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La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
03.02.2010 Per Viola Israele non vuole la pace, Rashid rimpiange D'Alema
Ma è questo che fanno gli odiatori

Testata:La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Sandro Viola - Ali Rashid
Titolo: «Chi vuole la pace - Sogno del Cavaliere, incubo palestinese»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 03/02/2010, a pag. 1-32, l'articolo di Sandro Viola dal titolo " Chi vuole la pace ", dal MANIFESTO, a pag. 1-10, l'articolo di Ali Rashid dal titolo "Sogno del Cavaliere, incubo palestinese " preceduti dai nostri commenti. Ecco gli articoli:

La REPUBBLICA - Sandro Viola : " Chi vuole la pace "

La tesi di Sandro Viola è espressa in questa frase del suo articolo : " Israele vive infatti il suo migliore momento dalla fine degli Ottanta, dallo scoppio della prima Intifada.
La sua sicurezza s´è enormemente rafforzata (...) L´economia va a gonfie vele: la Borsa continua a crescere, il turismo tocca i picchi del 2000, il Fondo monetario prevede per quest´anno risultati molto migliori che nei paesi più sviluppati, la ricerca s´espande e infatti l´high-tech israeliano, in specie nell´ambito medico, è uno dei più richiesti nel mondo. (...) l´interesse per la pace, e il peso del movimento pacifista, sono quindi andati scemando, di pari passo con lo sgretolamento dei partiti di sinistra.".
Sul fatto che Israele non sia interessato alla pace non è possibile essere d'accordo. Pace con i Paesi arabi signific sicurezza dei confini e per la popolazione, due cose che tutti i governi di Israele hanno sempre messo al primo posto in agenda.
La visione di Israele ricco e quindi indifferente rispetto ai palestinesi e agli accordi di pace non è accettabile nè veritiera.
Se Israele vive un periodo positivo in fatto di economia e sicurezza non significa che i pericoli non siano presenti. L'Iran, con il suo programma nucleare e il suo appoggio ad Hamas e Hezbollah, è la minaccia che va affrontata.
Il governo israeliano si è impegnato per raggiungere la pace: Netanyahu ha stabilito un congelamento degli insediamenti di 10 mesi. Gli insediamenti illegali vengono da sempre smantellati. Gerusalemme è capitale unica e indivisibile di Israele, anche se una soluzione andrà cercata per la forte presenza araba nella parte est della città. I palestinesi che cosa offrono in cambio? Solo dichiarazioni che non lasciano spazio al compromesso. Hamas continua a lanciare razzi. Gilad Shalit è sempre prigioniero di Hamas.
Il titolo dell'articolo, chi vuole la pace, è una domanda interessante. Ma la risposta non è, come ritiene Sandro Viola, i palestinesi. A volerla è Israele.
Ecco l'articolo:


Hamas, Fatah. Nemici della pace

Non è insignificante l´iniziativa del governo italiano di dichiararsi, nel contesto della visita di Berlusconi a Gerusalemme, il migliore amico d´Israele e un fermo oppositore dei progetti nucleari iraniani. La spinta americana per convincere israeliani e palestinesi a riannodare il negoziato di pace, sembra infatti esaurita.
Com´era successo a tutti i presidenti degli Stati Uniti negli ultimi tre decenni, anche Barack Obama ha sbattuto il naso contro le resistenze aperte o dissimulate del governo Netanyahu, deciso come i suoi predecessori a non accettare intromissioni dall´esterno nel conflitto per la Palestina. Così, dopo dieci mesi di sforzi anche generosi, l´amministrazione americana dà l´impressione di aver tolto dalle sue priorità la questione israelo-palestinese. Non a caso, nel recente discorso di Obama sullo Stato dell´Unione il problema è stato clamorosamente taciuto.
Che, quindi, due primi ministri europei, la signora Merkel e Berlusconi, si stiano tanto accalorando per dimostrare la loro solidarietà allo Stato ebraico, esprimendo allo stesso tempo la loro avversione verso le intenzioni di Teheran di dotarsi dell´arma nucleare, rappresenta un tentativo d´aprire all´Unione europea (di cui gli israeliani hanno sempre, e qualche volta a ragione, diffidato) uno spazio di movimento e di mediazione alla lontana nella questione mediorientale. E gli israeliani non avrebbero fatto al premier italiano l´accoglienza entusiastica che gli stanno facendo, se il governo di Roma non avesse dimostrato una decisa fermezza nei confronti di Ahmadinejad.
Certo, sull´esito del tentativo conviene essere scettici. Se non è riuscito all´America, la potenza protettrice d´Israele, la fonte di massicci aiuti economici e militari, di far interrompere al governo Netanyahu le nuove costruzioni negli insediamenti ebraici dei Territori occupati (il segnale che i palestinesi chiedevano giustamente per tornare al tavolo delle trattative), è molto, molto difficile che l´impresa riesca agli europei trascinati dalla Merkel e da Berlusconi. Ma questo non toglie che il tentativo vada seguito con attenzione.
Il punto tuttavia è che non solo Netanyahu, bensì la società israeliana nel suo insieme, non vedono oggi come necessario, e tanto meno urgente, l´approdo ad un compromesso con i palestinesi che serva a varare il progetto dei "due popoli, due Stati". Israele vive infatti il suo migliore momento dalla fine degli Ottanta, dallo scoppio della prima Intifada.
La sua sicurezza s´è enormemente rafforzata grazie alla costruzione del Muro (nessun attentato dal 2006), e alla micidiale operazione dell´anno scorso su Gaza, che ha diminuito del 90 per cento il numero dei razzi lanciati dagli integralisti di Hamas sul sud del paese. L´economia va a gonfie vele: la Borsa continua a crescere, il turismo tocca i picchi del 2000, il Fondo monetario prevede per quest´anno risultati molto migliori che nei paesi più sviluppati, la ricerca s´espande e infatti l´high-tech israeliano, in specie nell´ambito medico, è uno dei più richiesti nel mondo. L´interesse per la pace, e il peso del movimento pacifista, sono quindi andati scemando, di pari passo con lo sgretolamento dei partiti di sinistra.
Così, quando un israeliano noto e stimato come lo scrittore David Grossman, cerca d´organizzare una manifestazione di "Pace adesso" contro l´indebito sfratto dei palestinesi dalle loro case di Gerusalemme Est, a seguirlo sono 150-200 persone, non di più. Mentre le manifestazioni dei coloni, le loro prese di possesso di nuove colline della Giudea, mobilitano migliaia di fervorosi simpatizzanti senza che il governo, alla pari dei governi precedenti, tenti di scoraggiarle, per tema d´uno scontro interno con i nazionalisti-religiosi.
Benyamin Netanyahu e il suo governo di destra-estrema destra, sono popolari, con esiti dei sondaggi che erano mancati dagli anni di Sharon. E questo per due ragioni: la prima è che a credere nella reale possibilità della pace, sono restati soltanto il 20 per cento degli israeliani; la seconda è che il braccio di ferro tra Obama e Netanyahu, che nell´estate-autunno dell´anno scorso aveva fatto temere alla maggior parte degli israeliani un cedimento del loro governo davanti alle richieste di Washington, si è per ora risolto a favore di Netanyahu. Quel che serve ad una società gelosa della propria indipendenza nazionale (e inoltre seriamente minacciata dai piani nucleari del regime di Teheran) per concludere che i governi d´Israele possono tener testa persino alle amministrazioni americane.
In una situazione come questa, al momento senza spiragli per un riavvio del negoziato con i palestinesi, l´ingresso sulla scena della Merkel e di Berlusconi (accompagnato, come s´è detto, da un indurimento delle rispettive posizioni nei confronti dell´Iran) rappresenta quanto meno un tentativo di smuovere le acque, aggiungendo due nuove presenze a quelle sinora coinvolte nella disputa. Due presenze anti-Teheran e pro-Israele, così da ottenere l´assenso israeliano alla loro entrata in scena.
Quanto ai risultati che ne potranno scaturire, conviene ricordare che Obama e il suo inviato in Medio Oriente, George Mitchell, hanno ottenuto in quasi un anno di continue pressioni soltanto il consenso di Netanyahu (per ora puramente verbale) alla formula dei "due Stati", e la sospensione per dieci mesi di nuove costruzioni in Cisgiordania. Sospensione in buona parte teorica, visto che in Cisgiordania si stanno portando a compimento un paio di centinaia di unità abitative le cui fondamenta erano già state gettate prima dell´impegno a fermare le costruzioni, mentre a Gerusalemme Est se ne stanno costruendo circa settecento.
Se intendono dunque affiancare gli americani negli sforzi per un nuovo negoziato israelo-palestinese, la signora Merkel e Berlusconi (ambedue silenti durante i terribili raids aerei dell´anno scorso su Gaza) non potranno limitarsi a dichiarare la loro amicizia per Israele. Né basterà usare le frasi generiche pronunciate sinora sulla necessità che il governo Netanyahu metta davvero fine all´ampliamento delle colonie nei Territori occupati. Queste frasi, Condoleeza Rice le ripeté per due anni di seguito tra il 2007 e il 2008, senza cavarne il minimo frutto. E quindi, se vorranno farsi sentire dal governo di Gerusalemme,"i due migliori amici d´Israele" dovranno parlare con accenti più fermi, più bruschi, e se necessario più ultimativi. Perché muoversi in Medio Oriente è assai diverso che trattare nelle riunioni di Bruxelles.
Converrà anche evitare frasi enfatiche come quella detta da Berlusconi l´altro ieri: «Israele paese leader per la libertà e per la pace». Non solo perché essa non risponde a verità, ma anche perché inaccettabile per gli interlocutori palestinesi. Sulla stampa israeliana sono apparse pochi giorni fa le testimonianze d´alcune soldatesse in servizio ai posti di blocco in Cisgiordania, sul comportamento d´altre donne soldato verso i palestinesi. Schiaffoni alle donne, calci nel sedere agli uomini. Non proprio ciò che ci s´aspetta da un paese "leader per la libertà e per la pace".

Il MANIFESTO - Ali Rashid : " Sogno del Cavaliere, incubo palestinese "

Mentre all'UNITA' il viaggio di Berlusconi sta sul gargarozzo e Udg sono tre giorni che cerca di trovarvi magagne che non ci sono, confermando così l'appartenenza dell'UNITA' al campo degli odiatori, sul MANIFESTO Ali Rashid è mosso da sentimenti nostalgici: " Così l’Italia è destinata a svolgere un ruolo marginale, come negli ultimi anni, ad eccezione dell’esperienza del ministro degli esteri Massimo D’Alema che aveva restituito a questo paese una presenza autorevole in Medio Oriente. ". Un elogio di Massimo D'Alema, meritevole di essere stato fotografato a braccetto con Hezbollah e di essere in prima linea nell'odio contro Israele.
Rashid conclude con questa frase il suo articolo : " 
in quella regione si sta consumando da sessant’anni la tragedia del popolo palestinese sotto gli occhi di tutti. Altro che sogno! Un vero e proprio incubo. Come fanno ad essere forti e credibili le giuste lacrime versate sui crimini del passato, se le vittime di oggi vengono cancellate e non trovano nessuna attenzione e compassione? ".
La "tragedia palestinese" sta consumandosi grazie ad Hamas, Hezbollah, Iran e a tutti i dirigenti palestinesi alla Arafat che non fanno altro che remare contro i processi di pace.
Le lacrime versate sui crimini passati sono riferite alla Shoah e alla commozione di Berlusconi a Yad Vashem? Paragonare lo sterminio nazista degli ebrei alla situazione dei palestinesi è ripugnante.
Nessuno sta operando il genocidio scientifico dei palestinesi. A Rashid, ignorante su molte questioni, consigliamo un buon manuale di storia, ma non di quelli arabi che descrivono la nascita di Israele come "catastrofe". In questo modo si renderà conto da solo che la Shoah non ha nulla a che vedere con la questione palestinese. L'unico legame con il Medio Oriente è il Gran Muftì di Gerusalemme il quale (lo provano documenti e immagini) era complice di Hitler. Ecco il pezzo:


