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Panorama - Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.02.2010 La teocrazia iraniana senza sanzioni. Così piace a Sergio Romano
In più cronaca e intervista a Mehdi Karroubi di Viviana Mazza

Testata:Panorama - Corriere della Sera
Autore: Sergio Romano - Viviana Mazza
Titolo: «Sono un rischio le sanzioni all’Iran - Minorenni e oppositori 400 esecuzioni in Iran - Questo regime è peggio dello Scià»

Riportiamo da PANORAMA n°9 del 19/02/2010, a pag. 97, l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Sono un rischio le sanzioni all’Iran ", preceduto dal nostro commento. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Minorenni e oppositori 400 esecuzioni in Iran  ", a pag. 14, la sua intervista a Mehdi Karroubi dal titolo " Questo regime è peggio dello Scià ". Ecco i pezzi:

PANORAMA - Sergio Romano : " Sono un rischio le sanzioni all’Iran "

Sergio Romano è contrario alle sanzioni contro l'Iran, sostiene che non avrebbero effetto perchè i pasdaran e Ahmadinejad: "  Vogliono un paese isolato e divorato dalla febbre nazionalista a cui sia possibile dire ogni giorno che le potenze imperialiste sono decise a circondarlo, assediarlo, privarlo del diritto di avere ciò che ad altri (Israele) è consentito possedere. ".
Teoria davvero affascinante, peccato che manchi una proposta alternativa per risolvere la situazione. L'Iran è ad un passo dalla bomba atomica, l'opzione militare, per ora, non è presa in considerazione. Le sanzioni sono l'unica arma che l'Occidente ha per arginare il nucleare iraniano, ma per Romano è inutile metterle in atto. E allora resta la terza opzione, stare a guardare e aspettare che Ahmadinejad abbia qualche ordigno nucleare per distruggere Israele e avere un'arma di ricatto contro l'Occidente. Un Romano senza più freni.
Ecco il pezzo:


Ahmadinejad e Sergio Romano, il nostro El Baradei

Durante il suo viaggio nel Golfo Hillary Clinton ha detto a un gruppo di studenti dell’università americana di Doha che il potere a Teheran sta cadendo nelle mani delle guardie della rivoluzione islamica. «Ecco come noi vediamo la situazione. Vediamo un governo iraniano (leader supremo, presidente della repubblica, parlamento) che viene “supplanted” (soppiantato, rimpiazzato) e un paese che sta diventando una dittatura militare». È molto probabile che il segretario di Stato americano abbia ragione e che sia questo, per l’appunto, lo sbocco della crisi iniziata con le elezioni della scorsa estate. L’ayatollah Ali Khamenei manterrà le sue funzioni e Mahmoud Ahmadinejad sarà ancora presidente della repubblica. Ma i vincitori, alla fine della partita, saranno le milizie paramilitari dei «pasdaran» e dei «basiji».

Sono figli della rivoluzione del 1979, ma soprattutto veterani della guerra Iran-Iraq. Quando sono tornati dal fronte, nel 1988, hanno ottenuto dal governo la gestione di alcune grandi imprese e controllano oggi una buona parte dell’economia nazionale. Ma a loro non basta: vogliono uscire dall’ombra, mandare a riposo i vecchi ayatollah ed esercitare il potere alla luce del sole.

Non metteranno in discussione i principi fondamentali della Repubblica Islamica e continueranno a governare la società in nome del Corano. Ma la sharia, nelle loro mani, sarà soprattutto un manuale di polizia, uno strumento per meglio esercitare il potere, combattere la dissidenza, controllare il paese. Sul piano istituzionale il loro modello, con tutte le differenze del caso, è la repubblica turca creata da Kemal Atatürk prima che il governo di Recep Tayyp Erdogan cominciasse a estromettere i militari dal controllo della cosa pubblica.

Dopo avere previsto l’avvento di un nuovo Iran governato dai pasdaran e dai basiji, Hillary Clinton ha dichiarato che gli Stati Uniti non gli permetteranno di diventare una potenza nucleare. Occorre dunque un’azione militare? No. Clinton non lo dice esplicitamente, ma sa (lo ha detto in altre circostanze il segretario alla Difesa Robert Gates) che un raid aereo contro i siti nucleari iraniani ritarderebbe soltanto di pochi anni i progressi del paese e potrebbe avere incalcolabili conseguenze sulla stabilità della regione. La migliore risposta possibile, quindi, è un piano di sanzioni severe e punitive a cui dovrebbero concorrere tutti i paesi della regione.

Tuttavia, fra queste affermazioni del segretario di Stato e la sua analisi sul futuro del regime esiste purtroppo una potenziale contraddizione. Per i pasdaran e per i basiji, l’isolamento dell’Iran non è una minaccia ma un vantaggio. Sono riusciti a boicottare l’accordo sul parziale arricchimento all’estero dell’uranio iraniano perché i migliori rapporti dell’Iran con l’Occidente avrebbero nuociuto ai loro progetti e frustrato le loro ambizioni. Non vogliono accordi. Vogliono un paese isolato e divorato dalla febbre nazionalista a cui sia possibile dire ogni giorno che le potenze imperialiste sono decise a circondarlo, assediarlo, privarlo del diritto di avere ciò che ad altri (Israele) è consentito possedere.

Le previsioni di Hillary Clinton sono fondate, ma se vogliamo davvero evitare che esse si realizzino, l’arma delle sanzioni è probabilmente destinata a sortire l’effetto opposto. Fornirà alle milizie paramilitari l’occasione per sostenere che i dissidenti sono la quinta colonna del nemico nel mezzo della società iraniana e che ogni pubblica manifestazione è un tradimento.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Minorenni e oppositori 400 esecuzioni in Iran  "

L’anno scorso imedia ufficiali iraniani hanno reso note 336 esecuzioni: a queste Iran Human Rights aggiunge 66 casi non ufficiali confermati da fonti attendibili. «Sono i casi di cui siamo certi, ma è una stima prudente», spiega il portavoce Mahmood Amiry-Moghaddam. Dopo

Il regime iraniano usa la pena capitale per dar prova della propria forza e diffondere la paura, dicono gli attivisti dei diritti umani. Nel 2009, di fronte ad una crisi politica senza precedenti dopo le contestate elezioni di giugno, il regime ha mandato a morte, in media, più di una persona al giorno: 402 esecuzioni, con un aumento del 20% rispetto al 2008 (tutti impiccati tranne un uomo lapidato a morte). Lo afferma il rapporto annuale di Iran Human Rights, un network di attivisti con membri all’interno del Paese e all’estero che si batte contro la pena capitale. Il rapporto verrà presentato oggi a Bari nel corso della Primavera dei Diritti, una «maratona» culturale di 10 giorni in difesa dei diritti umani e civili. le elezioni, infatti, il regime ha limitato gli annunci di impiccagioni sui media e arrestato molti attivisti, strozzando così il flusso di notizie.

I più deboli

Il 1° maggio, alle 7 del mattino, il telefono squillò in una casa nel nord dell’Iran. «Mamma, stanno per uccidermi». Quel mattino fu impiccata Delara Darabi, 23 anni, condannata all’età di 17 per un omicidio del quale si dichiarava innocente. L’esecuzione, fissata per giugno, fu portata a termine in anticipo senza avvertire neppure l’avvocato. «Un avvertimento alla società civile in Iran», dice il rapporto, dopo che ad aprile vi erano state forti proteste contro le condanne amorte di minorenni. Oltre a Delara, 4 ragazzi sono stati giustiziati per crimini commessi prima dei 18 anni: una violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia di cui l’Iran è firmatario. Tra loro, Behnoud Shojaee, condannato per omicidio. La sua esecuzione era stata rimandata 5 volte: 3 volte aveva visto impiccare altri aspettando il proprio turno. La notte del 10 ottobre centinaia di persone si radunarono per lui davanti alla prigione di Evin, ma non servì a salvarlo. Tra gli impiccati, ci sono 13 donne. Soheila Ghadiri, 30 anni, è stata giustiziata per l’omicidio del figlio neonato, benché il medico forense avesse testimoniato che soffriva di psicosi e il padre del neonato, l’unico per legge che poteva decidere che fosse impiccata, avesse chiesto la grazia.

