L’IRAN IN FERMENTO di Mordechai Kedar, (traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo )
Questa settimana, durante la “Giornata dello studente” (che commemora l’uccisione, nel 1953, di tre ragazzi da parte delle forze di sicurezza dello scià, n.d.t.), una grande folla di giovani iraniani si è riversata nelle strade delle grandi città del Paese. Questa volta il richiamo in piazza non è legato alle ultime elezioni politiche ma all’esistenza stessa del regime degli Ayatollah. Lo slogan che ha caratterizzato la manifestazione è stato: “Morte al dittatore”, rivolto ad Ali Khamenei, leader supremo dell’Iran, lo stesso che ha deciso che la vittoria alle elezioni di cinque mesi fa spetta senz’ombra di dubbio ad Ahmedinajad. Anche in quest’occasione il regime ha fatto ricorso alle armi per disperdere i manifestanti, riuscendo a ristabilire l’ordine dopo due soli giorni e lasciando a terra morti e feriti. Certamente questa non sarà stata l’ultima ondata di protesta contro il Governo; la prossima è prevista fra una ventina di giorni, in concomitanza con la festa dell’Ashura, giornata in memoria del martirio di Husayn ibn Ali (figlio del quarto imam e nipote del profeta Maometto, n.d.t.), nel 680 dopo Cristo, per opera dei soldati del califfo omayyade Yazid. Il regime iraniano, infatti, in questa celebrazione rischierà di essere identificato con il boia che, reprimendo gli studenti, replica il martirio. Il problema del Governo iraniano è che questa cerimonia è un’antica tradizione sciita e apparentemente non ha alcun valido motivo per vietarne lo svolgimento pubblico, nonostante il timore che queste manifestazioni possano trasformarsi in proteste contro il regime stesso. Tuttavia, se il Governo deciderà di proibire al popolo di festeggiare in piazza, dovrà arrampicarsi sugli specchi per trovare una seria motivazione. Se la prossime manifestazioni saranno numericamente consistenti, estese geograficamente e condivise da diversi ceti sociali, esse rappresenteranno una sfida alla stabilità e alla legittimità del potere degli Ayatollah. Alcuni osservatori e analisti prevedono la fine di questo regime nel giro di un anno, ma chi può dirlo? Gli sviluppi politici in Medio Oriente sono imprevedibili e in qualsiasi momento può delinearsi uno scenario nuovo oppure verificarsi una catastrofe naturale (come la recente alluvione a Jeddah, in Arabia Saudita) le cui onde d’urto porteranno un cambiamento. Resta soltanto da sperare che queste onde non finiscano per travolgere anche noi. Ecco alcuni dati forniti da Amnesty International sulle repressioni delle manifestazioni studentesche in Iran nel corso del 2009, le più violente negli ultimi vent’anni di storia del Paese. Nel suo rapporto Amnesty evidenzia il fatto che da trent’anni è vietato l’ingresso in Iran agli osservatori internazionali, cosicché le notizie arrivano da fonti non governative, di cui non è indicato il nome per paura di ritorsioni. Il rapporto parla di maltrattamenti e torture sistematiche, violenza carnale e minacce di morte nei confronti dei manifestanti fermati, ai quali sono state estorte confessioni di reati mai commessi. Fonti dell’opposizione sostengono che durante le manifestazioni del dopo elezioni sono state fermate almeno 4000 persone, di cui 200 sono ancora in prigione e cinque sono state condannate a morte, mentre il numero dei morti stimato ammonta a una settantina. A ciò si aggiunga che nelle ultime manifestazioni della “Giornata dello studente” sono state arrestate altre 200 persone. Inoltre, due giorni prima di quest’evento sono stati bloccati la rete internet, i servizi sms e altri sistemi di comunicazione. La polizia iraniana e le “Guardie della Rivoluzione” hanno bloccato gli ingressi agli ospedali e arrestato i feriti, mentre i reparti del “Basij” (forze paramilitari sotto il comando delle Guardie della Rivoluzione) hanno fatto incursione nei campus universitari e negli alloggi degli studenti, gettando alcuni di questi dalle finestre, secondo una pratica ampiamente adottata anche da Hamas nella Striscia di Gaza nei confronti degli oppositori, i seguaci di Abu Mazen.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. Link: http://eightstatesolution.com/ http://mordechaikedar.com/
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