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Il Foglio Rassegna Stampa
04.03.2010 Perché il gran capo della polizia di Dubai è così efficiente. Contro Israele
Analisi del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 04 marzo 2010
Pagina: 1
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Perché il gran capo della polizia di Dubai è così efficiente. Contro Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/03/2010, a pag. 1-3, l'articolo dal titolo "Perché il gran capo della polizia di Dubai è così efficiente. Contro Israele".


Dahi Khalfan Tamim, capo della polizia di Dubai

Gerusalemme. Occhiali tondeggianti e baffi curati, che hanno sostituito il pizzetto sfoggiato nella fotografia che appare sul suo sito internet, il generale Dahi Khalfan Tamim, da potente ma sconosciutissimo capo della polizia di Dubai, si è trasformato in poche settimane in una star mediatica panaraba. In realtà, la sua inchiesta sull’appassionante spy story sorta attorno all’assassinio del leader di Hamas Mahmoud al Mabhouh – avvenuta il 19 gennaio scorso proprio a Dubai, in una stanza dell’hotel al Bustan Rotana, a opera di un commando di almeno quattordici persone – è seguita con attenzione in tutto il mondo. Tamim ha stupito tutti esibendo l’efficienza del corpo di polizia da lui guidato. Ha individuato 26 agenti segreti che ritiene implicati nell’azione, ha diffuso i video girati dalle telecamere dell’albergo, ha rivelato le sue scoperte sui passaporti falsi utilizzati dai killer, ha mostrato le loro fotografie e ha spiegato i “trucchi” che hanno probabilmente impiegato. Tamim ha fatto di tutto per mostrare al mondo la rapidità e la trasparenza della propria azione, cercando di scardinare ogni pregiudizio, perlopiù fondato, sull’opacità e la lutulenta inefficienza comune alle polizie di quasi tutti i paesi arabi. Il generale ha dichiarato che le probabilità che il Mossad sia responsabile dell’omicidio sono il 99 per cento, per non dire il 100. Sulla base del sospetto che i presunti agenti dei servizi segreti di Gerusalemme abbiano “preso in prestito” le identità di cittadini israeliani che hanno anche un’altra cittadinanza, Tamim ha assicurato che d’ora in poi le guardie di frontiera porranno attenzione nell’individuare e respingere gli israeliani che si dissimulano mostrando un altro passaporto, vero o posticcio. E ha auspicato che al più presto i doganieri di Dubai sfruttino le risorse tecnologiche più avanzate per vagliare con uno screening assai meno permissivo chi entra nel paese. Compiaciutissimo per l’efficienza dimostrata dai suoi uomini, Tamim, parlando con il quotidiano Asharq al Awsat, ha sarcasticamente offerto al Mossad il tutoring della polizia di Dubai, qualora i servizi segreti israeliani volessero modernizzare le loro tecniche di travestimento e contraffazione delle identità. “Il Mossad sta utilizzando metodi vecchi di 20 anni. Il modo in cui il team ha operato è stupido e ingenuo. Stanno ancora usando le parrucche!”, ha spiegato Tamim. Da ultimo, il capo della polizia di Dubai ha puntato ben più in alto e ha chiesto che la magistratura spicchi un mandato di arresto per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e per il capo del Mossad, Meir Dagan. Tamim, che alterna pluridecorate uniformi militari corredate di cappello con visiera ad abiti tradizionali del Golfo, ha già risolto altri casi rilevanti, come l’assassinio della sua omonima Suzanne Tamim, celebre cantante libanese uccisa a Dubai per ordine di un supermiliardario egiziano, amante deluso. Ma è soprattutto sfoggiando rigore nei confronti delle massime autorità di Gerusalemme che il capo della polizia di Dubai si è conquistato molti commenti laudatori, postati dai lettori sui siti dei principali media arabi. Al di là della notorietà e degli applausi che si è conquistato in medio oriente, l’obiettivo principale e più ambizioso di Tamim – e soprattutto delle autorità di Dubai – sembra però essere il salvataggio dell’immagine dell’emirato. Non è ancora chiaro per quale motivo Mahmoud al Mabhouh avesse deciso di volare da Damasco, dove viveva da anni, a Dubai: su questo l’efficientista indagine della polizia locale non ha fatto luce. D’altra parte, al Mabhouh era considerato un ufficiale di collegamento tra Hamas e l’Iran e non è un mistero che per Teheran l’emirato costituisca una porta di accesso al resto del mondo e, all’occorrenza, una comoda piattaforma per tentare di aggirare le sanzioni Onu. Finora Dubai, pur duramente colpita dalla crisi e aggrappata al necessario aiuto finanziario garantito da un altro degli Emirati Arabi Uniti, Abu Dhabi, ha cercato di accreditarsi come un’oasi posta al centro delle turbolenze mediorientali. Una specie di porto franco e di centrale commerciale-finanziaria con velleità elvetiche di sostanziale neutralismo. Luogo di turismo a metà tra Las Vegas e Disneyworld, pacchia per chiunque abbia tanti soldi da spendere, porto sicuro per chiunque voglia triangolare affari mercantili e finanziari, meta frequente anche dei businessmen israeliani, luogo finora immune da attentati terroristici, emirato incline a un silenzioso basso profilo sui conflitti dell’area (improntato perlopiù al “guardare da un’altra parte”), Dubai vuole difendersi da chi pensa che il locale laissez-faire possa essere interpretato come un via libera dagli stati che vogliano attuare regolamenti di conti lontani dai propri confini. Per preservare il proprio status quo, però, Dubai necessita di perfetto equilibrismo e l’indurimento dell’atteggiamento nei confronti di Israele rischia di suscitare un contraccolpo indesiderato, e cioè un eccessivo e troppo scoperto scivolamento verso l’Iran che metterebbe in pericolo le credenziali finora offerte dall’emirato all’occidente.

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