Per quale motivo Hamas insiste per la liberazione di Barghouti, di Mordechai Kedar
( traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo)
Nella cultura mediorientale, chi è stato salvato o liberato dalla prigionia deve la vita al suo liberatore e qualsiasi cosa questi gli chiederà sarà per lui un dovere, a saldo del suo debito. Il liberato, quindi, diventa “prigioniero” del suo liberatore, come pegno di riconoscenza.
Se e quando avverrà la liberazione di Gilad Shalit in cambio di assassini palestinesi già condannati, questi dovranno a Hamas la loro liberazione e diverranno “prigionieri della gratitudine” di Hamas stessa, anche se faranno parte di altre organizzazioni e movimenti, mentre Hamas estenderà il suo dominio nell’universo politico palestinese. Questo è il motivo per cui Hamas insiste per scarcerare uomini appartenenti ad altri movimenti come Marwan Barghouti (Fatah) e Ahmed Saadat (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), che in questo modo diventeranno delle marionette nelle sue mani.
Così Hamas, che ha festeggiato in questo mese i suoi 22 anni, attraverso questo “affare” si trasforma nell’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, titolo che soltanto l’Olp di Arafat poteva sventolare con fierezza. Hamas, infatti, vuole dimostrare di essere l’unico in grado di mettere Israele in ginocchio, di costringerlo a rinunciare a interessi strategici e provare al mondo intero che lo Stato ebraico può essere vinto, se non in guerra, nella trattativa.
Hamas, che domina con pugno di ferro nello stato di Gaza, ha fatto vedere al mondo arabo e islamico che un movimento popolare può fondare uno stato e dirigerlo, può avere la meglio nei negoziati con altri stati e superpotenze e tutto questo grazie alla legge islamica e non a quella laica, imposta da regimi frutto del colonialismo occidentale, compreso quello della “banda di Ramallah” (di Arafat prima e di Abu Mazen poi), nato dagli accordi illegittimi di Oslo, che comportavano il riconoscimento d’Israele.
Hamas è la torcia che illumina il cammino dei Fratelli Mussulmani in Egitto, in Siria, in Giordania, in Tunisia e in ogni luogo del mondo in cui islamici fanatici aspirano a scrollarsi di dosso il retaggio politico e culturale lasciato dal dominio degli infedeli.
Se la trattativa per liberare Shalit da una parte e i terroristi di diverse organizzazioni dall’altra andrà a buon fine, il copione dei “prigionieri della gratitudine” di Hamas ben presto si ripeterà: è soltanto questione di tempo.