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David Braha
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Radiografia aggiornata di Israele 06/02/2010

Sono tante le domande che ci poniamo sui problemi che coinvolgono oggi Israele. David Braha ne ha poste alcune all'ambasciatore Zvi Mazel. Ecco le sue risposte:


Zvi Mazel

La posizione di Israele al giorno d’oggi non è delle più favorevoli: i rapporti con l’amministrazione Obama sono tesi, l’Iran non sta fermando la sua corsa al nucleare, e il processo di pace con i palestinesi è in stallo. Come pensa che si dovrebbe muovere il governo israeliano in questo contesto?

Non penso che la situazione di Israele è brutta come l’ha appena descritta: è vero che ci sono dei problemi, ma non bisogna scordarsi che Israele è un paese molto forte. Il problema è che questo conflitto tra israeliani e palestinesi non è quasi mai compreso dal mondo esterno: è per questo che bisogna osservarne prima di tutto la storia più recente. Se analizziamo la storia degli ultimi dieci anni, vediamo che Israele ha proposto in momenti diversi almeno tre progetti di pace con conseguente spartizione dei territori, progetti che ogni volta sono stati rifiutati dai palestinesi. È successo a Camp David nel 2000, quando Israele offrì una restituzione del 95-96% dei territori richiesti dai palestinesi, una divisione di Gerusalemme, ed una gestione condivisa del Monte del Tempio: allora Arafat sarebbe potuto uscire dai negoziati come primo presidente di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est capitale. Ma egli rifiutò, e al suo ritorno scatenò l’Intifada. Ci fu un altro tentativo a Taba nel 2001, ed un altro ancora nel 2008 con l’ex-Primo Ministro Olmert prima che si dimettesse: entrambi i piani vennero rifiutati. Non solo, ma la cosa più importante è che non venne mai nemmeno proposto un piano alternativo, un ‘controprogetto’ che rispondesse in qualche modo alle proposte, poi rifiutate, fatte da Israele. A tutto questo si può dare solo una possibile spiegazione: la leadership palestinese non è interessata alla pace. Quindi tornando alla domanda su cosa dovrebbe fare Israele in questo momento, penso che non dovrebbe fare assolutamente niente. Netanyahu come noto ha già accettato l’idea della creazione di uno Stato palestinese, e ha congelato la costruzione di strutture private in Cisgiordania: ma non si possono fare altre concessioni prima ancora di iniziare i negoziati, come invece vorrebbe Barack Obama.

 La Relazione Goldstone ha ulteriormente infangato l’immagine di Israele agli occhi del mondo. Pensa che Israele si sia mosso in maniera corretta per difendersi dalle accuse rivoltegli da questo documento?

