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David Braha
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Il giudizio di Sergio Itzak Minerbi su Pio XII 23/12/2009
 David Braha ha intervistato a Gerusalemme Sergio Itzak Minerbi, lo storico per eccellenza dei rapporti Israele-Vaticano.
Di Sergio Itazak Minerbi apprezziamo la chiarezza del linguaggio, una dote che non appartiene a molti diplomatici. Il suo pensiero è chiaro, ci sarà chi non sarà d'accordo, ma una cosa è certa, quello che dice arriva diritto all'obiettivo.
Eccola:


Sergio I. Minerbi

 Papa Benedetto XVI ha parlato di “eroiche virtù” di Pio XII, molti invece lo vedono piuttosto come “il Papa del silenzio”: che ne pensa ?

“Le beatificazioni sono una questione interna della Chiesa. Tuttavia alcune di queste hanno importanza anche per altri, in questo caso gli ebrei, poiché se c’è un dialogo in corso è evidente che tale dialogo verrebbe troncato se Pio XII diventasse beato e poi successivamente santo.
Inoltre con questo [la beatificazione di Pio XII] secondo me si vuole mettere il bavaglio alla bocca dei cattolici, non degli ebrei: gli ebrei potranno continuare a protestare finché vogliono, finché possono, ma i Cattolici di fronte ad un santo possono solo inginocchiarsi e pregare.
Questo è un atto dimostrativo della pochissima importanza che il Papa attuale da al dialogo con gli ebrei.
Sulla questione del “Papa del silenzio” non penso ci possa essere alcuna discussione possibile: mentre alcuni hanno chiesto l’apertura degli Archivi Vaticani per il silenzio papale non c’è bisogno di aprire nessun archivio, perché è di pubblica notorietà che il Papa ha preferito tacere sul massacro degli ebrei che avveniva davanti ai suoi occhi.
Sulle ragioni di questo ci possono essere varie spiegazioni: alcuni sostengono che un suo intervento verbale contro le persecuzioni avrebbe causato più danni che benefici agli ebrei stessi. Io ritengo che avrebbe potuto per lo meno associarsi agli Alleati quando nel 1942 decisero di uscire con una dichiarazione pubblica contro i massacri: lo invitarono, ma lui non lo fece, non si convinse. Avrebbe potuto ascoltare il vescovo di Berlino, von Preysing, che gli scriveva sulla situazione tragica degli ebrei e che pregava di prendere provvedimenti, di fare qualche cosa.
Tutto questo non fu fatto. Pio XII ricevette una dozzina di lettere o più da von Preysing, gli rispose pure, ma non cambiò minimamente la sua politica.

Abbiamo quindi detto che ci sono alcuni che vorrebbero vedere il processo di beatificazione congelato almeno fino all’apertura degli Archivi Vaticani; abbiamo l’Ufficio di Stampa Vaticana al contrario che afferma che dagli Archivi non potrà uscire niente di nuovo, che tutto quello che c’è da sapere già si sa. Lei pure la pensa così?

 Si, e per un semplice motivo. Se ci fossero dei documenti che provassero in qualche modo la colpevolezza di Pio XII nei confronti degli ebrei, questi documenti sarebbero già spariti.
Se poi parliamo del silenzio, di qualcosa che è noto, non c’è bisogno di documentarlo: è così, la Chiesa nemmeno afferma il contrario, ma spiega solo il perché.
Può darsi che ci siano stati aiuti dati segretamente: io stesso sono stato salvato in un’istituzione cattolica. Ma so con sicurezza che il preside di quest’istituzione non si era consultato con Pio XII nonostante lo vedesse almeno una volta al mese. Il fatto è che in alcune località gli alti gradi della Chiesa hanno contribuito a salvare ebrei: così è stato a Firenze o a Genova.
In altre località, come a Venezia, il patriarca era d’accordo con i Nazisti. Quindi se ci fosse stata una posizione chiara, netta, precisa di Pio XII probabilmente sarebbe stata la stessa per tutti, e non secondo l’idea di ognuno.

Il 17 Gennaio è prevista la visita di Papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. C’è però chi parla di una possibile cancellazione. Come pensa che si dovrebbe comportare secondo Lei l’ebraismo italiano di fronte a questa situazione?

Questa è una domanda complessa. Io penso che prima ancora di parlare del 17 Gennaio, l’ebraismo in generale deve prendere una decisione: se si andrà avanti con un dialogo unilaterale, vale a dire che la Chiesa dice quello che vuole, gli ebrei rispondono, ma senza che le loro parole abbiano alcuna ripercussione, allora il dialogo andrà avanti, ma non si combinerà nulla e le cose rimarranno dove stanno.
Se invece ci si decide a prendere il toro per le corna ed iniziare un dialogo vero, ognuna delle due parti dice quello che gli sta a cuore e l’altra parte cerca di tenerne conto nella misura del possibile.
Quindi non è un fatto legato solo al 17 Gennaio, ma è un discorso complessivo in cui rientra anche il 17 Gennaio. Il rischio è che succeda il seguente: il Papa, accusato da alcuni - anche all’interno della Chiesa – di non tenere in sufficiente considerazione il dialogo con gli ebrei per aver aperto la strada alla beatificazione di Pio XII, potrà dire di essere stato ricevuto ugualmente alla Sinagoga di Roma con tutti gli onori.
Questo è un punto interessante perché non penso che la data sia stata scelta a caso. Credo che le due date siano connesse: e quindi a meno che qualcuno dei rappresentanti della Comunità Ebraica di Roma prima della visita dica chiaramente di ricevere il Papa ma con delle riserve sulla questione della beatificazione, temo ci sia il rischio di calpestare il dialogo affermando che “tanto funziona lo stesso”.

 Pensa che lo Stato d’Israele potrebbe avere un ruolo in tutto questo scenario, oppure in quanto Stato deve restare spettatore ad un discorso che si deve giocare più che altro tra istituzioni religiose?

Questa è una domanda interessante. Lo Stato d’Israele è uno stato come tutti gli altri, però si sente molto spesso nella posizione di rappresentare il popolo ebraico anche al di fuori dei propri confini.
Io credo che in questioni di principio lo Stato d’Israele potrebbe esprimere la sua opinione: così non è stato in questo caso, in quanto il portavoce del Ministero degli Esteri si è affrettato a dire che Israele non entra in questioni del genere. In questo caso si è quindi rinunciato a questa funzione. 



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