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La Repubblica Rassegna Stampa
26.02.2010 Caso di Dubai risolto. Mancano le prove? Un dettaglio trascurabile, secondo la tradizione di Repubblica
Lo 'scoop' di Vittorio Zucconi e Fabio Scuto, nuovi giallisti investigatori

Testata: La Repubblica
Data: 26 febbraio 2010
Pagina: 1
Autore: Vittorio Zucconi - Fabio Scuto
Titolo: «Mossad operazione vendetta - Nel complotto anche palestinesi»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/02/2010, a pag. 1-48, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " Mossad operazione vendetta ", a pag. 49, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Nel complotto anche palestinesi ".

Vittorio Zucconi-Holmes e Fabio Scuto-Watson hanno risolto il caso di Dubai: è stato il Mossad, per forza. Perchè ha fatto troppi errori, perche non ne ha fatti, perchè è la sua tecnica, perchè non è la sua solita tecnica (un depistaggio?!), perchè ad essere morto è un terrorista di Hamas e anche se erano in molti a desiderarne la morte, il lavoro sporco lo può fare solo Israele.
Chiediamo ai due investigatori privati di comunicare i loro fantastici risultati alla polizia di Dubai che, invece, brancola nel buio, in modo da chiudere definitivamente la faccenda che, ormai, non è più di interesse per nessuno...non a caso gli altri quotidiani italiani tacciono. Ma si sa, quando c'è lo scoop...
I due articoli, comunque, sembrano due racconti gialli, senza la parte della spiegazione finale. A Zucconi-Holmes e Scuto-Watson, infatti, mancano le prove, ma basta essere convinti della colpevolezza di qualcuno per condannarlo. Anche i dittatori, che di democrazia se ne intendono parecchio, la pensano così.
Ciò che li accomuna di più, tuttavia, è il livore anti israeliano. Un virus parecchio diffuso nel quotidiano diretto da Ezio Mauro.
Ecco i due pezzi:

Vittorio Zucconi - " Mossad operazione vendetta "


Vittorio Zucconi. Sorride perchè ha risolto il caso?