Analizzando la storia della Relazione Goldstone dall’inizio alla fine non è poi così difficile arrivare alla stessa conclusione alla quale è arrivata il governo d’Israele in primo luogo. La decisione di inviare una delegazione per investigare sui fatti di Gaza è stata adottata dall’UNHRC (United Nations Human Rights Council), un organo completamente anti-israeliano. È un dato di fatto: è dominato da paesi islamici che non fanno altro che passare risoluzioni contro Israele, ignorando completamente le violazioni dei diritti umani che avvengono in altri paesi, inclusi gli stessi paesi islamici. La commissione aveva poi come compito quello di “investigare i crimini di guerra perpetrati da Israele”: è ovvio che con un obiettivo del genere, la colpevolezza di Israele era già stata stabilita fin dall’inizio. Israele quindi si è mosso correttamente, in quanto è impensabile collaborare con una delegazione del genere se queste sono le premesse. Bisogna inoltre ricordarsi che Goldstone è andato a Gaza, un territorio sotto il dominio di Hamas, scortato e guidato dagli stessi membri del gruppo terroristico. In altre parole Hamas ha sorvegliato continuamente lo svolgimento dei lavori: anche per questo è logico che tutto quello che può venire fuori da una situazione del genere non può che essere una condanna ad Israele. Piuttosto il vero problema che la Relazione Goldstone pone non riguarda solo Israele, bensì tutti i paesi occidentali. Se volessimo riassumere la Relazione in un’unica frase, questa sarebbe che non si può combattere il terrorismo, in quanto non si può sparare sulle scuole, sulle moschee, sugli ospedali, o sulle abitazioni private. Il problema, e ciò che il mondo sembra non voler capire, è che la guerra al terrorismo è combattuta, purtroppo, proprio dentro a questi luoghi. Non esistono più i conflitti in cui due eserciti regolari si scontrano uno contro l’altro in battaglia: al contrario, la guerra al terrorismo è una guerra in cui un esercito combatte contro terroristi che si mimetizzano, si nascondono e si riparano dietro la popolazione civile, nei luoghi in cui questa vive. Perciò è ovvio che nel combattere il terrorismo dei civili rimarranno sempre uccisi. Inoltre se analizzassimo tutte le guerre degli ultimi anni che hanno coinvolto paesi islamici, la stragrande maggioranza dei civili mussulmani rimasti uccisi tra combattimenti, attentati ecc. sono stati uccisi da altri mussulmani e non dagli occidentali, o da Israele. I terroristi si nascondono dietro i loro stessi civili, e non gli interessano nemmeno le vite dei loro simili: la loro priorità è imporre la loro visione del mondo a tutti, e per farlo sono pronti a farsi uccidere, ma soprattutto ad uccidere chiunque si trovi sulla loro strada. Spesso in Europa i terroristi vengono chiamati guerriglieri, ma questo è un errore: la guerriglia è associata al combattimento per uno scopo giusto, come i partigiani che combattevano contro i Nazisti. Ma questa non è guerriglia, è terrorismo. E il terrorismo non tiene conto dei civili.

Cosa dovrebbe fare Israele per mostrare la sua vera immagine agli occhi del mondo, e non quella distorta dai media quindi?

Questa è una questione estremamente complessa. Io penso che dal punto di vista della sicurezza Israele faccia esattamente quello che dovrebbe fare: combattiamo il terrorismo con efficienza e fermiamo con successo la maggior parte degli attacchi o attentati rivolti al nostro paese. Tuttavia oggi viviamo nell’era dei mass media e delle comunicazioni, e per questo la guerra che Israele combatte è su due fronti: uno fisico, contro il terrorismo, ed uno mediatico. Il nostro governo ha ottime relazioni con gli USA e i paesi europei non solo dal punto di vista diplomatico, ma anche di sicurezza e di intelligence, e per questo i governanti dell’occidente ci capiscono, e soprattutto capiscono molto bene le problematiche che ci affliggono. Ma quando leggo la stampa europea quello che vedo è che le notizie riguardanti Israele sono semplicemente false, in quanto la maggior parte delle volte non raccontano i fatti. Secondo me questi giornalisti tradiscono la propria missione, in quanto raccontano una versione fin troppo spesso di parte. Poi questa cosiddetta ‘informazione’ arriva alla gente: noi possiamo spiegare quanto vogliamo le nostre ragioni a Berlusconi, Sarkozy, Angela Merkel, ma quando ai cittadini arrivano informazioni totalmente diverse, ci troviamo davanti ad un problema non indifferente, un problema che sta diventando il problema principale di Israele, anche più importante della sicurezza. La sicurezza infatti, come ho già detto, la sappiamo gestire molto bene; ma il rapporto con i media no. Di conseguenza ciò che questo e tutti i prossimi governi israeliani dovrebbero fare, è trovare il modo di combattere al meglio la battaglia mediatica che viene condotta contro Israele: dobbiamo trovare il modo di raccontare al mondo la verità. Per riuscire in questo però si deve prima accettare l’idea che dovranno essere investiti milioni e milioni in un progetto di questa portata: si potrebbe aprire un canale televisivo israeliano in lingua araba, di modo che gli arabi in giro per il mondo possano vedere una versione che sia diversa da Al Jazeera, la quale è apertamente anti-israeliana; si potrebbe incrementare il budget delle ambasciate israeliane all’estero ed aumentare il numero degli addetti alle relazioni con i media ecc. Il problema non è irrisolvibile, ma bisogna entrare nell’ottica che il campo dell’informazione conta quanto quello della lotta al terrorismo, e che per questo bisogna compiere grandi sforzi per riuscire a combattere efficacemente anche su questo fronte.


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