Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/03/2010, a pag. 16, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Scontri alla Spianata delle Moschee. Si accende la contesa sui luoghi sacri ".

Francesco Battistini scrive : " Bibi Netanyahu ha annunciato il restauro dell’ «identità ebraica» di 150 siti archeologici e ha infilato nell’elenco pure le tombe dei Patriarchi e di Rachele, a Hebron e a Betlemme, che stanno nei Territori palestinesi e sono sacre anche all’Islam.". Il programma prevede il restauro dei luoghi sacri per gli ebrei. Il fatto che i due luoghi in questione siamo sacri anche per l'islam, non cambia la situazione, perciò non è ben chiaro da dove derivi l'irritazione degli arabi nè l'appoggio di Battistini. E' un progetto di restauro, e non ha nulla a che vedere con presunte mire espansionistiche.
Battistini prosegue : "Non sarà l’inizio d’una mini-intifada, come dicono tutti, ma un po’ rischia di somigliarvi.(...) ricorda i disordini del ’ 96 per il Tunnel di Gerusalemme, anche allora contro Netanyahu. O la rabbia per la passeggiata di Sharon sulla Spianata". Il tunnel venne poi inaugurato con la soddisfazione di tutti, dimostrando così quanto le proteste fossero solo un pretesto. La passeggiata di Sharon sulla Spianata delle moschee non fu la causa scatenante della seconda intifada. Solo un ingenuo può crederlo. L'intifada era stata pianificata nei mesi precedenti, come dimostrato dai video prodotti dagli stessi palestinesi.
Anche il titolo dell'articolo lascia perplessi. Perchè "Spianata delle Moschee"? Quel luogo ha un altro nome, Monte del Tempio. E, fino a prova contraria, lì c'erano le sinagoghe, prima delle moschee.
Ma forse chiediamo troppo all'ormai pregiudizialmente ostile Battistini, anche se l'autore del titolo non è lui ma qualche "infarinato" della redazione.
Ecco il pezzo:
GERUSALEMME — La guerra per le pietre diventa la guerra delle pietre. Un’altra volta. È cominciata senza troppo clamore una settimana fa, a Tel Hai, insediamento storico e memoria della lotta con gli arabi, dove Bibi Netanyahu ha annunciato il restauro dell’ «identità ebraica» di 150 siti archeologici e ha infilato nell’elenco pure le tombe dei Patriarchi e di Rachele, a Hebron e a Betlemme, che stanno nei Territori palestinesi e sono sacre anche all’Islam. S’è scaldata poche ore dopo a Gerico, nel giorno che commemorava la morte di Mosé, con la marcia sulla sinagoga d’alcuni ultraortodossi. S’è accesa lunedì scorso a Hebron, con le cinque giornate di guerriglia di centinaia di palestinesi. S’è allargata a Betlemme, al Campo dei Pastori. Alla fine è arrivata a Gerusalemme, ieri mattina, prevedibile e inesorabile, sulla Spianata delle Moschee e nella Città vecchia. Con le sassaiole di rito su quattro turisti, che secondo i palestinesi erano coloni israeliani. Coi lacrimogeni della polizia. Con 24 feriti, quattro agenti. Con sette arresti. Con un gruppo irriducibile deciso a picchettare l’Al Aqsa. Con una promessa: non finisce qui.
Non sarà l’inizio d’una mini-intifada, come dicono tutti, ma un po’ rischia di somigliarvi. L’onda di proteste scatenata dal discorso di Tel Hai ricorda i disordini del ’ 96 per il Tunnel di Gerusalemme, anche allora contro Netanyahu. O la rabbia per la passeggiata di Sharon sulla Spianata. «La cosa più seria in cui ci siamo imbattuti dall’occupazione del 1967», avverte il governatore arabo di Hebron, Hussein al-Araj. «Un regalo ai fondamentalisti — prevedono dall’Anp di Abu Mazen —: si trasforma la questione in una guerra di religione». Il piano Netanyahu è semplice: 73 milioni di euro, stanziati per restaurare siti cari a Israele. E poco importa se la biblica Tomba dei Patriarchi sia anche la Moschea di Ibrahim, l’Abramo islamico. O se la Tomba di Rachele, terzo luogo santo dell’ebraismo, stia nel cuore palestinese di Betlemme circondata dal Muro. «Non vogliamo alterare lo status quo — ha spiegato il premier —. La libertà di culto rimarrà tale, per ebrei e musulmani. Noi sistemeremo la parte ebraica e il Wafq, l’autorità palestinese per i siti sacri, aggiusterà l’altra».
La mossa di Bibi è stata sommersa di fischi. «Un barile di dinamite», scrive Ma’ariv. «Provocatoria è l’aggettivo usato in copia dall’amministrazione Obama, dall’Ue, dal Quartetto, dalla Conferenza islamica e dall’Unesco. A mezza bocca, una critica è arrivata anche dal presidente Shimon Peres. L’Anp ha proclamato tre giorni di sciopero, con la minaccia di denunciare gli accordi di Oslo e di pensare seriamente a una proclamazione unilaterale d’indipendenza, stile Kosovo. Senza dire della curva ultrà: dall’iraniano Ahmadinejad a Hamas, dai Fratelli musulmani del Cairo a Jihad, l’appello è alla mobilitazione violenta. Divisa l’opinione pubblica israeliana: «Questi siti sono le radici insostituibili della nostra esistenza » , dice Zeev Elkin, deputato della destra. «Sì, le nostre radici sono quelle, non certo i palazzi Bauhaus di Tel Aviv— ribatte un commentatore liberal, Haim Navon —. Ma ha senso rivendicarle adesso, mettendo a rischio tutto?».
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