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Il Manifesto Rassegna Stampa
04.03.2010 Sguazzare nell'Apartheid-week contro Israele
Solo Michele Giorgio e Danilo Zolo possono riuscirci

Testata: Il Manifesto
Data: 04 marzo 2010
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio - Danilo Zolo
Titolo: «Parola d’ordine: stop apartheid - Salviamo l’università e la cultura palestinese»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 04/03/2010, a pag. 8, gli articoli di Michele Giorgio e Danilo Zolo titolati " Parola d’ordine: stop apartheid " e " Salviamo l’università e la cultura palestinese ".

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la Polemica di Giorgio Israel di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna.

I due articoli sono favorevoli alla Apartheid-week.
Michele Giorgio riporta le dichiarazioni dei quotidiani israeliani e le reazioni di Israele. E' ovvio che per Giorgio la stampa israeliana dovrebbe appoggiare con entusiasmo questa pagliacciata antisemita e si stupisce che non sia così. Al solito per gli odiatori di Israele, lo Stato ebraico non dovrebbe esistere. Dato che c'è, dovrebbe almeno permettere a chiunque di cercare di distruggerlo.
L'articolo di Danilo Zolo, invece, si focalizza di più sul perchè sia giusto (a suo avviso) prendere parte alla Apartheid Week. Come già ribadito ieri sul Corriere della Sera nella cronaca di Antonio Carioti, l'iniziativa non sarebbe volta a boicottare le università israeliane ma a "
aiutare le nuove generazioni palestinesi a raggiungere in assoluta autonomia un livello “normale” di scolarizzazione e acculturazione universitaria, nonostante l’occupazione, l’assedio e la repressione in corso ".
Se le università palestinesi sono in cattive acque, la responsabilità non è di Israele, ma di chi le amministra. Israele non sta reprimendo nessuno. Le università palestinesi, poi, non vengono gestite da Israele. Zolo dovrebbe rivolgersi all'Anp e ad Hamas. Magari per chiedere loro che fine fanno i fondi che ogni anno vengono investiti per i palestinesi, dato che poi negli articoli di giornale si legge che vivono in condizioni di povertà assoluta, nonostante i miliardi stanziati dal resto del mondo per loro.
Zolo e Giorgio tentano di far passare l'Apartheid-Week per una cosa che non è: una manifestazione per aiutare gli studenti palestinesi in difficoltà. Di base è un invito a boicottare Israele e le sue università per il solo fatto che sono israeliane. Un'iniziativa antisemita e contro la libertà di pensiero che poteva venire reclamizzata con tanto entusiasmo solo sulle pagine di un quotidiano come Il Manifesto.
Ecco i due pezzi:

Michele Giorgio : " Parola d’ordine: stop apartheid "

