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Informazione Corretta Rassegna Stampa
21.02.2010 Egitto: un confine di speranza?
Analisi di Zvi Mazel

Testata: Informazione Corretta
Data: 21 febbraio 2010
Pagina: 1
Autore: Zvi Mazel
Titolo: «Egitto: un confine di speranza?»

Egitto: un confine di speranza?
 di Zvi Mazel
(traduzione di Emanuel Segre Amar)


Zvi Mazel

Trenta anni dopo l'apertura dell'Ambasciata israeliana al Cairo, ci potrebbe essere un barlume di miglioramento e di effettiva normalizzazione. Trenta anni fa,  giorno dopo giorno, la bandiera di Israele sventolò per la prima volta in una capitale araba. Il 17 febbraio 1980 le porte della Ambasciata di Israele si aprirono al Cairo verso grandi speranze.
La pace con l'Egitto avrebbe aperto una nuova era nel Medio Oriente, e la cooperazione tra lo Stato ebraico ed il suo vicino al confine meridionale avrebbe portato ad una migliore intesa tra i due popoli e, in prospettiva, anche con gli altri popoli arabi.
Ma non è andata precisamente in questo modo.
E' pur vero che, senza la pace con l'Egitto, la Conferenza di Madrid del 1991, il processo di pace iniziato ad Oslo nel 1993 ed il trattato firmato con la Giordania nel 1994 avrebbero potuto non concretizzarsi. Ciò nonostante la pace regionale sperata non si è materializzata.
Mentre esistono, tra il governo israeliano e quello egiziano, delle relazioni che si reggono su questioni di comune interesse, e su una identica gestione dei trattati per la sicurezza, una vera normalizzazione non è mai decollata, ed i due popoli rimangono estranei l'un l'altro come sempre prima.
Vi furono in Egitto coloro che lottarono duramente contro qualsiasi tentativo di realizzare la pace, che è diventata così una pace fredda. Nel corso degli anni sono riusciti a far svanire quel genuino entusiasmo popolare che era pur presente all'inizio.
In questo stesso mese il consiglio dell'associazione dei giornalisti in Egitto ha dimostrato quanto le forze che combattono contro la normalizzazione siano pronte a dare battaglia.
Sono stati condannati due rispettati giornalisti, Hala Mustapha, un ricercatore senior del Centro Al Ahram nonché direttore di Democracy, e Hussein Sarag, vice direttore del settimanale October, nonché responsabile per le notizie sui rapporti con Israele.
Quale è stata la loro colpa?  Il fatto di aver mantenuto un rapporto di lavoro con Israele.
Tra le accuse c'era un incontro tenutosi tra Mustapha e l'allora ambasciatore di Israele Shalom Cohen nell'ufficio del ricercatore, e, per quanto riguarda Sarag, i suoi viaggi in Israele e le sue visite nell'Ambasciata israeliana al Cairo. A causa di questi fatti i due giornalisti sono stati accusati di violazione delle regole anti-normalizzazione fissate dal loro sindacato; mentre Hala se l'è cavata senza punizioni, a Sarag è stato proibito di scrivere per un periodo di tre mesi.
Proprio qui sta il nocciolo del problema.
L'articolo 3 del trattato di pace stipula che Egitto e Israele stabiliscono normali relazioni che prevedono il reciproco riconoscimento e piene relazioni diplomatiche, culturali ed economiche. Entrambe le nazioni avrebbero dovuto mettere fine al boicottaggio e permettere la libera circolazione di persone e cose attraverso il confine.
L'articolo 3 del trattato, che fa parte integrante degli accordi, elenca i passi da compiere per renderlo effettivo , e stabilisce in modo esplicito che ogni forma di ostilità deve cessare.
"Le parti faranno il possibile per favorire la mutua comprensione e tolleranza e, di conseguenza, si asterranno da qualsiasi propaganda ostile" sta scritto all'articolo 5, paragrafo 3 dell'annesso 3. In effetti, negli anni 1980 e 1981 sono stati firmati 20 diversi accordi che coinvolgevano  tutte le diverse sfere di attività, commercio, aviazione, cultura, i viaggi, agricoltura ecc.
Purtroppo, mentre i diplomatici e gli uffici legali erano impegnati nel lavoro di scrivere questi accordi, le associazioni professionali dell'elite egiziana, come quella degli ingegneri, dei dottori e degli scrittori, hanno boicottato Israele e, con la minaccia di espellerli, hanno proibito ai loro associati qualsiasi contatto con lo Stato ebraico  "fino a che l'occupazione dei territori palestinesi non sia terminata".
Di conseguenza qualsiasi speranza di contatti tra le elites egiziane e lo Stato di Israele è stata bloccata sul nascere.
Due gruppi hanno dato il loro contributo per raggiungere questo risultato: la cerchia mediatica ed intellettuale, ancora fedele al nazionalismo arabo propagandato dal precedente presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, ed i Fratelli Musulmani che hanno fatto dell'antisemitismo uno dei loro pilastri. Entrambi questi gruppi hanno incoraggiato l'odio verso Israele su qualsiasi organo da loro controllato, ed il loro comportamento non è cambiato.