Esecuzioni di massa

Dopo le proteste per le elezioni, sono aumentate le esecuzioni di massa. Luglio è il mese peggiore: 94 giustiziati. Tra i 29 impiccati a Teheran il 27 luglio con accuse come traffico di droga e rapina, almeno uno era innocente, secondo il rapporto: un giovane afghano arrestato durante le proteste. In estate vi è stato anche un aumento delle esecuzioni arbitrarie: delle 18 persone impiccate a Zahedan ( seconda città per numero di esecuzioni dopo Teheran) perché membri del gruppo sunnita Jundallah, è probabile che 14 non lo fossero.

Le autorità hanno ricominciato a condurre esecuzioni pubbliche (sospese dal gennaio 2008). Sono state 9 nel 2009, 5 delle quali nel giro di una settimana a dicembre dopo le proteste anti-regime della Giornata dello Studente. «Non avendo altro modo di controllare le proteste, il regime ha usato il tradizionale strumento per diffondere la paura», dice Amiry-Moghaddam. «Ma non ha sortito l’effetto sperato». Il 22 dicembre, a Sirjan, un paesino nel sud, una folla di 1500 persone ha liberato due condannati. Ad aver paura erano i funzionari che esitavano amettere la corda al collo ai due che stavano in piedi su un’auto, come pure a mettersi al volante per dar loro la morte. Dopo la fuga, i due sono stati riacciuffati, ma la folla inferocita ha impedito una seconda volta l’esecuzione pubblica, condotta poi in prigione. Dopo le iniziali esecuzioni di massa, il regime ha cambiato così strategia: alla forca vanno i presunti membri di gruppi che tradizionalmente mirano a rovesciare il regime. «Ma sappiamo che ci sono in prigione attivisti che non si occupavano di politica ma della lotta alla pena di morte. Due di loro, Kouhyar Goodarzi, 26 anni, e Mehrdad Rahimi, sono stati incriminati per moharebeh». E’ il reato di «guerra contro Dio», punito con la morte.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Questo regime è peggio dello Scià "


Mehdi Karroubi

Religioso e politico 73enne, Mehdi Karroubi è diventato insieme a Mir-Hossein Mousavi il leader delle proteste contro il regime in Iran. Discepolo di Khomeini, dall’età di 24 anni lottò al suo fianco contro lo Scià (e pagò con 6 anni di carcere) per creare la Repubblica islamica. Dopo il 1979 ha avuto ruoli di rilievo, tra cui quello di presidente del Parlamento. Ha sfidato Ahmadinejad per la presidenza nel 2005 e nel 2009. In entrambi i casi ha accusato di brogli le autorità. Durante le ultime proteste di piazza, l’11 febbraio, uno dei suoi quattro figli, Ali, è stato arrestato, picchiato per ore in una moschea da paramilitari basiji e minacciato di stupro, prima d’essere liberato alle 11 di sera. Come sta suo figlio? «Fisicamente, Ali sta migliorando. Nei primi

giorni, le sue condizioni erano terribili. Ora siamo preoccupati per il suo stato mentale. I danni che ha subìto sono un piccolo esempio di tutto ciò che sta accadendo ai figli di questa nazione ».

Cos’è successo l'11 febbraio?

«Uno scontro senza precedenti con la popolazione. Per impedire che i manifestanti (del Movimento verde, ndr) si radunassero, il regime ha usato tutte le proprie forze. Ha arrestato i nostri amici e familiari e minacciato gli altri. Ma questa mobilitazione non ci ha fermato. Sapevo come sarebbe andata a finire, ma sono andato lo stesso amanifestare. Andrò se ci saranno altre manifestazioni, anche se dovessero finire peggio di questa».

