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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.02.2010 Dentro le finanze del terrorismo
L'analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 febbraio 2010
Pagina: 21
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La bancarotta di Al Qaeda, mancano i finanziamenti, via a crimini e sequestri»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 20/02/2010, a pag.21, con il titolo " La bancarotta di Al Qaeda, mancano i finanziamenti, via a crimini e sequestri ", Guido Olimpio analizza le finanze del terrorismo.
Ecco il pezzo:


Guido Olimpio

WASHINGTON— Al Qaeda ha sempre sognato di spingere l’America al tracollo economico sfiancandola con la tattica dei «mille tagli». E in questi anni di crisi Osama, insieme al suo co-pilota Ayman Al Zawahiri, ha esultato per le difficoltà del nemico, dal problema dei mutui a quello del dollaro. Ma, se sono vere alcune analisi, oggi sono proprio i terroristi ad essere in rosso.

Tornando su ricerche emerse nell’ultimo anno (anche su questo giornale), l’autorevole rivista «Forbes» si è posta la domanda: Al Qaeda è in bancarotta? La risposta è, in parte, affermativa. Rispetto al 2001, il movimento di Bin Laden ha certamente meno disponibilità. Allora, la Cia stimava un «budget» di circa 300 milioni di dollari, alimentato dalla generosità delle offerte provenienti dal Golfo Persico. Tre anni dopo sarebbe sceso a 5 milioni di dollari. E di conseguenza i terroristi hanno imparato ad organizzare attentati meno costosi. La tabella degli 007 dice che per colpire gli Usa, l’11 settembre 2001, hanno speso quasi 500 mila dollari. Per il complotto di Natale contro il jet Northwest, un calcolo empirico stima il costo in 6 mila dollari, di cui 3 mila solo di biglietto aereo. Per fare le mutande bomba ne sono bastati, invece, poche centinaia.

Le difficoltà economiche di Al Qaeda hanno origine diverse. Intanto avendo perso coesione ed essendosi frantumato in tante realtà locali, il movimento ha visto diminuire l’afflusso di denaro in un’unica cassaforte. Fino al 2001 erano i collaboratori del Califfo a tenere d’occhio il salvadanaio e inmodo attento. Adesso la «torta» si è sbriciolata.

Poi i controlli, applicati tanto dagli occidentali che dai vari regimi, hanno disturbato— ma non interrotto — la pipeline dei petrodollari. Ha fatto notizia, ad esempio, la fatwa emessa nel 2007 da un alto esponente religioso, Abdel Aziz Al Sheikh, che ha ammonito i donatori «a non danneggiare i giovani musulmani». Frase per mettere in guardia sull’appoggio a gruppi eversivi. Decreti religiosi seguiti da alcune operazioni antiterrorismo che avrebbero portato all’arresto di diversi «collettori».

Dall’Arabia Saudita e soprattutto dal Kuwait sono partite comunque risorse. Solo in quantità più piccole. Non usano le banche né gli assegni ma il classico sistema hawala: io verso una somma ad una persona a Dubai che ha un corrispondente a Peshawar (Pakistan) che a sua volta, sulla parola, passa il denaro all’estremista.

Fonti Nato aggiungono un aspetto interessante. Una fetta consistente di aiuti economici si è spostata da Al Qaeda ai talebani, attualmente grandi beneficiari dei doni dall’esterno. Oltre 100 milioni di dollari soltanto nel 2008. Rispetto ai seguaci di Bin Laden, quelli del mullah Omar hanno maggiore libertà di movimento. Possono fare campagna e quindi hanno accesso a chi apre i cordoni della borsa.

E che ci siano meno spiccioli lo si comprende anche dalle dichiarazioni dei protagonisti. A partire dalla fine del 2008, i massimi leader hanno pianto miseria. L’apice degli appelli è stato raggiunto nell’estate 2009. Il primo a parlare è stato Mustafa Al Yazid, cassiere e gestore della vecchia Al Qaeda, che ha chiesto espressamente aiuto ai «fratelli in Turchia». Parole ripetute da Osama — o se preferite, dalla sua presunta voce — e poi rilanciate da figure minori della galassia qaedista. Tra queste anche Saed Al Shihri, uno dei leader dei mujaheddin nello Yemen. Altra preoccupazione crescente: assicuratevi che l’obolo vada per davvero ai combattenti. Un’esigenza accresciuta dal ricorso a piccole forme di «carità islamista», a volte via Internet.

Bin Laden e Mustafa  Al Yazid, il cassiere

Problemi sono poi emersi dai racconti di alcuni volontari reclutati in Francia e arrivati nell’area tribale pachistana per addestrarsi. Gli aspiranti militanti hanno pagato a testa 2 mila euro per il viaggio, 900 euro per le armi e le munizioni, 450 euro per il loro istruttore: Non solo. Alcuni di loro si sono visti confiscare costosi sacchi a pelo in nome della causa.
E' un autofinanziamento estremo che ritroviamo, sotto forme diverse, in altre aree. In Europa i piccoli gruppi di islamisti si arrangiano con il crimine (contraffazione, traffico di documenti e droga). In Algeria è il conrabbando e nel sud, nell'area del Sahel, sono i sequestri di occidentali. Con un ostaggio riescono  ad dai 3 ai 6 milioni di euro. Non poco. Oppure impongobno una tassa sulle bande che  trasportano cocaina dall'Africa occidentale verso Nord: circsa 2-4 mila euro per ogni chilo di polvere. Risorse che rimangono in loco e non vanno certo a Bin laden.
A partire dal 2005 i qaedisti tradizionali si sono dovuti rivolgere a quelli che in teoria avrebbero dovuto finanziare. Al Zawahiri ha chiesto un prestito a Al Zarkawi - cento mila dollari  appena - poi sono stati i militanti del " Lashkar E Toiba " a trovare i fondi per un complotto in Europa. Medesimo scenario per l'attentato di Mumbai, dove i soldi sono arrivati da mille rivoli. Una parte potrebbero aver avuto origine nel patto che lega estremisti e il boss Dawood Ibrahim, ferocemente anti-indiano e con ottimi lagami nel Golfo. Altre risorse sono state inviate da complòici residenti in città europee, a testimonianza di ramificazioni difficili da intercettare. Certo, erano poche centinaia di euro, sufficienti però a mettere in ginocchio  un simbolo dell'India.

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