Alle 21 del 19 gennaio, in un lussuoso hotel di Dubai, un alto esponente di Hamas è stato assassinato. A portare a termine l´omicidio è stato un commando dei servizi segreti israeliani Una missione perfetta, svelata dalle telecamere dell´albergo Ma forse i killer avevano previsto anche questo. La vittima è stata soffocata e tenuta immobile perché la morte sembrasse
Alle 21, mentre i cuochi del Benihana si preparavano ad affettare e arrostire per lui scampi, capesante, melanzane e cipolle davanti alla sua sedia vuota, il morto era già morto.
La ragnatela che per dieci anni un ragno implacabile aveva cominciato a tessere attorno a lui, al palestinese che aveva osato non soltanto sfidare la collera di David, ma vantarsene pubblicamente sulle emittenti arabe come al Jazira, citando i soldati israeliani che aveva rapito e ucciso, aveva impigliato la mosca nella propria rete di inganni, di "false flags", di bandiere e documenti falsi, come si dice nel gergo delle spie. Un tessuto di informatori, di agenti con licenza di uccidere chiunque ovunque nel segno della legge del taglione, che tutti sanno, e nessuno ammette, fanno capo al Mossad, all´"Istituto", come banalmente e burocraticamente si chiama il braccio spionistico dello Stato d´Israele, e all´ancor più misteriosa sezione per gli "affari bagnati", gli assassini, leggendariamente conosciuta come la Kidon, "la baionetta".
Al Mabhouh, che pure doveva sapere di essere da tempo sul podio più alto dei candidati alla vendetta d´Israele, si comporta con straordinaria leggerezza, nelle ultime ore della sua vita, forse cullato dalla lussuosa illusione di quell´emirato arabo. Era partito il giorno prima da Damasco, sul volo EK 912 della compagnia aerea degli Emirati, naturalmente in business class, come si conveniva a un dirigente, politico o terroristico non importa, con un biglietto già pagato per proseguire - non sappiamo perché - verso Pechino. Dubai non era una scelta necessaria, ma una gradita sosta, una pausa per ristorarsi e fare ciò per cui milioni di persone sbarcano nei suoi alberghi: shopping. Al Bustan è l´oasi preferita per viaggiatori che vogliano evitare la pacchianeria di alberghi più vistosi, accogliente, moderato nei prezzi e nel décor, affidato a colori tenui, a toni di beige, di azzurri e di marrone, come le sabbie della Penisola araba e la acque del Golfo. Si era concesso, con i soldi di Hamas, una junior suite, una stanza grande con un ampio letto matrimoniale e una zona soggiorno, separata da un tramezzo con l´inevitabile televisore piatto. La stanza 230. L´ultima maglia della ragnatela.
Di fronte a lui, nella stanza 237, era scesa una coppia di turisti con passaporto inglese, in apparente viaggio di nozze, una giovane donna con lunghi capelli bruni, chiamata «Gill», e un uomo, entrambi assolutamente trascurabili nell´aspetto, come vuole la regola dello spionaggio ben diversa dalla favole degli 007: persone delle quali ti dimentichi nel momento stesso in cui le vedi. Gill, che indossa una parrucca, e il suo compagno, anche lui con passaporto inglese falso, non erano gli assassini, erano gli "spotters", le civette, i pali. Un´essenziale maglia della rete, che l´occhio delle telecamere ci mostra mentre vagano, apparentemente senza scopi precisi, nella hall e nel corridoio del piano, fra la stanza 237 e gli ascensori.
Quando il morto arriva, a sera, loro se ne vanno. Al loro posto, appaiono le due coppie di assassini con licenza di uccidere, quattro uomini vestiti da turisti trasandati, i soliti squallidi cappellucci da baseball in testa, t-shirt, felpe, scarpe da ginnatica ai piedi e borse in mano.
In totale, ma ancora la polizia del Dubai che ha riscostruito sequenza per sequenza l´assassino non ha definito un numero conclusivo, almeno 25 persone avevano tessuto la ragnatela. Uomini e donne con passaporti falsi intestati a persone vere, inglesi, francesi, tedeschi, australiani, innocenti cittadini israeliani con doppia cittadinanza che hanno scoperto, a cadavere ormai freddo, di essere stati usati, senza saperlo, per un´esecuzione. Con l´immediata collera diplomatica dei governi coinvolti, ormai a cose fatte. Venticinque fra uomini e donne che nelle ventiquattr´ore finali del piano avviato nel 2000, si muovono freneticamente. Atterrano tutti lo stesso giorno in cui sbarca il bersaglio, Al Mabhouh, e gli occhi delle telecamere li individuano mentre passano la frontiera. Sono stati informati della partenza e dell´arrivo della preda da informatori palestinesi di Al Fatah, l´organizzazione che Arafat creò e che odia Hamas, ricambiata. I reciproci tradimenti e odi fra arabi, che invariabilmente si giurano in pubblico solidarietà e fratellanza mentre affilano i coltelli in privato, sono una delle certezze del puzzle mediorientale.
Si muovono come palline da flipper, cambiando alberghi più volte per confondere le tracce, si disperdono negli immensi shopping center dove pedinare qualcuno è impossibile, prenotano stanze che non occupano. Al mattino del 19, il giorno del delitto, fissano per telefono la stanza 237. Vagolano con racchette da tennis. Salgono e scendono ai piani dell´hotel Al Bustan, giustificati dall´avere una stanza lì. E due di loro forzano le serratura elettronica della suite vuota di Al Mabhouh, ingannando il computer centrale che registra gli accessi, con una tessera magnetica e un apparecchio che registra la combinazione, come le truffe ai bancomat. Sono l´avanguardia dell´assassinio.
Nella suite dove il bersaglio entra poco prima della nove di sera, si nascondono dietro il tramezzo fra la zona soggiorno e il letto. Quando Al Mabhouh arriva con il suo sacchetto in mano, lo paralizzano con una scarica elettrica dei loro "taser", che scaricano centinaia di volt ma non lasciano tracce evidenti. Al Mabhouh collassa. Le seconda coppia di assassini entra e, secondo il nuovo esame autoptico all´ospedale Al Rashid, lo soffoca sul lettone con il cuscino, immobilizzandolo sopra le lenzuola di magnifico lino italiano perché non le scompigli troppo e la morte sembri una morte naturale. Se ne vanno tutti e quattro insieme, gli ultimi rimasti della grande squadra, e davanti all´ascensore che li accoglie accennano a qualche cerimonia per chi deve passare per primo, forse per grado e rango. Meno di ventiquattr´ore dopo, quando il cadavere viene scoperto, si sono tutti dissolti, decollati verso Hong Kong, Londra, Francoforte e molti verso il Sudafrica, la nazione africana che più di ogni altra ha una lunga storia di collaborazione e di complicità con Israele.
Un´operazione perfetta. Un ballo degli assassini magnificamente coreografato per eliminare un assassino, se non fosse stato condotto sotto quegli occhietti delle telecamere e se la polizia di Dubai non fosse riuscita a individuare, in ore e ore di registrazione, gli agenti.
Un errore da troppa sicurezza? Una scelta deliberata, per mostrare al mondo che i nuovi "maccabi", i guerrieri vendicatori che lavorano per l´"Istituto", possono colpire chi vogliono, quando vogliono e ignorare le proteste di governi anche amici? Nulla, in Medio Oriente, è mai quello sembra ed è difficile immaginare che il Mossad non sapesse che tutto viene visto e registrato. Un mistero: dove sono finite le scarpe nuove che il morto lasciò cadere sulla moquette color paglia della stanza 230?

