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Il Foglio Rassegna Stampa
16.02.2010 La guerra al terrorismo non si combatte con gli strumenti del diritto ordinario
Anche Obama se n'è accorto. Rispedito a Guantanamo un fondamentalista islamico

Testata: Il Foglio
Data: 16 febbraio 2010
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Obama rispedisce a Guantanamo un detenuto già 'assolto'»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/02/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Obama rispedisce a Guantanamo un detenuto già 'assolto' ".


Guantanamo

Milano. Ogni giorno che passa, il presidente americano Barack Obama si accorge sempre di più che la gestione della guerra al terrorismo è materia difficile e delicata e che molte delle promesse fatte in campagna elettorale sulla sicurezza nazionale non sono realizzabili. Guantanamo è ancora aperto e non è detto che chiuderà mai, non perché Obama sia diventato cattivo, ma perché come il suo predecessore s’è trovato di fronte a un problema serio di inquadramento giuridico dei “nemici combattenti” catturati in battaglia. Dei centonovantadue detenuti rimasti a Gitmo, secondo Obama almeno una cinquantina non riceverà alcun tipo di processo e rimarrà in carcere a tempo indeterminato. Trentacinque prigionieri saranno giudicati dalle commissioni militari volute da George W. Bush, mentre i cento prigionieri residui potrebbero essere processati in corti federali oppure consegnati ai paesi d’origine. Il problema, in questo secondo caso, è che il trasferimento in alcuni paesi, come lo Yemen, rischia di riconsegnare i detenuti alla lotta armata, come è già successo più volte. Gli yemeniti ancora a Guantanamo sono una novantina. Difficile, quindi, procedere su questa strada. Pressato dalle critiche, spesso ingiuste, dell’ex vicepresidente Dick Cheney, ma anche dalla rivolta interna al suo stesso partito, Obama sta pensando di rinunciare all’idea di ricorrere ai tribunali federali, sacrificando uno dei punti più pubblicizzati della sua politica di sicurezza nazionale. Qualche giorno fa, l’Amministrazione ha ribaltato la decisione del dipartimento di Giustizia che intendeva processare a Manhattan, a pochi isolati da Ground Zero, l’architetto degli attacchi dell’11 settembre e quattro suoi camerati. Il sindaco di New York, i senatori e numerosi deputati democratici si sono opposti, per motivi di opportunità, di sicurezza e di costi, costringendo la Casa Bianca a cambiare opinione e a scaricare la responsabilità sul capo della Giustizia, Eric Holder. Obama ha promesso di indicare, forse già questa settimana, un altro luogo dove poter celebrare il processo ai cinque terroristi, ma nelle ultime ore i giornali hanno registrato il nuovo sentimento prevalente alla Casa Bianca che è quello di rinunciare del tutto ai processi ordinari e di far giudicare i terroristi di Guantanamo dalle Commissioni speciali militari istituite dal Congresso su richiesta di George W. Bush e approvate due volte con le correzioni imposte dalla Corte Suprema. Nelle dichiarazioni ufficiali, il ricorso alle corti ordinarie resta la strada preferita dagli obamiani, ma sembra più una copertura politica che una possibilità reale, tanto più che il Congresso è pronto a votare una legge che impone il ricorso alle commissioni militari. A far cambiare idea agli uomini di Obama, secondo la ricostruzione del Washington Post, è stata la sentenza di un giudice federale sul caso di Saeed Mohammed Saleh Hatim. Il dipartimento di Giustizia era convinto che le prove contro Hatim fossero schiaccianti, ma il giudice ha sentenziato in modo opposto, perché le prove contro il detenuto, catturato nella battaglia di Tora Bora, in Afghanistan, erano state raccolte in circostanze non compatibili con un processo penale ordinario: in guerra, non durante un’operazione di polizia. Il giudice ha ordinato il rilascio del detenuto, ma l’Amministrazione ha riportato Hatim a Guantanamo. Non è un caso isolato, sono ormai 32 i detenuti che hanno fatto ricorso a una corte e ottenuto un decreto di liberazione, poi non eseguito dall’Amministrazione. La guerra non si può combattere con gli strumenti del diritto ordinario, dicevano Bush e Cheney nei loro anni alla Casa Bianca e, nel caso del vicepresidente, anche adesso. Ora se ne sta accorgendo anche Obama.

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