Il risultato di 30 anni di odio senza fine e di demonizzazione di Israele è che la parola "normalizzazione" è diventata una parolaccia. Anziché cercare di perseguire l'obiettivo, i successivi governi egiziani hanno aggiunto varie restrizioni nello sviluppo delle relazioni con Israele, tra le quali la proibizione per i cittadini egiziani di recarsi in Israele senza aver prima spiegato le ragioni del viaggio, e senza aver quindi ricevuto un permesso speciale.
L''Egitto aveva pagato un caro prezzo per la sua pace con Israele, come è reso evidente dal fatto che era stato espulso dalla Lega Araba, che aveva trasferito il suo quartier generale dal Cairo a Tunisi. Ma raffreddando in seguito le sue relazioni con Israele è riuscito a riconquistare nuove posizioni nei confronti degli altri stati arabi.
Finalmente nel 1989 la pace fredda e la pressione esercitata su Israele per quanto riguarda la questione palestinese hanno sortito il loro effetto. L'Egitto è rientrato nello status quo ante e la Lega Araba ha riportato i suoi uffici al Cairo. Durante questo periodo di tempo nulla venne fatto per migliorare la normalizzazione. L'Egitto ha continuato, e  continua tuttora, a camminare su una corda tesa: gode dei frutti della pace con Israele, quali i generosi aiuti che riceve dagli USA, e nello stesso tempo ha riguadagnato e implementato il suo ruolo centrale nel mondo arabo.
Vi sono, in effetti, alcuni settori nei quali gli egiziani, o meglio, il governo egiziano ha migliorato i rapporti con Israele. I principali sono quelli dell'energia, dell'aviazione e dell'agricoltura. L'Egitto vende petrolio ad Israele, secondo quanto stabilito nell'annesso 3 del Trattato, ed ha anche firmato tutta una serie di contratti a lungo termine che prevedono la fornitura di gas. Questo avviene tramite società pubbliche, e quindi nessuna associazione professionale coinvolta, e con la conseguenza che nessuna forza di opposizione può dire la sua. Per quanto riguarda l'aviazione, la El Al vola al Cairo fin dal 1980. Gli egiziani, dal canto loro, hanno creato una linea aerea ex novo, Air Sinai, che vola in Israele per impedire che la compagnia nazionale, Egyptair, venisse boicottata dagli altri paesi arabi.
Nel campo dell'agricoltura il presidente Sadat richiese all'allora ministro dell'agricoltura Sharon di aiutare a risolvere il problema dell'insufficienza di cibo per una popolazione in continuo aumento. Grazie all'assistenza israeliana ed alle moderne tecniche di irrigazione, nonché all'introduzione di semi particolarmente adatti al suolo del deserto, l'Egitto è oggi quasi autosufficiente nella produzione di frutta e verdura.
Addirittura arriva ad esportare in Europa parte della produzione, come succede con le fragole, che  sono in concorrenza con quelle israeliane. Tuttavia questa collaborazione non è rimasta priva di un'opposizione, e vi sono state proteste contro quella che è stata vista come una cooperazione col nemico.  L'ex ministro dell'agricoltura Youssef Wali è stato accusato di aver cercato di avvelenare le terre egiziane con metodi di irrigazione e fertilizzanti di provenienza israeliana. E il commercio non si è mai sviluppato fino a raggiungere cifre significative, anche se negli ultimi anni vi è stato qualche cambiamento.
L'Egitto ha chiesto aiuto ad Israele per il salvataggio delle sue esportazioni di cotone verso gli USA, e così nel 2004 Israele, Egitto e USA hanno firmato un accordo che prevede che i beni prodotti in determinate zone possano essere esportati verso l'America senza un dazio di importazione, purché una piccola parte della lavorazione venga effettuata in Israele. Il risultato di questi accordi ha visto quadruplicarsi l'esportazione dall'Egitto verso gli Stati Uniti, cresciuta da 200 a 800 milioni.
Israele non ha mai smesso di cercare di promuovere, dal canto suo, la normalizzazione. Un certo numero di progetti sono stati sviluppati per creare delle joint ventures nei settori dell'industria e dell'high tech, ma purtroppo sono stati tutti quanti bloccati.
Gli scambi commerciali sono stati tenuti ad un livello minimo, e non è stato fatto nulla nel campo della cooperazione culturale, scientifica o sportiva, settori tutti fondamentali per due paesi confinanti che vogliono vivere in pace.
Gruppi dell'opposizione in Egitto hanno creato delle commissioni per controllare attentamente tutto ciò che possa assomigliare ad una normalizzazione e, nel momento in cui possa esserlo, per denunciarlo sulla stampa nazionale. Perfino una figura rispettata come lo sceicco El Azhar  è  stato criticato e vilipeso per aver stretto la mano del Presidente Shimon Peres, ed obbligato a scusarsi. Questi potenti gruppi di opposizione sono di recente riusciti ad incunearsi nel governo al punto che al Cairo si sono tenute delle conferenze internazionali nelle quali i rappresentanti di Israele erano assenti perché le autorità egiziane avevano rifiutato loro il visto.