Fabio Scuto - " Nel complotto anche palestinesi "

Il Mossad, così come altri servizi di intelligence, finisce per attirare l´attenzione soltanto qualcosa va decisamente storto o quando si rende protagonista di uno spettacolare successo operativo e vuole mandare un segnale forte e chiaro ai suoi nemici. L´eliminazione del comandante di Hamas Mahmud Al Mabhouh ne è la dimostrazione più evidente.
È ai primi di gennaio che l´operazione Dubai entra nella sua fase operativa. Nella Ha-Midrasha ("l´accademia"), la sede del servizio segreto a nord di Tel Aviv - un complesso che tutti chiamano «Il dito di Dio» per via delle altissime antenne che svettano sui tetti - arriva il primo israeliano Benjamin Netanyahu per incontrare Meir Dagan, il capo del Mossad. È qui, secondo la stampa israeliana, che l´ex generale che da sette anni guida l´"Istituto" illustra al premier i termini dell´operazione: spetta a lui l´ultima parola, la decisione finale. Dagan spiega che l´operazione è già stata "provata" in un grande hotel del lungomare di Tel Aviv, senza avvertirne la direzione, e che tutto è andato come previsto. I due, dopo un colloquio a quattr´occhi, si trasferiscono in un´altra stanza dove il premier incontra alcuni degli agenti operativi che saranno coinvolti nel caso. «Il Paese conta su di voi. Buona fortuna!», è la frase di commiato che scioglie la riunione.
I ventisei agenti che dovranno andare a Dubai, ventuno uomini e sei donne, sono "in vacanza" nell´Unione europea. Il segnale arriva per loro il 18 gennaio: una "talpa" da Damasco avverte che l´"obiettivo" ha comprato su internet un biglietto aereo per Dubai per quel giorno e ha prenotato una stanza al Bustan. Da Zurigo, Roma, Parigi e Francoforte i 26 arrivano all´aeroporto dell´Emirato, tutti con voli a cavallo della mezzanotte. Scendono in sei diversi hotel. A operazione conclusa l´indomani, nell´arco di tre ore, tutto il team lascia il piccolo Emirato sciogliendosi in dieci rotte diverse, chi va a Hong Kong, chi a Amsterdam, chi a Zurigo.
Non si porta a termine un´operazione in grande stile come questa senza una solida fonte nel cuore del nemico, e nel gioco doppio e triplo il Mossad non è secondo a nessuno. Portano a Gaza le tracce della "Palestinian connection", a una casa anonima, quella della famiglia Massud. Tre fratelli, tutti miliziani di Hamas, dai nomi di battesimo singolari: Nehru, Tito e Nasser, dati in onore dei leader terzomondisti molto popolari fra i palestinesi negli anni Sessanta. A essere impelagato nell´affaire, che ha scatenato veleni e accuse reciproche di complicità fra gli eterni rivali Hamas e Fatah, è Nehru, fedelissimo del giro di Khaled Meshaal (il numero uno di Hamas, che vive a Damasco) finito in galera in Siria e sospettato di essere la "talpa" che ha passato le informazioni sugli ultimi decisivi spostamenti di Al Mabhouh.
Ma ci sono altri due palestinesi coinvolti, arrestati in Giordania e ora in cella a Dubai. Si chiamano Ahmad Hasnain e Anwar Shekhaiber. Entrambi sono ex funzionari degli apparati della sicurezza dell´Anp di Gaza. Due figure di medio rango che dopo il fallito contro-golpe del 2007 di Mohammed Dahlan, ex delfino di Arafat, per rovesciare Hamas nella Striscia di Gaza, sono fuggiti a Dubai, dove si sono rifatti una vita da businessmen. Nelle ore dell´omicidio di Al Mabhouh i due hanno lasciato in gran fretta Dubai. Uno di loro, secondo la polizia dell´Emirato, ha incontrato brevemente uno degli uomini del commando del Mossad. «È la prova del profondo coinvolgimento dell´Anp nell´assassinio di un nostro fratello», dice al telefono Fawzi Barhum, portavoce di Hamas nella Striscia. «Hamas farebbe bene a guardarsi dalle infiltrazioni nelle sue fila», ribatte secco da Ramallah Adnan Demeiri, capo dei servizi di sicurezza dell´Anp. «Le due versioni non sono contrastanti, anzi potrebbero essere complementari», spiega a Repubblica un esperto di un servizio di sicurezza arabo: «se il Mossad li avesse usati entrambi?».
L´armiere di Hamas ucciso, i due principali gruppi palestinesi che si accusano reciprocamente di tradimento, nessun uomo lasciato sul terreno, tracce che si perdono in dieci diversi aeroporti nel mondo. Sembra la realizzazione del motto del Mossad: «Per mezzo dell´inganno faremo la guerra».

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