Èscesa in campo addirittura l’Agenzia ebraica per contrastare conferenze, sit-in, attività culturali ed artistiche legate alla sesta «Israel apartheidweek» (Iaw), l’iniziativa internazionale annuale, cominciata il primomarzo, che denuncia la politica israeliana verso i palestinesi - paragonandola alla segregazione razziale che i bianchi attuavano nei confronti dei neri in Sudafrica - in 40 università e 50 città del mondo oltre che nei centri arabo israeliani e, naturalmente, nei Territori occupati. Dopo i risultati ottenuti lo scorso anno dalla campagna internazionale «Bds» (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) di boicottaggio di Israele, le autorità dello Stato ebraico seguono ora con attenzione i consensi che l’Iaw sta raccogliendo tra studenti e docenti nelle università occidentali e l’attivismo che ha messo in moto in Europa, anche in Italia, in particolare a Pisa, Roma e Bologna. Nella città toscana domani verrà lanciata un’iniziativa nazionale di accademici italiani per il diritto allo studio del popolo palestinese che, tuttavia, non invoca il boicottaggio accademico di Israele – sul quale insistono altre organizzazioni che denunciano la partecipazione di atenei e centri di ricerca israeliani a produzioni belliche e politiche di occupazione militare - ed esorta i docenti italiani ad avviare relazioni privilegiate con le università in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. «Il paragone tra Israele e l’apartheid sudafricano è senza alcun fondamento », ha tuonato il presidente dell’Agenzia ebraica, Natan Sharansky accusando di «antisemitismo» i promotori dell’Iaw. L’obiettivo dell’Agenzia ebraica, ha spiegato Sharansky, «è quello di impedire che i nemici possano allontanare gli ebrei da Israele». Da parte loro i giornali israeliani, ad eccezione (parziale) del liberal Haaretz, sparano sull’Iaw – descritta dal notista di Maariv Ben-Dror Yemini come un tentativo di rilanciare, in altre forme, la conferenza di Durban sul razzismo – e puntano l’indice contro i cittadini israeliani che vi prendono parte, come l’economista Shir Ever (impegnato ad Amsterdam) e il docente di antropologia Jeff Halper (a Glasgow). «I gruppi che promuovono la Iaw puntano a un solo obiettivo, il completo isolamento internazionale di Israele come Stato razzista che pratica l’apartheid. Non possiamo accettare queste iniziative e le accuse che ci vengono rivolte, specie quando a farle sono cittadini del nostro paese», ha protestato il professor Gerald Steinberg, dell’università ultraconservatrice di Bar Ilan. Altri esponenti della destra hanno messo in rilievo la «partecipazione indiretta » all’Iaw di istituzioni internazionali, citando, ad esempio, la proiezione aGaza del film di animazione «Fatenah » prodotto dall’Oms che racconta la storia (vera) di una giovane donna gravemente ammalata e deceduta per non aver potuto andare all’estero a curarsi a causa dell’assedio israeliano di Gaza. A dare un forte impulso alla Iaw e altre campagne internazionali a favore dei diritti del popolo palestinese, sono state le conseguenze della devastante offensiva israeliana «Piombo fuso» contro Gaza (1.400 palestinesi uccisi, almeno 5mila i feriti emigliaia di abitazioni distrutte o danneggiate).Un’operazionemilitare segnata da «crimini di guerra» contro la popolazione civile di Gaza secondo la denuncia del giudice sudafricano Richard Goldstone, incaricato dal Consiglio per i Diritti Umani, contenuta in un rapporto approvato alla fine dello scorso anno dall’Onu. Un’inchiesta che il governo e gran parte dei media israeliani hanno contestato duramente, al punto da prendere di mira anche le Ong e i centri per i diritti umani ebraici che avevano fornito la loro collaborazione alle indagini. In risposta allo sdegno delle autorità governative contro l’Iaw, ieri il poeta arabo israeliano, Salman Masalha, ha ricordato su Haaretz le pesanti discriminazioni alle quali è soggetta la minoranza araba nello Stato di Israele, sottolineando l’esistenza di comunità «soltanto per ebrei». «Questo è il solo paese democratico del mondo dove 1/5 della popolazione (gli arabi) che sulla carta gode degli stessi diritti (della maggioranza), non ha rappresentanti (dei suoi partiti) al governo», ha sottolineato Masalha. Dal Canada, uno dei paesi dove l’Iaw è maggiormente attaccata dai filo- israeliani, il noto commentatore Thomas Walkom smentisce che i dibattiti in corso nell’ambito della «settimana » abbiamo un contenuto antisemita. «La Iaw è controversa? Sì. È sbilanciata da un lato? Sì. Ma non è antisemita, a meno che non si voglia per forza pensare che criticare Israele sia un attacco a tutti gli ebrei», ha scritto Walkom sul Toronto Star.

