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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il paradosso palestinese 16/01/2010
Il paradosso palestinese
di Zvi Mazel
(Traduzione a cura di Emanuel Segre Amar)


Zvi Mazel


Nonostante prosegua il dialogo con gli Stati Uniti alla ricerca della giusta formula che permetta la ripresa delle trattative, la posizione assunta dall’amministrazione Obama, e la sleale pressione esercitata dall’Unione Europea, hanno finito per rompere quella fragile struttura che in precedenza aveva reso possibili i negoziati tra Israele ed i Palestinesi.

Anche se non avevano portato alla pace sperata, tuttavia costituivano un canale bene accetto dalle parti per portare avanti il dialogo. Persino il governo Olmert arrivò  ad accettare la proposta americana di istruire le forze armate palestinesi in Giordania sotto la supervisione del generale Keith Dayton; in tal modo si aprì la strada per la creazione di un esercito regolare  in grado di combattere, allenato con metodi occidentali.

Fu una grande concessione, anche se giudicata da molti a rischio. Questa forza militare deve tenere l’ordine in Giudea e in Samaria, ma chi potrebbe assicurare che non si rivolterà contro Israele in circostanze diverse? Israele, nell’anno passato, ha dimostrato la volontà di riprendere le trattative con  i Palestinesi, come ha dichiarato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Bar-Ilan University, sottoscrivendo l’accettazione del principio dei due stati. Così come l'adesione al congelamento per 10 mesi delle nuove costruzioni nei territori della West Bank.

Ciò nonostante, sostenuta dall’appoggio al mondo musulmano da parte del Presidente Obama, l’Autorità Palestinese ha scelto la direzione contraria ed ha rifiutato di ritornare al tavolo dei negoziati, lanciando contemporaneamente una guerra diplomatica, mediatica e legale contro lo Stato di Israele. L’UE, a sua volta, continua a premere sullo Stato ebraico, con una dichiarazione che invita al ritiro fin dentro i confini del 1967 ed alla proclamazione di Gerusalemme capitale di entrambi gli stati. Il che renderebbe inutili i negoziati determinandone il risultato fin dall’inizio.

Il mondo sembra aver dimenticato che Israele ha già fatto delle concessioni straordinarie a Camp David e a Taba. Yasser Arafat non solo rifiutò le proposte israeliane, ma neppure mai fece delle contro-proposte. Lo stesso scenario si è avuto ad Annapolis nel 2008. Secondo un’intervista molto esauriente rilasciata ad Al.Jazeera da Saeb Erekat il 27 marzo scorso, il Primo Ministro Ehud Olmert ha fatto delle concessioni ancora maggiori, ma questo non è stato sufficiente per il Presidente della Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che è  uscito dalla stanza quando Olmert ha proposto una amministrazione congiunta per il Monte del Tempio.

Erekat ha anche affermato che, allorquando il Presidente Bill Clinton disse ad Arafat a Camp David che sarebbe stato il primo Presidente dello Stato di Palestina con Gerusalemme est come capitale, ma che avrebbe dovuto ammettere il fatto che le vestigia del Tempio erano sepolte sotto la Moschea di al-Aqsa, e che quindi ci sarebbe stata un’amministrazione comune per il Monte del Tempio, Arafat interruppe le trattative.

Non vi fu alcuna dichiarazione israeliana che negasse queste rivelazioni, anche le interviste recenti di Abbas e di Olmert confermano la versione di Erekat. Persino l’ultimo round dei negoziati fatte da Olmert e da Tzipi Livni hanno goduto di un livello di segretezza raramente riscontrato in altre occasioni. E così le concessioni che i due leaders erano pronti a fare sono state tenute sotto copertura – forse per il timore dell’impatto che avrebbero avuto nelle imminenti elezioni.

 Questo è stato un errore di calcolo colossale. La Knesset, il paese ed il mondo tutto, avrebbero dovuto sapere che l’offerta estremamente generosa fatta ai Palestinesi era stata rifiutata, in modo da far ricadere chiaramente su Abbas la  responsabilità. Un passo simile avrebbe permesso di migliorare i rapporti  con Obama e i suoi consiglieri. Sembra che il nuovo governo guidato da Netanyahu non fosse neppure del tutto al corrente dei dettagli dei negoziati falliti, e che quindi fosse poco preparato ad affrontare le accuse che gli venivano rivolte.

Poi è arrivato il rapporto Goldstone. Il messaggio principale che vi si trova non sono tanto le accuse del tutto infondate per i crimini di guerra, quanto piuttosto il tentativo di porre dei limiti a quanto Israele è “autorizzata” a fare con l’uso della propria forza militare per difendersi contro le organizzazioni terroristiche. Un simile passo non era del tutto inaspettato da parte delle Nazioni Unite, e soprattutto dal Comitato per i Diritti Umani, nel quale gli stati islamici e quelli arabi hanno un peso decisivo.

Quello che era inatteso era che, ad esempio,   la Casa Bianca  arrivasse a chiedere dei “chiarimenti” in seguito alla recente operazione di Nablus. (In uno scontro con le forze di sicurezza israeliane, tre terroristi, che avevano ammazzato un padre di sette figli, erano stati uccisi). Questa richiesta, portata avanti per volere dell’Autorità Palestinese, costituisce un precedente pericoloso. Messa poi insieme con il Rapporto Goldstone tende a creare un nodo di difficile soluzione per il governo e per le forze di sicurezza quando vi siano da effettuare degli interventi militari.

Nello stesso tempo le organizzazioni terroristiche, sotto il comando di alcuni paesi arabi, potranno continuare ad attaccare i nostri cittadini facendosi scudo dietro i civili, come succede anche in ospedali, scuole, moschee. Hamas e Hezbollah proclamano in tutti i modi possibili che loro non riconosceranno mai Israele e lotteranno fino alla sua sparizione – senza suscitare peraltro nessuna protesta a livello  internazionale. Le organizzazioni arabe, sostenute dai movimenti della sinistra occidentale, si danno molto da fare per far emettere mandati di arresto in alcuni paesi europei - quelli che hanno una legislazione particolarmente permissiva - nei confronti di leaders politici e militari per “crimini di guerra”; e parimenti incitano al boicottaggio dei prodotti israeliani  quando vengono organizzate dimostrazioni in favore di Gaza.

In tutti i confronti militari, i paesi arabi ed i movimenti palestinesi sono stati sconfitti. Ora essi stanno tentando altre strade per combattere Israele. Provano coi media per scalfirne l’immagine, con il fine ultimo di delegittimarne la stessa esistenza. Sono aiutati  da centinaia di organizzazioni della sinistra e da movimenti della società civile occidentale. Per loro Israele è una potenza neo-coloniale, così come lo sono gli USA. Ma Israele è una preda più facile per le sue dimensioni e perché è isolato.

Anche l’antisemitismo è attivo in questa situazione. I media palestinesi ed arabi, con il pieno appoggio dell’establishment dei paesi arabi, usa ogni possibile clichè da usare sui media, e alcuni di questi hanno trovato via libera in Occidente, riproponendo il più classico degli antisemitismi europei del secolo scorso.
Insultato ed isolato, lo Stato ebraico si trova pertanto di fronte a una minaccia strategica per la sua stessa legittimazione ed esistenza.

Qui sta il paradosso palestinese: mentre Israele ha fatto immensi sforzi per andare verso una soluzione del problema, i leaders palestinesi, sulla cresta dell’onda di un’opinione pubblica occidentale favorevole, stanno diventando sempre più intransigenti – ed è poi su Israele che alla fine vengono fatte cadere tutte le responsbilità.

(Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto ed in Svezia)




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