Sentieri in utopia Martin Buber
a cura di Donatella Di Cesare
Marietti Euro 18
Gog e Magog Martin Buber
Traduzione di Silvia Heimpel - Colorni
Guanda Euro 16.50
Esiste una filosofia ebraica? La domanda non è retorica e nemmeno astrusa, d’altro canto, soprattutto se si fa mente locale al significato originario della parola. L’amore della sapienza fine a se stessa è teoricamente inconcepibile per una tradizione che da sempre fa della conoscenza il cardine della specificità umana, certo, ma solo se finalizzata a un rapporto con il trascendente. Il sapere è insomma una sequenza di tappe nella fede, e anche tutto il procedere ermeneutico dentro la Scrittura non è un puro esercizio intellettuale, bensì la via per capire – o provare a farlo – ciò che Dio ci dice e vuole da noi.
Fatta questa doverosa premessa, è innegabile che il popolo d’Israele abbia conosciuto, praticato e persino innovato le discipline filosofiche sin dai tempi antichi e senza soluzione di continuità, sia in veste di mediatore culturale, come si direbbe oggi, fra Oriente e occidente (prima di tutto di ordine linguistico, attraverso la traduzione di testi), sia chiamando se stesso dentro la filosofia. Ma forse, al di là di questa fertile “appropriazione” della materia che ha dato i suoi frutti nelle voci più diverse (da Filone di Alessandria a Maimonide, da Moses Mendelssohn a Hermann Cohen), è possibile riconoscere qualcosa di specifico, nel fare filosofia ebraicamente: una prospettiva di indagine che parte dal presupposto di trovarsi lungo un confine culturale, in bilico fra due territori.
In questo senso, la filosofia ebraica – o meglio, la filosofia fatta dagli ebrei – è per implicita definizione qualcosa di dialogico, che non può prescindere dal confronto con l’altro da sé, che sia il greco, l’occidentale in senso lato, l’arabo, l’illuminista….E allora, in questa accezione, non c’è sicuramente un filosofo ebraico che incarni questa identità meglio di Martin Buber (Vienna 1875 – Gerusalemme 1965). Buber è stato in realtà un intellettuale dal respiro eccezionalmente largo: narratore, studioso della tradizione, teorico del sionismo ma anche guida politica e spirituale della rinata esperienza nazionale ebraica. Ma è stato soprattutto il filosofo del Tu, il teorico dell’impossibilità di pensare se stessi senza avere di fronte l’altro da sé. E in fondo anche questi “Sentieri in utopia” che Marietti pubblica in italiano a cura di Donatella di Cesare sono imprescindibili dal confronto, storico e religioso.
Buber riflette qui sulle grandi utopie del Novecento e il loro rapporto con l’idea messianica che attraversa tutta la tradizione ebraica e attraverso di essa il pensiero religioso occidentale. Queste pagine sono anche un’indagine sull’uomo in quanto comunità e sulle possibili prospettive future di un mondo in cui la legge politica e lo stato accentratore possano convivere con un principio di aggregazione umana fondata su valori più profondi, sostanzialmente etici. E’ un testo che si pone come un’ermeneutica che passa per Proudhon, Landauer, Marx e altri, ma che in questo scrivere a margine delle parole altrui si mostra coerente con gran parte della produzione buberiana – e di fatto di tutta la cultura ebraica, che procede per accumulo sopra quanto è già stato detto.
Analogo è infatti il procedere di Martin Buber lungo la tradizione chassidica, da lui amata, raccolta e reinventata. Come ad esempio in “Gog e Magog” riproposto da Guanda. Rispetto all’opus magnum dedicato al patrimonio di leggende e narrazioni dell’ebraismo pietista, “Gog e Magog” presenta una sua unità narrativa che tiene insieme gli episodi. Ma non è solo questo a farne un libro unico: anche, certamente, un’inquietudine di fondo che rende tutto più cupo, carico di un’attesa preoccupata.
Il tempo della vicenda è sì quello delle guerre napoleoniche, con la ventata travolgente che esse rappresentarono per tutta l’Europa e anche per gli ebrei. Ma l’atmosfera opprimente, insolitamente buia di queste storie, lascia intendere ben altro, più terribile tempo, che Buber aveva davanti a sé finendo il libro.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa