Sui quotidiani italiani di questa mattina, 28/01/2010, sono stati pubblicati articoli in difesa del burqa e della presunta libertà di portarlo. Presunta perchè il burqa non rappresenta libertà, ma segregazione e discriminazione.
Difendono il burqa anche le donne, Livia Ravera sull'UNITA', Lietta Tornabuoni sulla STAMPA. Zita Dazzi e Vera Schiavazzi si sono spinte a portarlo per un giorno e, dopo esserselo tolto, hanno scritto due articoli che rasentano il ridicolo sulla condizione delle donne col burqa. A loro avviso a segregarle non è il loro marito/fratello/cugino/zio, ma la società italiana che le osserva con timore e ostilità. Sempre su REPUBBLICA anche Renzo Guolo difende il burqa. E anche sul GIORNALE Marcello Veneziani scrive un articolo pro burqa.
In risposta pubblichiamo le dichiarazioni dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati:
“Non deve essere permesso nel nostro paese indossare il burqa, o qualsiasi altro tipo di velo integrale. E non perché si tratti di un simbolo religioso: molti esperti di Islam negano infatti che lo sia e inoltre i simboli religiosi nel nostro paese sono permessi come espressione della libera scelta dell’individuo.
Il dibattito riguarda invece un fenomeno culturale e rappresenta inoltre una violazione delle norme di sicurezza vigenti da anni in Italia.
Il burqa esprime vergogna e disprezzo per il corpo della donna, lo rinchiude in una spaventosa e scomoda prigione che rappresenta senza ombra di dubbio la negazione del corpo femminile.
Inoltre, nascondendo il volto della persona, ne impedisce l’identificazione, come stabilito invece dal nostro ordinamento, secondo cui ogni cittadino deve poter essere immediatamente identificato.
Le società democratiche hanno fatto memorabili battaglie per il diritto delle donne a essere fiere del proprio corpo. Quindi reputo ogni attacco alla libera esposizione del corpo femminile un attacco alla democrazia”.