l’Iran che oggi minaccia l’esistenza di Israele potrebbe avere come conseguenza la pace tra israeliani e palestinesi? “La principale lezione che possiamo trarre dal dibattito tra Bush e Obama – dice Kupchan – è il superamento della contrapposizione tra l’impegno per l’appeasement e il disimpegno in vista di una buona diplomazia. Oggi nessuno pensa più di costringere i palestinesi ad accettare gli insediamenti, ma si cerca di lavorare su un compromesso che garantisca l’interesse comune. A volte il compromesso è impraticabile, come nel caso dei nazisti tedeschi, o nel caso di al Qaida, che mira semplicemente a sterminare il suo avversario”. L’Iran però è diverso: “Sul governo di Teheran, uno dei più aggressivi nella storia dell’Iran, non mi faccio illusioni; ma se davanti all’apertura degli Stati Uniti gli iraniani fossero pronti a compiere un gesto reciproco, sarebbe una buona cosa”. In ogni caso, per ottenere la pace sul fronte esterno bisogna prima vincere l’opposizione interna. “Obama non soltanto deve costruire nuovi rapporti con tipi come Castro, Putin, Bashar el Assad, ma deve trovare un appoggio interno. Se a fine aprile avrà trovato un nuovo accordo con i russi, dovrà ottenere l’approvazione di 67 senatori, ben otto in più rispetto ai 59 democratici. E non sarà facile”. Anche per questo Kupchan, da realpolitiker, non biasima l’accordo militare raggiunto da Nicolas Sarkozy con Mosca per la vendita di due Mistral. “I francesi vanno nella giusta direzione, perché l’Europa ha commesso un grave errore lasciando fuori la Russia dalla costruzione del nuovo ordine di sicurezza del dopo Guerra fredda. Gli Stati Uniti protestano contro la violazione dei diritti umani, ma la cooperazione con la Russia sul controllo degli armamenti, sull’Iran, sull’energia, sulla sicurezza, sul clima è troppo importante per potervi rinunciare”.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT