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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.02.2010 Gerard Depardieu in difesa di un antisemita
Articolo di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 febbraio 2010
Pagina: 14
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Se il grande Depardieu accorre in difesa di un antisemita»

Una storia di antisemitismo d'Oltr'Alpe, raccontata da Bernard-Henri Lévy sul CORRIERE della SERA di oggi, 06/02/2010, a pag.14, con il titolo " Se il grande Depardieu accorre in difesa di un antisemita ".
Ecco il pezzo:


Gerard Depardieu, Bernard-Henri Lévy

Una storia incredibile: un responsabile socialista, presidente della grande regione francese della Linguadoca-Rossiglione, spiega tranquillamente, a proposito del suo compagno di partito Laurent Fabius, che «votare per lui, per quel tizio, in Alta-Normandia» gli porrebbe un problema, perché «ha un muso poco cattolico». Ed ecco che tutta una parte dell’opinione pubblica, socialista e non socialista, corre in aiuto non di chi è stato insultato ma di chi ha insultato, asserendo che non c’è nessun pericolo; che bisogna smetterla di vedere il male, in questo caso l’antisemitismo, ovunque; che era solo un modo di parlare, di scherzare, un gioco di parole. Ecco che il grande Gérard Depardieu, i cui interventi nel campo della politica sono rarissimi, prende la penna in mano per chiedere «che si lasci in pace» il signor Frêche, perché il signor Frêche «ha fatto tanto per la regione», perché è «molto più autentico e simpatico di Martine Aubry, segretario del Partito socialista, e compagni», e perché si è limitato a dire ad alta voce quello che si è sempre detto a voce bassa nella sua stessa famiglia, quella di Depardieu, come in tutte le famiglie dove «non si sapeva né leggere né scrivere» e dove il padre «beveva». Il guaio è, caro Gérard Depardieu, che il signor Frêche sa leggere e scrivere e che, quando si sa leggere e scrivere, si è responsabili di quel che si dice. Il guaio è, quando si è il signor Frêche, cioè un rappresentante della Repubblica, che l’alcol non giustifica l’antisemitismo, il razzismo, l’oscenità. Il guaio, la verità, è che sarebbe meglio non dire assolutamente nulla, non immischiarsi nella politica, piuttosto che accettare, come lei sembra fare, che la politica sia ridotta al livello zero, come accade quando si ricorre ad affermazioni sul carattere più o meno «simpatico» o «autentico» di tale o talaltra persona. È così che, un tempo, si parlava di Jean-Marie Le Pen; per gli ingenui, il fatto di essere simpatico e autentico era la sua forza e il suo atout. Si diceva: «Lui almeno parla chiaro, senza riserve; non se ne può più del linguaggio asettico, castigato, usato dall’establishment e lui ha il merito di aver chiuso con il politichese». Si diceva proprio così e questo era sufficiente per garantirgli un posto di «simpatico» nelle tribune e nei cuori. È mai possibile che un uomo come Lei cada nella trappola di una bassezza, di una volgarità così grossolane? La verità, infine, è che se si lascia passare un termine simile, se si permette che un responsabile politico di tale livello si esprima come il primo bruto avvinazzato che capiti, o come, dice lei, l’umorista che purtroppo nemmeno è; insomma, se si lascia un amministratore comunale, che forse ha anche fatto «grandi cose» per «la sua regione», parlare di Laurent Fabius allo stesso modo in cui Charles Maurras parlava di Léon Blum o di Georges Mandel, allora, caro Depardieu — pur non volendo drammatizzare, o usare termini troppo pesanti, o dare a questa vicenda più importanza di quanta ne abbia l’incontinenza verbale di un vecchio signore che ci ricorda come né la stupidità né il populismo siano appannaggio di un campo piuttosto che di un altro — allora sì, ci rendiamo partecipi di un avvilimento della coscienza pubblica che, da molto tempo, non aveva dato tanti segnali come in questi giorni. Il Partito socialista avrebbe dovuto già espellere il signor Frêche quando, nel 2006, interpellò un gruppo di harki (algerini al servizio dei francesi durante la guerra d’Algeria, ndt) di Montpellier definendoli una «sottospecie d’uomini». Avrebbe dovuto allontanarlo quando, nel febbraio e poi nel novembre dello stesso anno, riprese, parola per parola, i termini di Jean-Marie Le Pen sulla squadra di calcio francese diventata, secondo lui, un’accozzaglia di «cretini» che «non sanno cantare la Marsigliese» perché sono quasi tutti «black». «La normalità — disse con finezza Georges Frêche — sarebbe che di questi calciatori ce ne fossero solo tre o quattro»! Ma ora, con «nove black su undici», si è superato il limite ed è l’anima della Francia che è andata perduta! Sarebbe stato bene cacciarlo via, quest’uomo, quando, l’anno precedente, dopo aver spiegato i suoi rovesci elettorali con il fatto che la sua città era diventata talora «una postazione avanzata dell’esercito israeliano Tsahal», talora «un feudo di donne velate» legate a Al Qaeda, aveva detto, a proposito dei suoi concittadini di origine maghrebina: «Non vorranno adesso imporci la loro religione»; e poi: «Il problema più importante non è la loro religione, ma il loro numero»; infine: «Ne abbiamo abbastanza di veder la Francia colpevolizzarsi sulla colonizzazione». Oggi è stato messo alla porta. Stavo per dire soltanto oggi. Ma non è mai troppo tardi. I socialisti devono sapere che il minimo indugio, il minimo tentativo di accomodamento, la minima manovra o contorsione di fronte alla decisione di Martine Aubry di espellerlo dal Partito, avrebbero l’effetto di squalificare in anticipo tutto quello che potrebbero dirci del dibattito sull’identità nazionale o delle sbandate di Bruce Hortefeux, ministro dell’Interno, o di Eric Besson, ministro dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale. L’affaire Frêche non è l’affaire Frêche. È uno di quei segni rivelatori— Michel Foucault avrebbe detto una di quelle «secrezioni del tempo» — che portano a mettere in gioco l’essenziale e che, come in questa circostanza, inducono la politica a ritrovare l’onore o a perderlo.
traduzione di Daniela Maggioni

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