lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.03.2010 Omicidi mirati per combattere il terrorismo
La tecnica usata dall'Occidente. Analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 marzo 2010
Pagina: 9
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «Quando gli Stati eliminano il nemico»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/03/2010, a pag. 9, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Quando gli Stati eliminano il nemico ".

Mahmoud Al Mabhouh, alto esponente di Hamas, è stato l'ultimo. Ucciso il 19 gennaio in un hotel di Dubai. Prima di lui sono caduti il separatista ceceno Sulim Yamadayev, sempre negli Emirati, nel marzo 2009. E ancora, in una foresta al confine con l'Ecuador, Raul Reyes, numero due delle Farc colombiane. Tutti vittime di target killing. Gli omicidi mirati, messi in atto da 007 e forze speciali. Una tattica lanciata su larga scala dagli israeliani e poi copiata dagli americani nella «guerra al terrorismo», dai russi nella lotta ai ribelli ceceni, dai colombiani contro i narco-guerriglieri o dallo Sri Lanka per annientare la rivolta tamil.

Dalla «tecnica del pescatore» con l'agente che tende una rete ed aspetta, si è passati a quella del «cacciatore», con lo 007 che va in cerca della preda. È una strategia attiva e, talvolta, preventiva. Con tre obiettivi: «terrorizzare i terroristi», eliminare capi e quadri, disarticolare possibili operazioni eversive. E per raggiungere i risultati, gli agenti non riconoscono confini, infrangono le leggi altrui, violano la sovranità. Un alto numero di target killing sono avvenuti in Paesi dove il bersaglio era ospite o in transito. E ciò ha obbligato gli 007 a muoversi in modo clandestino.

Il meccanismo di designazione dei nemici da neutralizzare come la successiva fase esecutiva sono disciplinati da una catena di comando piuttosto precisa. James Bond ha licenza di uccidere, ma l'ordine gli arriva per via gerarchica. Spesso il premier o il presidente (così in Israele e Usa) o comunque una personalità di alto livello. Se questo permette di «gestire» azioni risolute, è altrettanto evidente che l'esecutivo non può sostenere di non sapere. O meglio, può farlo ma non pretendere che tutti gli credano. Ma può anche accadere che lo Stato voglia far capire di essere coinvolto senza ammetterlo. Si crea una zona grigia dove nascondersi e dalla quale far trapelare messaggi di avvertimento.

Il caso israeliano

Il target killing israeliano ha conosciuto tre epoche. La prima va dagli anni 70 al 2000. In questo periodo il servizio «Kidon» — baionetta — del Mossad prende di mira gli esponenti palestinesi: i responsabili della strage di Monaco, Abu Jihad a Tunisi (1988), Fathi Shakaki a Malta (’95), solo per citare alcuni casi. Azioni «segrete» nel senso che non sono rivendicate e fanno parte di una lotta sotterranea contro il nemico. Precedente assimilabile alla campagna contro gli scienziati in Egitto negli anni 50. La seconda epoca riguarda l'Intifada. Dal 2000 al 2004 cadono sotto il tiro pianificatori di attentati e leader di prima grandezza. Le statistiche indicano, a seconda delle fonti, tra i 78 e i 121 casi. Omicidi per i quali c'è un'assunzione di responsabilità indiretta. La terza fase è di nuovo contrassegnata dalla segretezza e si è sviluppata dal 2005 ad oggi. Una parte delle persone eliminate sono dirigenti dell'Hezbollah, militanti coinvolti in traffici d'armi — come Al Mabhouh a Dubai —, scienziati iraniani, alti ufficiali siriani. La riservatezza è motivata dalla circostanza che i raid avvengono all'estero.

Gli americani

Per sbarazzarsi dei terroristi, gli Stati Uniti si sono affidati al telecomando. Nel senso che un discreto numero di «operazioni sporche» sono state condotte con i velivoli senza pilota. Nello Yemen, in Somalia e soprattutto nello scacchiere Afghanistan/Pakistan. Per l'intelligence è una forma efficace di contrasto all’eversione qaedista e costringe i capi a stare nascosti. Dopo il fallito attentato sull’aereo della Northwest si è aperta una discussione se fosse legittimo uccidere anche cittadini americani, visto che alcuni di loro militano in Al Qaeda.

La linea ufficiale di Washington è che nella lista nera preparata dalla Cia non ci sono statunitensi che invece appaiono nell'elenco del Joint Special Operations Command del Pentagono: tra i «morti che camminano» vi sarebbe — per citarne uno — l'imam Al Awlaki, presunto ispiratore del nigeriano con le mutande-bomba. In parallelo all’azione dei droni, si muovono sul terreno piccoli team «cerca e annienta»: si sono lasciati cadaveri alle spalle in Somalia, nell'area pakistana, probabilmente anche nello Yemen.

Gli altri

Abbiamo accennato in apertura all'esponente ceceno liquidato a Dubai nel 2009. Un delitto da ascrivere al regime filo-russo di Grozny e preceduto da altre cinque esecuzioni avvenute tra Vienna, Istanbul e Mosca a partire dal settembre 2008. Prima di allora i servizi russi si sono sbarazzati con veleno, ordigni e missili, di molti «emiri» ceceni. L'intelligence colombiana, con l'aiuto Usa, ha intensificato le operazioni nei confronti di «ufficiali» delle Farc affidandole a propri uomini oppure a guerriglieri assoldati con ricompense milionarie. Frequente il ricorso a «infiltrate» per seminare microspie. Non diversa la tattica impiegata dagli indiani contro i separatisti kashmiri e formazioni ribelli locali.

I risultati

Esperti di questioni legali e associazioni per i diritti civili ritengono che gli omicidi mirati rappresentino una grave violazione. Alcuni li ammettono in casi limite. Esempio: per prevenire un attentato imminente. Giudizi controversi anche sugli effetti. Certamente, sul piano tattico, ci sono risultati tangibili. Si privano le fazioni degli uomini migliori costringendo gli altri alla prudenza. Se l'avversario è un piccolo gruppo, le possibilità di successo sono più ampie in quanto lo puoi decapitare in modo irreparabile. All'opposto contro i movimenti sostenuti da un network sociale— Hamas, jihadisti globali— l'esito è contenuto. Le organizzazioni rimpiazzano in fretta i loro caduti, trasformano i «martiri» in modelli e usano gli eventuali effetti collaterali — vittime civili — per denunciare imassacri dell'Occidente. I governi, pur consapevoli dei limiti, continuano ad usare il target killing per dare un segnale alle loro opinioni pubbliche, per esercitare una pressione continua sui militanti, per stabilire un principio di deterrenza. Nessuno si illude di vincere il confronto in questo modo, però si fa pagare un prezzo a chi ha scelto la via della violenza. In attesa di trovare una risposta politica. Se mai esiste.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT