Ci si lamenta continiuamente sull'insensibilità delle democrazie alla resistenza contro le dittature, come se tutta la questione vertesse soltanto sulla volontà politica di porre in atto tale resistenza. Io mi chiedo invece se il problema non stia più a monte, riguardando la natura stessa delle democrazie moderne, dove tutto è basato sulla sovranità dei rappresentanti o (rousseauianamente) sulla volontà del popolo, ed essendo i deputati rappresentanti di tutto il popolo accumulano in sè un potere sovrano praticamente assoluto, esautorando ogni forma diversa di vita politica: al punto che il cittadino diviene surrettiziamente convinto che - obbedendo al rappresentante o alla volontà generale rousseauiana - obbedisce addiruttura a se stesso; ma se obbedisce a se stesso, che bisogno si ha mai di una sua partecipazione alla vita politica?
E' dunque quanto mai verosimile che la mancanza di resistenza e l'appeasement delle "democrazie" nei confronti delle dittature più o meno islamiche dipenda anche - più che da un limite o da un "difetto" - da un vizio d'origine del concetto stesso di democrazia, che nella sua crescita storica si vede sempre troppo appiattito su quello di sovranità, troppo imparentato a quello di sovranità. Ciò scoraggia la resistenza contro la dittatura, anche (e forse ancor più) sul piano internazionale, alimentado l'indifferenza e la corrività.
Credo anzi che se Israele si sta invece rivelando il vero campione della resistenza contro la barbarie integralista islamica, ciò sia dovuto anche alle radici molto più profonde (non escluse quelle religiose) della "costituzione" non scritta d'Israele stesso.
Antonio Ferrarese.