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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Theodore S. Hamerow, Perché L’Olocausto non fu fermato 22/02/2010

Perché L’Olocausto non fu fermato
Europa e America di fronte all’orrore nazista      Theodore S. Hamerow
Feltrinelli                                                                         Euro 28

La memoria dell’Olocausto e le sue celebrazioni portano periodicamente la coscienza dei posteri a confrontarsi con le colpe dei carnefici nazisti e delle forze che con essi collaborarono nello sterminio degli ebrei d’Europa. Sennonché, con il passare del tempo, la memoria è andata scavando, ancora parzialmente, in un’altra direzione: quella che nella tragica vicenda tocca le responsabilità degli Stati in guerra con la Germania, dei loro governi, di gran parte delle popolazioni e persino di settori assai influenti dell’ebraismo al loro interno. Il libro dello storico statunitense Theodore S. Hamerow, Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista, tradotto presso la Feltrinelli, non è il primo a sollevare il coperchio di questa vicenda, ma al suo chiarimento porta un importante contributo.
Dopo aver distinto tra l’antisemitismo “segregazionistico” di matrice religiosa e sociale e l’antisemitismo “sterminatore” del Terzo Reich, l’autore si sofferma sulle radici che resero possibile a quest’ultimo di conseguire con tanto successo le proprie finalità. Si vorrebbe vedere rafforzata la tesi di una follia omicida nazista isolata, contrastata con determinazione al di fuori dei confini del dominio hitleriano. E invece la storia è tutt’altra, ed è una brutta storia. Se a Pio XII vengono attribuite pesanti responsabilità, egli si trova in compagnia di Roosevelt, di Churchill e di Stalin, i “tre grandi” della coalizione antinazista, e di coloro che li circondavano. Se il Papa fu il primo ad essere investito da un’onda polemica non ancora esaurita alimentata dall’accusa di non aver gridato la sua condanna nel nome di Cristo contro la “soluzione finale” per il timore di incontrollabili reazioni da parte nazista, ora va montando l’onda che investe i governi e i popoli i quali, mentre levavano alta la bandiera della democrazia e dell’umanesimo, non fecero per fermare l’Olocausto quello che avrebbero potuto ovvero fecero soltanto ciò che consentiva un realismo politico che anzitutto si misurava con il diffuso antisemitismo presente  con diversa intensità a tutti i livelli nei paesi democratici occidentali, nell’Europa centro-orientale e nell’Unione Sovietica. Si trattava di un antisemitismo che andava dal sotterraneo disagio per la “diversità ebraica” a quello acuto e palese di quanti convinti che gli ebrei ricchi costituissero una élite subdolamente dominante e i poveri una componente sgradevole, insomma un corpo rimasto estraneo anche là dove la legislazione gli ebrei aveva formalmente emancipato.
Quando la Germania nazista mise in atto a partire dal 1933 le leggi contro gli ebrei prima che avesse inizio lo sterminio di massa, i governi occidentali respinsero le pressioni per aumentare le quote di immigrazione degli ebrei rispetto agli altri perseguitati non razziali; quando, a guerra iniziata, si diffusero in maniera crescente le notizie sulla caccia agli ebrei e sulle uccisioni di massa, prima si stentò a credere e poi si mise loro la sordina; e quando, dopo il 1942, il piano di sterminio divenne certo al di là di ogni dubbio, continuò a prevalere la scelta di non voler fare i conti con l’”unicità” della persecuzione omicida nei confronti degli ebrei. Entrò allora in ballo un Leitmotiv condiviso dai governi britannico, americano e sovietico: la necessità politica di non conferire alla guerra contro la Germania il carattere di una lotta diretta a privilegiare la salvezza degli ebrei rispetto a quella degli altri gruppi oppressi al fine di non avvalorare la propaganda dei nazisti secondo cui i governi loro nemici erano effettivamente manovrati dai primi. E ciò fu alla base anche del rifiuto di distogliere dal comune sforzo bellico forze da dedicare specificamente al bombardamento della rete ferroviaria e delle strutture che alimentavano il traffico dello sterminio: una scelta – ci dice l’autore – che si ritenne non sarebbe stata condivisa anzitutto dai militari i quali avrebbero dovuto esserne gli esecutori. E la linea di non voler far apparire la guerra una crociata a favore degli ebrei fu sostenuta da influenti settori delle élites ebraiche, a partire da quella americana. La soluzione all’Olocausto – questa la posizione prevalsa – sarebbe venuta dalla vittoria finale della coalizione antinazista! Scrive in proposito l’autore: “i governi alleati dovevano fare i conti con un notevole livello di antisemitismo nei loro stessi paesi. La gente tendeva ad attribuire il crescente sacrificio di vite e risorse alle abili manovre dietro le quinte dei finanzieri e dei politici ebrei. Le autorità governative dovevano stare attente a non fare nulla che potesse alimentare questi sospetti popolari. Soffermarsi troppo sull’Olocausto avrebbe probabilmente peggiorato la situazione”.
Parole, queste, pesanti come macigni. Poi venne il dopoguerra. Alla “questione ebraica” in Europa avevano posto fine i nazisti per via criminale, l’emigrazione e la nascita di Israele. E dopo di allora la memoria dell’Olocausto è stata celebrata con molta commossa solidarietà e compassione umana verso gli ebrei: quella che era troppo mancata tra il 1933 e il 1945. Celebrata sì.


Massimo L. Salvatori
La Repubblica


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