Massimo D'Alema con Hezbollah

La visita di Berlusconi in Israele avviene in un momento dettato dall’agenda di Berlusconi stesso e non dagli sviluppi della situazione in Medio Oriente. E di conseguenza anche le ricadute ed i risultati dei suoi incontri dovrebbero essere valutati in base a questa premessa - ha ragione Zvi Schuldiner nel suo articolo sul manifesto di ieri. Per il Medio Oriente l’attualemomento è un passaggio drammatico e delicato, di stallo, in attesa che l’amministrazione Usa confezioni la sua iniziativa. Per capire gli sviluppi veri bisognerebbe seguire gli incontri in corso tra il presidente egiziano Mubarak e Barack Obama. E insieme la strategia che sta tessendo Mitchell, l’inviato americano per ilMedio Oriente, per riprendere sia in forma diretta o indiretta le trattative sospese. Per seguire il dibattito che contrassegnerà la politica israeliana nei prossimi anni, bisogna puntare gli occhi sul meeting che prosegue da tre giorni a Hirzilia presso Tel Aviv, dove gli esponenti di punta del centro e della destra israeliana stanno discutendo sul dopo-Netanyahu. Quindi non a caso Berlusconi si è limitato ad esprimere simpatia personale ad Israele, e sottolineare la posizione unanime sul piano internazionale rispetto alle colonie ebraiche inCisgiordania. Per fare questo forse non serviva portare mezzo governo fin lì, senza poter minimamente incidere sulle scelte razziste (nuove espulsioni di palestinesi da Gerusalemme est, ulteriori e profonde colonie nei Territori occupati, isolamento forzato diGaza) messe in campo dal governo israeliano in netta violazione della legalità internazionale - se non per fare la voce grossa, e rischiosa, contro l’Iran, come chiede Israele. Anche il sogno di Berlusconi di vedere Israele in Europa, per il momento è destinato a rimanere un suo sogno personale, come i tanti che ha elargito in Italia su sviluppo, tasse, occupazione, sicurezza, ecc.. La pronta risposta del ministro degli esteri dell’Unione europea in merito non lascia dubbi, anche perché le conseguenze di una tale decisione sarebbero catastrofiche anche per questa Europa peggiore dominata politicamente dalle destre, culturalmente la più arretrata dalla seconda guerra mondiale ad oggi, e che per molti aspetti incomincia ad assomigliare troppo ad Israele. Senza dimenticare che l’ipotesi di un’integrazione completa in Europa fu ventilata all’inizio del processo di pace e riguardava i due stati (Israele e Palestina), come garanzia per entrambi di rispetto degli accordi stipulati, e per prevenire il ricorso alla forza nella soluzione dei problemi sospesi. Quindi era inquadrata in una logica di incentivazione alla legalità e al diritto internazionale, non come palese azzeramento e prevaricazione contro un altro popolo a cui è negato il diritto ad avere uno stato. La cosa che colpisce di più, in Italia, è l’assenza di commenti da parte del Pd. Forse il responsabile della politica estera di quel partito non la pensa inmaniera molto diversa. In questo modo, a differenza del passato, la politica estera italiana sarà sempre materia di un’attività lobbistica al ribasso che porta il Paese a smarrire il suo ruolo, imposto invece dai legittimi interessi generali, dalla storia, dalla cultura e dalla collocazione geografica. Così l’Italia è destinata a svolgere un ruolo marginale, come negli ultimi anni, ad eccezione dell’esperienza del ministro degli esteri Massimo D’Alema che aveva restituito a questo paese una presenza autorevole in Medio Oriente. Dove la partita è molto più complessa e grande da potere essere affrontata con motivazioni di carattere personale, o per la promozione della propria immagine come la destra italiana ha fatto finora, o per scopi lobbistici, sempre privati, come si usa fare purtroppo anche in certi ambienti «di sinistra». In quella regione si sta giocando una parte dell’equilibrio internazionale per i lunghi, prossimi anni. Per partecipare servono vere strategie, non le chiacchiere occasionali dettate da ambizioni smisurate in un periodo di decadenza generalizzato. Soprattutto in quella regione si sta consumando da sessant’anni la tragedia del popolo palestinese sotto gli occhi di tutti. Altro che sogno! Un vero e proprio incubo. Come fanno ad essere forti e credibili le giuste lacrime versate sui crimini del passato, se le vittime di oggi vengono cancellate e non trovano nessuna attenzione e compassione? Sono i miracoli della politica del nostro tempo.

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