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Turchia: l'opinione di Daniel Pipes 04/03/2010

spett.redazione di IC, vi mando questo articolo di Daniel Pipes uscito oggi sul quotidiano Liberal, credo possa interessare i lettori di informazione corretta. il titolo è " La crisi della Turchia".
cordiali saluti,
Anna Ramelli

L'arresto e la messa in stato d'accusa di alti vertici militari in Turchia la scorsa settimana ha fatto potenzialmente precipitare la più grave crisi mai verificatasi da quando Ataturk ha fondato la repubblica nel 1923. Le settimane a venire probabilmente mostreranno se il Paese continuerà la sua scivolata verso l'islamismo o tornerà al suo tradizionale secolarismo. L'epilogo avrà dappertutto importanti conseguenze per i musulmani. L'esercito turco rappresenta da tempo sia l'istituzione più fidata dello Stato che il garante del retaggio di Ataturk, specie del suo laicismo. La dedizione al suo fondatore non è un mero concetto astratto, ma una parte effettiva e centrale della vita degli ufficiali turchi; come ha documentato il giornalista Mehmet Ali Birand, difficilmente gli allievi ufficiali se ne stanno un'ora senza sentire invocato il nome di Ataturk. In quattro circostanze tra il 1960 e il 1997, l'esercito è intervenuto per accomodare un processo politico andato per il verso sbagliato. Nell'ultima di queste circostanze, esso scalzò dal potere il governo islamista di Necmettin Erbakan. Abbattuti da questa esperienza, alcuni membri dello staff di Erbakan fondarono il più cauto Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp). Che nelle decisive elezioni turche del 2002 passò avanti i partiti centristi screditati e frammentati, conquistando una maggioranza relativa del 34 per cento dei consensi.

Le norme parlamentari poi trasformarono quella maggioranza in una maggioranza assoluta dei seggi parlamentari del 66 per cento e in un raro caso di governo monopartitico. Non solo l'Akp è riuscito abilmente a trarre profitto dalla sua opportunità di porre le basi di un ordine islamico, ma non è apparso alcun altro partito o leader pronto a sfidarlo. Ne conseguì che nelle consultazioni elettorali del 2007 l'Akp accrebbe la sua porzione di voti, ottenendo un eclatante 47 per cento, e il controllo di oltre il 62 per cento dei seggi parlamentari. I ripetuti successi elettorali dell'Akp lo hanno incoraggiato ad abbandonare la sua iniziale cautela e ad accelerare il traghettamento del Paese verso la realizzazione del suo sogno di costruire una Repubblica islamica di Turchia. Il partito ha posto dei suoi fautori in seno alla Presidenza e alla magistratura, assumendo un maggior controllo nell'ambito dell'istruzione, delle imprese, dei media e di altre importanti istituzioni. Esso ha sfidato perfino il controllo dei secolaristi su ciò che i turchi chiamano "lo Stato profondo" – organismi come le agenzie di intelligence, i servizi di sicurezza e la magistratura. Solo l'esercito, arbitro supremo della direzione del Paese, è rimasto fuori dal controllo dell'Akp. Diversi fattori hanno indotto l'Akp ad affrontare l'esercito: le richieste di adesione all'Ue per il controllo sull'esercito; un caso giudiziario del 2008 che stava per far chiudere i battenti dell'Akp; e la crescente assertività del suo alleato islamista il Movimento di Fethullah Gülen. Un'erosione nella popolarità dell'Akp (dal 47 per cento del 2007 è passato al 29 per cento di oggi) ha aggiunto una sensazione di impellenza a questo scontro, poiché esso punta a porre fine al ruolo monopartitico dell'Akp alle prossime elezioni.

Nel 2007, l'Akp ideò un'elaborata teoria del complotto, ricollegabile a Ergenekon, per arrestare circa duecento persone critiche dell'operato dell'Akp, inclusi ufficiali militari, con l'accusa di cospirazione volta a rovesciare il governo eletto. L'esercito reagì passivamente, così il 22 gennaio l'Akp alzò la posta ordendo una seconda teoria del complotto, un piano denominato Balyoz (Mazza) e diretto esclusivamente contro l'esercito. L'esercito negò ogni attività illecita e il Capo di stato maggiore İlker Başbuğ, disse: «La nostra pazienza ha un limite». Ciononostante, il governo procedette, a partire del 22 febbraio, ad arrestare 67 ufficiali in servizio e in pensione, inclusi ex-capi dell'aeronautica e della marina militare. Finora sono stati incriminati 35 ufficiali. Pertanto l'Akp ha lanciato una sfida, lasciando alla leadership dell'esercito fondamentalmente due opzioni non allettanti: continuare ad accettare l'Akp e sperare che delle eque elezioni nel 2011 porranno fine a questo processo e lo ribalteranno; oppure preparare un colpo di stato, col rischio che gli elettori reagiranno violentemente e che aumenti la forza elettorale islamista. Il rischio potrebbe essere che offensive del tipo Ergenekon/Balyoz riusciranno a trasformare l'esercito da un'istituzione ataturkista ad una gülenista; oppure che il palese inganno dell'Akp spronerà i secolaristi a trovare la loro voce e la fiducia. In definitiva, la questione è la seguente: la sharia (la legge islamica) vigerà in Turchia o il Paese farà ritorno al secolarismo? L'importanza islamica della Turchia denota che l'esito di questa crisi avrà ovunque delle conseguenze per i musulmani. Il fatto che l'esercito sia dominato dall'Akp sta a significare che gli islamisti controllano la più potente istituzione secolare dell'umma, dimostrando che, per il momento, essi sono inarrestabili. Ma se l'esercito mantiene la sua indipendenza, la visione di Ataturk rimarrà viva in Turchia e offrirà al mondo musulmano un'alternativa alla valanga islamista.


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