Danilo Zolo : " Salviamo l’università e la cultura palestinese "


Danilo Zolo

Un gruppo di docenti universitari e di ricercatori italiani, sensibili alla situazione universitaria e scolastica delle nuove generazioni palestinesi, hanno lanciato una originale iniziativa che sta sollevando notevole interesse. L’iniziativa viene presentata questa settimana da docenti delle Università di Firenze, Pisa e Milano: Angelo Baracca, Giorgio Gallo, Martina Pignatti e Giorgio Forti ne sono i principali promotori. L’occasione è offerta dall’Israeli Apartheid Week, che è una campagna di denuncia delle discriminazioni alle quali è soggetto il popolo palestinese. Sia nei territori occupati, sia in Galilea, la situazione è molto grave, come dichiarano centri di ricerca non solo palestinesi, ma anche israeliani, come B’Tselem, il Centro israeliano che documenta le violazioni dei diritti umani nei territori occupati. Il livello culturale e scientifico nelle 11 università palestinesi è stato fortemente condizionato dalla situazione politica, economica e istituzionale dei territori occupati e dalle violenze dell’esercito israeliano. In termini di perdita di vite umane, dall’ottobre 2000 al giugno 2008, circa 650 studenti sono stati uccisi, 4800 feriti e oltre 700 imprigionati. Tra i docenti, 37 sono stati uccisi, 55 feriti e 190 reclusi. Altrettanto gravi sono stati i danni bellici provocati alle strutture scolastiche e universitarie palestinesi, con la conseguenza di una bassa percentuale di studenti iscritti e di una scarsa presenza di docenti. A Gaza, in particolare, la situazione è drammatica: il 50% degli studenti è assente e lo è anche il 40% dei docenti. Durante l’operazione militare Piombo Fuso l’aviazione israeliana ha distrutto 280 scuole/ asili e 16 edifici universitari. In pochi giorni sono stati uccisi 164 studenti e 12 docenti. E si devono segnalare inoltre i casi di discriminazione degli studenti non ebrei da parte di università israeliane. Il fenomeno riguarda anche università israeliane aventi sede nei territori palestinesi occupati, come è il caso dell’Ariel University College affiliato all’Università Bar Ilan. In questo quadro si fa sempre più probabile un vero e proprio etnocidio del popolo palestinese ed arabo-israeliano, sia nei territori occupati, sia in Galilea, dove vivono in condizioni di soggezione non menodi un milione e trecentomila “cittadini” arabi. Le nuove generazioni sono esposte ad una radicale perdita della consapevolezza della propria storia, delle proprie radici etniche e della propria identità culturale e linguistica. Che cosa intendono fare e stanno proponendo i docenti universitari italiani che si sono impegnati nel tentativo di salvare le nuove generazioni palestinesi? Intendono diffondere nei nostri atenei consapevolezza sulle violazioni del diritto allo studio e della libertà accademica del popolo palestinese. L’operazione va in controtendenza rispetto alla decisione del Governo italiano, che pochi mesi dopo la strage di Gaza ha firmato un accordo con il Governo israeliano per l’avvio da un Biennio scientifico e tecnologico italo-israeliano. Con una “Lettera aperta sulla discriminazione universitaria e culturale del popolo palestinese”, che sta avendo un inaspettato successo, il gruppo di docenti italiani invita i colleghi universitari ad aderire ad un progetto di intervento a favore delle università palestinesi, cercando il dialogo anche con gli accademici israeliani. L’obiettivo è l’intervento concreto a favore di studenti e studiosi palestinesi e araboisraeliani, promuovendo convenzioni di cooperazione culturale, scientifica e didattica fra atenei italiani e atenei palestinesi. Un ulteriore passo avanti sarà l’organizzazione di un primo convegno nazionale su questi temi, con la collaborazione di istituzioni nazionali e internazionali, non solo accademiche, disposte a sostenere il progetto degli accademici italiani: aiutare le nuove generazioni palestinesi a raggiungere in assoluta autonomia un livello “normale” di scolarizzazione e acculturazione universitaria, nonostante l’occupazione, l’assedio e la repressione in corso. PS. Per ricevere il testo della “Lettera aperta” e inviare adesioni, i docenti e i ricercatori italiani possono scrivere a: «diritto.studio.palestina@ gmail.com»

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