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La Stampa Rassegna Stampa
30.01.2010 Iraq, Tony Blair rifarebbe tutto
La cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 30 gennaio 2010
Pagina: 8
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Blair e l'Iraq, rifarei tutto»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/01/2010, a pag.8, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Blair e l'Iraq, rifarei tutto ".  Al di là delle critiche che si possono muovere all'ex premier inglese per l'inefficacia della sua funzione di inviato in Medio Oriente, in questa audizione si è dimostrato lucido e coraggioso, non rinnegando nulla. Anzi, vi ha aggiunto anche valutazioni, serie e preoccupate, sul ruolo dell'Iran .
Ecco l'articolo:


Tony Blair

CORRISPONDENTE DA LONDRA
Tony Blair lo rifarebbe. Di fronte alla Commissione d'inchiesta sull'Iraq guidata da Sir John Chilcot, l'ex premier britannico non arretra di un passo. «Entrare in guerra accanto agli Stati Uniti non fu una cospirazione ma una mia decisione dettata dalla valutazione che Saddam Hussein avrebbe continuato a essere una minaccia» spiega, sereno, voltando le spalle agli spettatori ammessi all'aula bunker del Queen Elizabeth Centre di Londra, 30 persone estratte a sorte tra le migliaia prenotate da settimane tra i quali i familiari di alcuni dei 179 militari caduti nei sette anni di conflitto. Dalla strada salgono gli slogan dei 200 pacifisti che si sono dati appuntamento all'ombra di Westminster per protestare contro «Bliar», sintesi creativa delle parole Blair e bugiardo: lui però, non si scompone. Abito blu, camicia bianca, cravatta rossa, l'uomo che s'è giocato la presidenza europea per lo zelo bellico a fianco di Bush delude chi si aspettava un seppur lieve mea culpa: «Ho una responsabilità, ma nessun rimorso».
Il giorno del giudizio si chiude con l'ex premier che descrive l'attuale Iraq un paese migliore di quanto fosse nel 2003, mentre dal fondo dell'aula qualcuno grida «assassino». Dopo 150 ore di deposizioni e 69 testimoni, tra i quali il ministro della Giustizia Jack Straw e il guru della comunicazione New Labour Alastair Campbell, la Gran Bretagna non ha ancora capito perché sia stata travisata l'intelligence, che tipo di rapporto avesse l'allora governo con George W. Bush, la natura del patto stipulato nel ranch di Crawford nel 2002. L'unico che poteva rispondere ha lavorato mesi al suo discorso, forte dei dati di PoliticsHome secondo cui solo il 29% degli elettori gli attribuisce le colpe della guerra. Per afferrarne l'effetto bisognerà attendere il voto, quando il Labour si confronterà con l'eredità blairiana.
Tutto, sostiene Blair, è cominciato all'alba degli anni zero: «Fino all'11 settembre pensavamo che Saddam fosse un rischio e facemmo del nostro meglio per contenerlo. Dopo gli attentati, che non ho mai considerato rivolti alla sola America ma a noi, questa percezione cambiò drammaticamente». E se pure il dittatore iracheno non era legato ad Al Qaeda, aveva eluso le sanzioni dell'Onu: «A quel punto qualsiasi regime avesse a che fare con le armi di distruzione di massa, andava fermato. Dissi al presidente Bush che la Gran Bretagna avrebbe affrontato insieme agli Usa la minaccia Saddam, con le sanzioni, con le ispezioni, e se necessario, con le armi». A quel punto serviva il casus belli: «Credevo oltre ogni dubbio che Saddam avesse le armi di distruzione di massa, per le prove che avevo all'epoca, era ragionevole ritenere che questa fosse una minaccia significativa». Andò diversamente, anche il dopoguerra: «Nessuno aveva previsto il ruolo di Al Qaeda e dell'Iran». Quelli che ascoltano pensano ai morti, Blair è granitico: «Non sono state le truppe della coalizione a uccidere i civili ma i terroristi che volevano bloccare ogni progresso». Blair rifarebbe tutto, insomma, anche perché oggi l'Iran è più pericoloso dell'Iraq del 2003 e «non si possono correre rischi». Il rischio maggiore, per quelli che tornano a casa delusi, è che la Storia finisca per assolverlo

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