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Libero Rassegna Stampa
06.03.2010 Souad Sbai avvelenata, 2a puntata, a chi interessa ?
La cronaca di Andrea Morigi

Testata: Libero
Data: 06 marzo 2010
Pagina: 16
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Veleno all'islamica buona, l'attentato all'onorevoleSbai ignorato dai colleghi-E' la tecnica di Al Qaeda per far fuori i nemici»

Su LIBERO di oggi, 06/03/2010, a pag.16, continua l'inchiesta di Andrea Morigi sul tentativo di uccidere l'On. Souad Sbai (PdL) per avvelenamento.  Una notizia che dovrebbe essere su tutti i giornali, invece no, interesse zero. Il cammino verso Eurabia si fa sempre più breve.
Ecco i due pezzi:

Veleno all'islamica buona, l'attentato all'onorevoleSbai ignorato dai colleghi


Souad Sbai                 Andrea Morigi

L’avvelenamento di Souad Sbai paralizza la politica. Anche se la parlamentare italo-marocchina del PdL conferma ad Aki-Adnkronos International la notizia anticipata ieri in esclusiva da Libero «circaun tentativo di avvelenamento da me subito», tutto quel che si nota dai palazzi è l’assenza di messaggi di solidarietà, almeno in pubblico. Tranne Enzo Bianco, che si dichiara «molto preoccupato» per «una parlamentare coraggiosa, una donna che ha dimostrato, con le sue battaglie, come sia possibile un dialogo ed un approccio diverso verso l’islam, nessun altro si esprime. Bianco, leader dei Liberal Pd, si augura «che le autorità competenti mettano in atto ogni azione possibile per individuare e punire i responsabili, perché un gesto gravissimo come questo non si debba più ripetere». Tace il governo. Silenzio assordante anche dalla Camera dei Deputati, di cui la Sbai è membro. Lei stessa preferisce non aggiungere altro «in attesa dell’esito delle indagini», anche perché «dispiaciuta per il fatto che sia uscita la notizia». Si dichiara «comunque fiduciosa nella giustizia e nel lavoro delle forze dell’ordine». Qualche particolare in più lo rivela al sito stranieriinitalia.it, parlando di «sostanze insapori e inodori, già utilizzate in passato dagli integralisti pakistani». È un riferimento preciso, concreto. Non a lontane cronache orientali, quanto all’Italia dell’immi - grazione. Nel 2003 - lo aveva rivelato sempre Libero - Sobia Noreen, 15enne pakistana residente a Palidano, in provincia di Mantova, era rimasta vittima di un avvelenamento dovuto a «frammenti granulosi, cristallizzati, verde smeraldo di origine vegetale», come aveva accertato l’autopsia un anno più tardi. Era rimasta incinta e i genitori le avevano somministrato quella sostanza per ucciderla e vendicare così la lesione dell’onore. In quel caso, si trattava di momordica charantia, estratto di una pianta selvatica comune nei Paesi asiatici e in Africa. E anche i «caustici» ingeriti da Souad Sbai, secondo gli specialisti potrebbero provenire da quelle latitudini. È pur sempre una traccia, dalla quale gli investigatori potrebbero risalire all’importatore e all’acquirente finale. All’interno del mondo islamico, scosso dalla notizia, si guardanobenedal parlarne. Si cerca di sapere di più. Chi è stato, come, quando le hanno offerto quel cous cous mortale? Si teme possa accadere ancora. Chi ha preparato quel composto è ancora libero di agire e, se non era solo, anche i suoi complici sono in circolazione. La prudenza, anche quella delle istituzioni, è più che mai d’obbligo. Soprattutto dopo l’allar - me lanciato, solo pochi giorni fa, dal Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza sul rischio che aspiranti terroristi di Al Qaeda, impossibilitati a raggiungere i teatri di crisi, possano decidere di colpire anche personalità istituzionali o personaggi noti accusati di essere “nemici dell’islam”.

E' la tecnica di Al Qaeda per far fuori i nemici

Tutte le ricette letali per avvelenare i nemici di Allah sono raccolte in un manuale di Al Qaeda, sequestrato nel 2000 a Manchester. Si varia dagli estratti tossici vegetali, dai semi di ricino all’abrus precatorius fino all’estratto di cicuta e all’olio della pinta del Tani, ma in mancanza di sostanze naturali si può ricorrere a composti alcalini altrettanto efficaci, da ricavare dal tabacco e dai germogli di patate. Si spiegano le modalità di preparazione, fornendo anche alcuni consigli su come esporre gli “infedeli” ai loro effetti, senza lasciare traccia. Libero ne aveva pubblicati ampi stralci il 16 settembre 2001, pochi giorni dopo gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, allo scopo di documentare gli esiti dell’ideologia fondamentalista islamica. Da lì a poco, nel febbraio del 2002, era stato scoperto un piano per avvelenare l’acquedotto di Roma con il ferricianuro. Dei quindici immigrati musulmani accusati di voler portare a termine l’atten - tato, diretto in particolare contro l’ambasciata degli Stati Uniti, soltanto uno sarà condannato per ricettazione. Ma i dubbi sollevati dall’indagine rimangono. Non si è riusciti a risalire ai veri protagonisti della vicenda, le cui voci sono state catturate dalle intercettazioni ambientali nella pseudo-moschea Al-Harmini di via Gioberti, al rione Esquilino. Così la tesi dell’accusa crolla. Rimangono le registrazioni che riportano conversazioni in cui si parla di armi, bombe, strage e assassinio. Ed effettivamente un pacco di ferricianuro è stato sequestrato, cosìcome le mappe di condutture idriche e l’orario delle preghiere stampato nella pseudo-moschea di Centocelle, sempre nella Capitale. Sembra essersi arenata anche l’inchiesta più recente, che alla fine del febbraio scorso ha portato all’arresto di cinque militari musulmani statunitensi nella base di Fort Jackson, nella Carolina del Sud. Sospettati in un primo tempo di aver progettato di uccidere tutto il personale della struttura avvelenando la mensa, sono stati “separati” amministra - tivamente dall’Esercito Usa. Avevano soltanto espresso delle minacce, senza mettere in atto il loro piano. Comunque, li hanno congedati e le autorità giudiziarie militari continuano a cercare sui loro computer. Ma, dopo la strage di Fort Hood del 5 novembre 2009, quando un militare musulmano uccise 13 persone e ne ferì 30, il livello di attenzione è particolarmente elevato. E, a quanto pare, la minaccia non è limitata all’America.

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