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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Siamo tutti nella stessa trincea 13/02/2010

Su SHALOM n°2, febbraio 2010, a pag.48, l'analisi di Angelo Pezzana dal titolo "Siamo tutti nella stessa trincea", cosa fare con l'Iran.


puntati non solo su Israele

Se non conosci il nemico che vuole aggredirti, non avrai mai gli strumenti giusti per difenderti. In una ormai lontana analisi del 2005, Efraim Inbar, docente di Scienze Politiche all’Università Bar-Ilan e direttore del Centro di Studi Strategici Begin-Sadat, aveva profeticamente previsto come si sarebbe sviluppata la crisi nel mondo occidentale provocata dall’acquisizione dell’arma nucleare da parte dell’Iran. La prospettiva, vista da chi vive in Isreale, minacciato direttamente dal regime dei mullah, pone interrogativi che coinvolgono non solo lo Stato ebraico, ma il mondo intero. Che però passa da un ultimatum all’altro, sottostimando il pericolo che ha di fronte. Inbar denunciava già allora come gli sforzi diplomatici, insieme alle sanzioni, non stavano fermando il riarmo nucleare iraniano. Il governo israeliano aveva addirittura individuato nel marzo 2006 il punto di non ritorno, oltre al quale l’unica risposta poteva solo più essere l’uso della forza militare. Ma se questa era la voce della ragione, Europa e Stati Uniti, anche sotto l’amministrazione Bush, continuavano a seguire la politica del dialogo, nella convinzione che procrastinare una scelta diversa potesse produrre il miracolo. L’arrivo di Obama alla Casa Bianca ha peggiorato la situazione e ridato forza alla scelta nucleare iraniana, rivelando quanto neppure le esperienze passate, sotto l’infausta presidenza Carter, fossero servite di lezione. Il ruolo della repubblica islamica, di aperta minaccia anche verso gli stati musulmani moderati della regione, sembra contare ben poco nella valutazione che Obama dà alla sfida lanciata da Ahmadinejad, alleato, invece, con Siria, Hamas, Hetzbollah, a vario titolo entità nemiche dirette degli Usa. In questo aiutato da una Europa che continua a giudicare il comportamente dell’Iran come un “fattore di equilibrio nella regione mediorientale”, come ripetono i vari ministri degli esteri europei, italiano incluso. Che non sono altro che dei wishful thinking, che bello sarebbe se fosse così, quando però così non è. Mentre invece la prima reazione ad un Iran nucleare sarà la corsa a dotarsi delle stesse armi da parte degli altri stati della regione, primi fra tutti Arabia Saudita, Egitto, persino gli stessi Iraq e Turchia. Di fronte a questo scenario, che ricorda sempre di più l’Europa degli anni ’30, impotente davanti alla minaccia nazista, e perciò illusa di poter salvare la pace attraverso il dialogo, occorre chiedersi quale futuro si prospetta davanti al disinpegno americano, in parole povere quale sarà il ruolo di Israele. Ahmadinejad, nei suoi interventi dell’ottobre-dicembre 2005, aveva dichiarato di voler cancellare lo Stato ebraico dalle carte geografiche. Non ci risulta abbia cambiato idea, anzi, non ha fatto altro che confermarlo. Che Israele voglia quindi fermare questa ecalation è più che comprensibile, così come lo è la preoccupazione che la strada per arrivarci sia quella giusta. L’ipotesi diplomatica è stata percorsa in questi anni, sprecati, grazie anche all’azione dell’agenzia atomica dell’Onu, guidata da quel El Baradei, il cui comportamento nei confronti dell’Iran dovrebbe essere piuttosto classificato sotto la voce complicità. L’America, seguendo la dottrina Obama, ha scelto la politica della mano tesa, guai a mostrare i muscoli, dimostrando di non conoscere il nemico. Con il risultato di amplificare le difficoltà di un attacco militare contro i siti atomici, quando anche una parziale distruzione degli impianti ne pregiudicherebbe il funzionamento per anni. Senza contare quanti vantaggi ne trarrebbe l’opposizione interna a favore di un possibile cambiamento di regime. Un’operazione chirurgica, come l’hanno definita molti analisti strategici, dai buoni risultati. Ma per Israele c’è anche la minaccia nord-sud, dove l’arsenale militare di Hezbollah è triplicato in questi anni, con l’arrivo di missili a lunga gittata capaci di colpire fin nell’interno il suo territorio. Lo stesso dicasi di Hamas, i cui razzi possono raggiungere Tel Aviv. Gli israeliani sono coscienti che una guerra può sempre essere all’orizzonte, ma hanno fatto tesoro dell’esperienza passata di tre anni fa. Nessuno si illude che la pace sia dietro l’angolo, anche se questa è la speranza. Sarebbe però un errore di portata enorme se Europa e Stati Uniti lasciassero la questione iraniana nelle mani di Israele, che sarà sì l’ossessione del folle di Teheran, ma tutti sappiamo che dopo toccherà agli altri, esattamente come recita quella stramaledetta volontà di conquistare il mondo, impersonata allora da Hitler, con l’aiuto di Stalin, negli anni ’30, reincarnati nell’Jihad islamista oggi. Israele non deve essere il protagonista solitario di questa lotta, tutto il mondo democratico deve sentirsi solidale nella stessa trincea.


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