Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 04/03/2010, a pag. 12, l'intervista di Ugo Tramballi a Salam Fayyad dal titolo " Pronti all'indipendenza entro il 2011 ".
Salam Fayyad
Fayyad afferma nel corso dell'intervista di essere pronto a dichiarare l'indipendenza dello Stato palestinese unilateralmente entro il 2011.
A suo avviso, se i negoziati non procedono, la colpa è del governo Netanyahu. Che importa se, come gli fa notare persino l'intervistatore, Netanyahu ha messo in pratica ciò che aveva promesso (il congelamento degli insediamenti) e se, come facciamo notare noi, l'autorità palestinese non ha offerto nulla in cambio, salvo proteste e recriminazioni.
Comunque Fayyad non può dichiarare l'indipendenza dello Stato palestinese unilateralmente perchè la decisione non spetta solo all'Anp, ma anche alla comunità internazionale. E' per questo motivo che ci sono i negoziati con Israele. Per non parlare di Hamas, che ne pensa Fayyad ? un altro stato palestinese ? dire che è un " problema delicato" non risolve la situazione.
Ecco l'articolo:
«Vogliamo solo dimostrare di essere pronti ad essere indipendenti » dice Salam Fayyad, volenteroso primo ministro di un'ipotesi,quasi sillabando «stato- palestinese-indipendente». Sembra un sogno anche se se ne parla e si lotta da un'ottantina d'anni. Ma è proprio ciò che Fayyad sta facendo nella Cisgiordania occupata: giorno per giorno, istituzione dopo istituzione.
Ieri sera la Lega Araba ha autorizzato i palestinesi a tornare al negoziato di pace con Israele: trattativa indiretta con gli americani come messaggeri, per non più di quattro mesi. I palestinesi rifiutano il dialogo fino a che gli israeliani non congeleranno la costruzione degli insediamenti ebraici in tutti i territori occupati. Anche se il presidente Abu Mazen dirà di si, il negoziato non farà grandi progressi: ritornerà al 1992, prima di Oslo, quando i nemici ancora rifiutavano di parlarsi direttamente.
«È un uomo serio: parla responsabilmente ». Se lo diceva perfino Ariel Sharon, qualcosa di vero ci deve essere. Fayyad, 58 anni, avrebbe dovuto venire oggi a Milano per incontrare governo e imprenditori italiani. Ci saranno invece il ministro dell'Economia Hassan Abu Libdeh e alcuni altri ministri dell'Autorità palestinese. L'iniziativa è organizzata dalla Farnesina, da Promos, dalla Regione Lombardia e dal Centro italiano per la pace in Medio Oriente.
I palestinesi vogliono "vendere" nel mondo il loro progetto di
nation building in corso d'opera. Fayyad è già stato al World Economic Forum di Davos, alla Casa Bianca, a Bruxelles. È stato anche alla conferenza di Hezliya dove ogni anno si riunisce il potere politico ed economico israeliano. Ad agosto il governo palestinese aveva adottato un "piano di costruzione statale". Ma i lavori sono incominciati da tempo: c'è già una polizia che funziona,l'ordine è tornato in città come Nablus e Jenin. Jihad al-Wazir, figlio di Abu Jihad, l'uomo che creò Settembre nero, sta facendo funzionare l'Autorità monetaria, nucleo della futura Banca centrale: secondo il Fondo Monetario Internazionale è l'istituzione finanziaria più trasparente del Medio Oriente arabo. La crescita dell'economia palestinese, almeno quella della Cisgiordania lontana dalla striscia di Gaza di Hamas, è essenziale. Per questo serve l'aiuto dei tradizionali paesi donatori come l'Italia. Ma rispetto al passato la Palestina non è un soggetto passivo. «È decisivo mostrare che abbiamo un processo politico forte abbastanza per sostenere l'aiuto economico e finanziario internazionale», dice Fayyad.
È tuttavia difficile nascondere agli investitori che la Palestina sia ancora un'ipotesi sotto occupazione...
È vero. Creare istituzioni nazionali ha senso se politicamente si va verso la fine dell'occupazione israeliana: se si pensa allo stato palestinese e non ci si adatta a uno stato di occupazione.
L'amministrazione Obama aveva iniziato pensando a uno stato palestinese, ora è distratta da altro.
Abbiamo motivo di essere preoccupati, non scoraggiati. Ma non posso negare il nostro disappunto. Israele continua a rifiutare i suoi obblighi fissati dalla Road Map con l'appoggio americano.
In realtà Bibi Netanyahu ha congelato parzialmente gli insediamenti nei territori occupati. Ora sono i palestinesi a rifiutarsi di tornare alla trattativa.
La comunità non ha cambiato opinione sugli insediamenti. Sostiene però che la moratoria proposta da Netanyahu sia sufficiente per riprendere il dialogo. Ma gli israeliani continuano a costruire esattamente dove dovrebbe nascere lo stato palestinese. Come possiamo avere fiducia? Come facciamo a far venire gli investitori in queste condizioni?
Tuttavia è Bibi che sta facendo bella figura.
È vero, questo è il problema. Ci stiamo lavorando.
Costruendo istituzioni senza uno stato?
Ci sono due percorsi. Uno è essenzialmente politico, la trattativa di pace. L'altro è principalmente politico, la creazione di istituzioni di standard internazionale. Realizzare il secondo può dare un orizzonte al primo, il percorso negoziale. L'idea è creare le condizioni per un cambiamento positivo per la fine del 2011: se il processo di pace non avrà prodotto la fine dell'occupazione vedrete una Palestina comunque capace di governarsi.
Entro il 2011 raggiungerete la capacità tecnica di governarvi o proclamerete l'indipendenza?
Saremo pronti a governare uno stato, la proclamazione è un'altra faccenda. Anche se noi saremo pronti a dichiararla: la cosa non è di poco conto.
Ma la Palestina è divisa: Hamas a Gaza, voi a Ramallah.
Questo è un problema serio che certamente mina il nostro lavoro. Ma noi non perdiamo la fiducia.
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