La repressione oggi è peggiore che ai tempi dello Scià?

«Il regime dello Scià era corrotto dalle fondamenta, ma lui non si comportava così con la gente. Che c’entrano le forze armate con il risultato del voto? Durante il regno dello Scià c'erano delle regole. Non si portavano le persone appena arrestate in moschea per picchiarle a morte ancor prima di consegnarle alle autorità giudiziarie. Questa gente arresta senza mandato, picchia, tiene in detenzione. Per non parlare del resto (Karroubi ha denunciato più volte gli stupri in carcere ndr)».

Lei si ritiene un leader del Movimento verde? A quali condizioni riconoscerebbe Ahmadinejad come presidente?

«Non mi considero il leader del Movimento popolare verde ma un membro di esso e del movimento riformista. Agisco per un ritorno alla volontà e agli ideali del popolo, alla sua sovranità. Non ho né un conflitto personale né motivo di riappacificarmi con Ahmadinejad. Consideriamo quello del signor Ahmadinejad un governo costituito che deve rispondere delle proprie azioni, ma non un governo lecito e legale. Io non sono nessuno: non sta a me arrivare ad un accordo. E’ il popolo che deve decidere se vuole un compromesso, è il popolo che si trova in conflitto con il governo e non accetta la sua gestione del Paese e la strategia di scontro con il mondo intrapresa da Ahmadinejad. Noi facciamo parte di quel popolo».

Lei non si è detto contrario agli slogan di piazza contro la Guida suprema e a favore di uno Stato secolare?

«Le cose vanno separate. Noi non cerchiamo di far cadere il regime. D’altra parte, la Costituzione non è una rivelazione divina e quindi tale da non poter essere modificata. Ma attualmente neppure questa Costituzione viene applicata». Khomeini resta il suo modello? «Volevo bene all’Imam e continuo a volergliene. Sì, è un modello. Era un religioso devoto, possedeva discernimento e lungimiranza. Ha guidato il Paese nel suo periodo peggiore. Il Paese era in guerra, gli esponenti di spicco e politici venivano uccisi negli attentati e in battaglia. In quella situazione forse vennero presi provvedimenti speciali e a volte misure eccessive. Non dico che fosse un modello perfetto. Ma le azioni e le decisioni vanno valutate tenendo conto dei tempi».

La cosa peggiore fatta nel nome della Repubblica Islamica?

«La Repubblica Islamica consta di due concetti: il repubblicanesimo e l'islamicità. La cosa peggiore è il danno arrecato a entrambi. Non dico che non ne sia rimasto niente, ma i danni sono molto seri, sia all'Islam sia al concetto di "repubblicanesimo" ovvero "l'opinione e il voto del popolo". L'Imam diceva che la decisione finale spetta al popolo. Sono state danneggiate le promesse fatte alla gente. La questione non è far cadere il regime ma riformarlo. Io credo ancora nella Repubblica Islamica, ma non questo genere di Repubblica Islamica! La Repubblica Islamica delle libere elezioni e non delle elezioni truccate. Credo nell' Islam moderno, l'Islam pieno di bontà e di affetto, non l'Islam violento o fanatico».

Berlusconi promette di ridurre gli affari con l'Iran e appoggia nuove sanzioni. Cosa pensa di queste misure?

«Quand’ero il Presidente del Parlamento iraniano, i rapporti col vostro parlamento erano ottimi, come dimostrato dal mio viaggio ufficiale di allora in Italia e dalla visita di due presidenti della Camera italiana in Iran. La lettera inviata dai vostri presidenti della Camera e del Senato ai capi del regime iraniano sulle conseguenze di un mio (eventuale ndr) arresto testimoniano il buon rapporto di allora. Ma sono assolutamente contrario alle sanzioni: aumentano la pressione economica che il popolo subisce già a causa delle politiche sbagliate del governo ».

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