Vi è tuttavia dell'altro per quanto riguarda i casi dei due giornalisti, Hala Mustapha e Hussein Sarag. Sarag è stato in contatto con l'ambasciata israeliana fin da quando è stata aperta nel 1980; egli parla un ebraico fluente, è stato spesso invitato ai ricevimenti dell'ambasciata, ha visitato Israele numerose volte e ha svolto documenmtate relazioni.
Nel frattempo Mustapha ha dialogato con gli ambasciatori di Israele per lungo tempo;  non è un caso unico in questo campo. Anche il suo diretto superiore, il dottor Abd el Moneim Said, recentemente nominato capo dell'Istituto Al Ahram, aveva l'abitudine di ricevere gli ambasciatori di Israele nel suo ufficio nella qualità di capo dell'ufficio di ricerca. Tuttavia non è intervenuto in sua difesa al momento opportuno.
Il presidente dell'associazione dei giornalisti, Makram Mohammed Ahmad, è stato numerose volte in Israele; ha intervistato  leaders politici israeliani, ed ha avuto contatti coi diplomatici al Cairo. Ad oggi non è ancora stato accusato di alcunché. Nonostante i doppi standards ed il silenzio di taluni che si sono trovati in situazioni identiche, quello che desta particolare attenzione è il fatto che, dopo la pubblicazione delle accuse, vi è stato nei media un grande dibattito pieno di inquietudini e pregiudizi. Sembra quasi che il fatto di perseguire dei giornalisti che compiono il loro lavoro sia visto come un andare troppo lontano. Il risultato di ciò è che l'intero capitolo della normalizzazione all'improvviso appare come un tentativo per impedirne la continuazione.
L'editore del settimanale October ha dichiarato di non accettare la punizione inflitta a Sarag perché il raccontare di Israele era, in definitiva, il suo lavoro, ed egli lo aveva svolto per anni. Lo stesso Sarag ha dichiarato che la posizione dell'associazione dei giornalisti era illegale dal momento che la legge dello Stato stabilisce che i cittadini sono liberi di recarsi dove desiderano.
Dal canto suo Mustapha ha respinto la condanna ricevuta, e sta prendendo in considerazione la possibilità di tornare in tribunale per ricorrere contro la sentenza. Ha detto ai media che le misure prese dalla associazione nei suoi confronti erano in contrasto con il principio della libertà di stampa, che l'associazione dovrebbe sempre difendere, ed ha aggiunto che la mancanza di normalizzazione non ha minimamente favorito i palestinesi.
A suo modo di vedere coloro che si oppongono alla normalizzazione si ispirano alla politica degli anni 60, quella di Nasser.
Il giornalista  Abdel Mohsen Salama ha scritto che, anche se gli iscritti all'associazione ne devono rispettare le regole, è evidente che manca  la certezza di come ci si debba comportare nei confronti di Israele.
Ciascuno deve saper distinguere tra ciò che può assumere un significato politico nei confronti di Israele e la normale attività professionale, che inevitabilmente richiede contatti con Israele e con Gerusalemme.
Ha anche aggiunto che coloro che giudicarono Mustapha e Sarag ora hanno in realtà dei dubbi, ed intendono affrontare nuovamente  la questione.
Salah Issa, un altro famoso giornalista,  ha espresso i suoi dubbi circa la limitazione o la punizione dei colleghi che compiono il loro lavoro.
Ciascuno deve aver ben presente, ha aggiunto, che il governo egiziano è il primo responsabile della normalizzazione dei rapporti con Israele.
.E' la prima volta che questo concetto esce allo scoperto nella stampa egiziana. Potrà portare ad una discussione più aperta? Non è affatto sicuro.
Gli oppositori della normalizzazione sono numerosi e potenti, ed il governo egiziano non appare disponibile ad un confronto con loro. Questa è la classica patata bollente, tanto più di fronte ad un mondo arabo ancora unito contto Israele, almeno ufficialmente.
 L' associazione dei giornalisti  potrebbe essere andata troppo in avanti, ottenendo il risultato contrario a quello sperato.
Oltre 30 anni sono passati dal giorno in cui una folla stimata in due milioni di egiziani in estasi si è riversata nelle strade per accogliere il Presidente Sadat di ritorno dalla sua storica visita a Gerusalemme.
Non erano anni facili. Ma nel frattempo  la pace ha resistito ad eventi che avrebbero potuto essere fatali.  Quello che Israele ed Egitto condividono può non essere né amore né guerra, ma una comune consapevolezza che entrambe le nazioni stanno combattendo contro le medesime forze oscure che minacciano il Medio Oriente.  La lotta contro la normalizzazione non ha favorito in nulla i Palestinesi, ed in ultima analisi potrebbe aver impedito l'emergere di un Egitto più ricco e più forte.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto e Svezia. Oggi è tra gli analisti più influenti del mondo arabo musulmano. Collabora regolarmente a Informazione Corretta.


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