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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.02.2010 Nelle memorie di Olmert, il dilemma di una democrazia, fermarsi o continuare
La cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 febbraio 2010
Pagina: 23
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 13/02/2010, a pag.23, titolo " Olmert accusa: Ingannato su Gaza ", Francesco Battistini riferisce sulle anticipazioni uscite sui giornali israeliani delle memorie di Ehud Olmert, di prossima pubblicazione. Nel pezzo Battistini cita il gruppo " im tirzu ", per una informazione più accurata, digitare questo nome in home page nella finestra "cerca nel sito".


la democrazia ha molti volti, non sempre il risultato è quello sperato

GERUSALEMME — Ci pensa. A volte non ci dorme. Se solo si fosse deciso (quante volte se lo ripete), sarebbe stata un'altra storia: per Israele, per Gaza e un po' anche per lui. «Mi hanno ingannato con false informazioni. I militari e i politici. E fra questi Ehud Barak, il ministro della Difesa. Mi hanno fatto credere cose non vere». C'è un libro che sta per uscire in Israele e che venderà bene: le memorie di Ehud Olmert. L'uomo che andò al governo per caso, dopo la morte cerebrale di Sharon. E che il caso volle trascinasse il Paese in due guerre, Libano 2006 e Gaza 2009. L'ex avvocato, l'ex sindaco, l'ex laburista. Che ora accusa quel che resta dei laburisti e del loro capo, Barak: «Con Hamas, io volevo andare fino in fondo. Lui me l'ha impedito. Manipolando cifre e stime».

In preghiera Ehud Olmert davanti al muro del Pianto nel 2006 quando era primo ministro d’Israele, carica che ha ricoperto fino al 2009

La versione di Olmert. La vendetta di Olmert. Un anno dopo aver lanciato le bombe sulla Striscia ed essere finito sotto processo per una storia di rimborsi gonfiati, il premier che lasciò la poltrona a Bibi Netanyahu si leva un sassolone. Le sue memorie, anticipate nel succoso capitolo sull'operazione Piombo Fuso. «Parole— scrive Maariv— che scuoteranno gli ambienti politici e militari».

Racconta Olmert che, fin dal primo giorno di bombardamenti, Barak era ansioso di chiudere. Le elezioni erano vicine, alto il rischio d'impopolarità nella sinistra. Schiacciare sul pedale? Il ministro gli spiegò i pericoli: «Mi presentò stime poco accurate su quante vittime ci sarebbero state entrando a Gaza, anche solo superando la Philadelphia Road», il corridoio fra la Striscia e il Sinai. Durante la guerra, ci si chiese se e quando gl'israeliani fossero pronti a sferrare l'attacco di terra.

Ora scopriamo che Olmert lo era: «Volevo sbarazzarmi definitivamente di Hamas e liberare Gilad Shalit», il soldato ostaggio da quasi quattro anni. Barak però fu lesto a presentare «falsi dati anche sui tempi d'una simile missione». Il premier capì il gioco compiendo due verifiche personali, parlando col capo di Stato maggiore Gabi Ashkenazi. Ma non poté fare nulla di fronte al dilemma: da un lato, ormai dimissionario, aveva la libertà d'agire senza condizionamenti; dall'altro, anatra zoppa, mancava della legittimazione per fare un passo del genere. Contrario Barak, contraria la ministra degli Esteri, Tzipi Livni, poco inclini pure i vertici militari. E così, già scottato dall' inchiesta Winograd sulle perdite in Libano, alla fine Olmert decise di non decidere. Con «un rammarico che non mi abbandonerà mai».

Fu evitata una carneficina ancora peggiore? O si sarebbe evitato il peggio di oggi? Molti israeliani pensano che il dopoguerra dia ragione a Olmert. A Gaza sono ancora in piedi i tunnel, funzionano bene i Qassam e Hamas non dà segni di crisi. In compenso, di liberare Shalit non c'è alcuna speranza; l'ex premier, la Livni, Barak e Ashkenazi rischiano l'arresto per crimini di guerra ogni volta che vanno in Europa; il governo di Gerusalemme è sotto lo schiaffo Onu del rapporto di Richard Goldstone, il giudice sudafricano che l'accusa d'atrocità. Piombo Fuso cola ancora sulle ferite d'un Paese diviso, con gruppi di destra come Im Tirtzu che accusano quelli di sinistra come New Israel Fund d'avere tradito, fornendo a Goldstone il 90 per cento del materiale accusatorio. Col Jerusalem Post che censura i pacifisti. Coi pacifisti che denunciano «il pericolosissimo attacco alla democrazia». Con Avinadav Begin, nipote del Nobel e figlio d'un ministro falco di Netanyahu, che pubblica un libro pure lui per chiamarsi fuori da «questa fabbrica delle guerre». Con Erez Tadmor, voce storica delle ong filo-Likud, che irride «questa sinistra pronta a criticare chiunque e a piagnucolare appena viene criticata».

Nelle ultime 48 ore ci sono stati altri morti, a Gaza. Tre bambine ferite. Il capo siriano di Hamas, Meshaal, è tornato a promettere «una nuova guerra, ma stavolta regionale», come vuole l'Iran. E l'altro giorno, quando Netanyahu ha proposto di prolungare il mandato di Ashkenazi, un suo ministro è insorto. Dicendo che il generale ha ambizioni politiche. Che si deve far da parte. Quel ministro, ancora al suo posto, è Barak.

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