In attesa dei risultati delle elzioni in Iraq che si terranno il 7 marzo, un segnale arriva dalla sinistra americana, che riabilita George W.Bush: Saddam se lo meritava, come recita il titolo dell'articolo di Antonio Martino su LIBERO di oggi, 05/03/2010, a pag. 17. Peccato che Martino non faccia il nome del giornalista autore della frase contenuta nel pezzo. Troppa diplomazia non giova alla verità.
Ecco l'articolo:
Sempre meglio di Saddam
Il prossimo7 marzogli iracheni torneranno alle urne. Seimiladuecento candidati appartenenti a tutti i gruppi etnici del paese e rappresentanti un buon numero di partiti diversi eleggeranno il nuovo parlamento iracheno. Il settimanale Newsweek, rimangiandosi le sue tradizionali posizioni contrarie all’intervento, riconosce che siamo in presenza di un evento spartiacque che potrebbe inaugurare una nuova era nella storia del massicciamente antidemocratico Medio Oriente. Quei 6.200 candidati, sostiene il settimanale americano di sinistra, «hanno interessi ed ambizioni radicalmente contrastanti, ma nell’ulti - mo paio di anni sono arrivati a considerarsi parte dello stesso club, dove il dibattito politico anche aspro ha preso il posto della guerra civile, e le leggi vengono adottate, anche se lentamente, grazie a compromessi politici non in forza di diktat dittatoriali né su imposizione degli occupanti americani. La classe politica dell’Iraq sta forgiando il proprio sistema, quellocheil generale David Petraeus chiama iraqrazia». Avendovissutodaspettatore diprimafila lavicenda irachena, queste affermazioni di Newsweek sono musica per le mie orecchie. Com’è noto, il nostro Paese non partecipò all’intervento militare contro il regimedi Saddam Hussein,ma inviò un contingente militare forte di tremila unità per partecipare all’opera di ricostruzione. Il forsennato pacifismo militante che impazzava in quegli anni fece del nostro governo il bersaglio dei suoi strali; eravamo responsabili di prendere parte alla “guerra di Bush”, di violare la Costituzione impegnando l’Italia in una guerra e, quando la matta bestialità del terrorismo massacrò diciannove nostri connazionali a Nassiyria, il capogruppo dei deputati dell’ex-PCI-PDS-DS si ritenne autorizzato a dichiarare alla Camera: «La responsabilità morale e politica di questa strage è del ministro della Difesa Martino»! Il Foglio, che richiama l’articolo di Newsweek, molto opportunamente ricorda lo slogan dei pacifisti americani dell’epoca “no blood for oil” (niente sangue in cambio di petrolio), che è oggi del tutto dimenticato per l’ovvia ragione che «si trattava di una bufala: gli Stati Uniti non hanno cavato una goccia di petrolio in più dalla guerra in Iraq». L’articolo della rivista americana ricorda invece l’affermazio ne fatta dal presidente Bush nel novembre 2003 «la democrazia irachena avrà successo e sarà un evento straordinario nella rivoluzione democratica globale ». Ovviamente non sappiamo quali saranno le conseguenze del successo della democrazia irachena sulla situazione interna degli altri paesi dell’area, né possiamo ancora dirci certi che l’Iraq evolverà davvero verso una vera democrazia, ma possiamo in tranquilla coscienza affermare che quel paese è oggi più libero, più democratico e più prospero di quanto sia mai stato in passato. Chiunque creda nella società aperta, libera e democratica dovrebbe imitare il settimanale americano e, a costo di contraddire le tesi sostenute in passato, essere soddisfatto di questi sviluppi, conquistati a prezzo di così tanti sacrifici. Invece, per quanto assurdo possa apparire, mi sono recentemente imbattuto in un noto giornalista che peraltro godedi una buona reputazioneche, con grande sicumera, ha ripetutamente asserito che «gli iracheni stanno meglio, ma noi stiamo peggio». Incuriosito da questa strana nostalgia per un regime sanguinario, tirannico, brutale e corrotto, gliene chiesi la ragione, ottenendo la bizzarra risposta: «Saddam era laico e rappresentava un elemento di stabilità per l’intera regione ». Incredibile: il fine pensatore in questione è evidentemente convinto che il tiranno della guerra all'Iran con un milione di morti, l’invasore del Kuwait, l’uomo che ha ucciso col gas molte migliaia di sciiti, fosse un laico promotore di stabilità! Cos’altro avrebbe dovuto perpetrare per essere considerato invece un fomentatore di crisi? Concedere, con superiore equanimità, che gli iracheni “stavano peggio” sotto il suo regime non mi sembra sufficiente ad assolvere il nostro editorialista per l’insensatezza della seconda parte della sua tesi. Il fatto è che, allora come oggi, esistono molti a sinistra che non riescono a vedere la realtà senza il filtro dell’ideologia: basti pensare a quanti difesero l’inva - sione sovietica dell’Ungheria nel 1956, quella della Cecoslovacchia del 1968, che condannarono la prima guerra del Golfo del 1991 bollandola come la “guerra del petrolio” e che si stracciarono le vesti per la cacciata di Saddam Hussein. Per questo constatare che anche a sinistra c’è chi riesce a riconoscere di essersi sbagliato e a vedere la realtà per come è, anziché per come farebbe comodo alla sua tesi politica che fosse, merita di essere segnalato. Sarebbe stato meglio che il riconoscimento lo avesse fatto il collaboratore del più venduto quotidiano italiano anziché il settimanale americano, ma non si può pretendere tutto.
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