Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/01/2010, a pag. 12, l'articolo di Fiorenza Sarzanini dal titolo " Il mullah Omar dietro la strage degli italiani ".

Mullah Omar
ROMA — L’attentato contro i soldati italiani a Kabul prevedeva due opzioni: se l’autobomba non fosse saltata in aria, il kamikaze avrebbe azionato il giubbotto pieno di esplosivo che aveva addosso. Non c’era dunque alcuna possibilità di scampo per i militari. Il piano era studiato nei dettagli e aveva come obiettivo la distruzione del convoglio perché, come è scritto in un volantino di rivendicazione rintracciato su un sito Internet islamico, «il nostro compito non è riprendere il controllo dei territori conquistati dai Crociati, ma di infliggere quanti più morti possibile».
Cinque mesi dopo l’attacco che il 17 settembre scorso provocò la morte di sei paracadutisti — il sergente maggiore Roberto Valente, il tenente Antonio Fortunato e i caporal maggiori Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino e Giandomenico Pistonami —, il ferimento di quattro loro commilitoni e 14 vittime tra i civili, la polizia militare e i carabinieri del Ros ricostruiscono la dinamica dell’azione e soprattutto confermano il collegamento con altri quattro agguati, tutti rivendicati dal Consiglio Talebano guidato dal mullah Omar.
La relazione consegnata al procuratore aggiunto Pietro Saviotti analizza le fasi dell’agguato e i documenti che sono stati poi veicolati attraverso il Web, proprio come avvenuto ieri con il messaggio di Osama Bin Laden. E dimostra che la strategia contro la Coalizione schierata in Afghanistan privilegi ormai la tecnica kamikaze a quella degli ordigni piazzati sul percorso, per avere la certezza di centrare il bersaglio.
L’esame dei testi fa poi emergere l’attività di propaganda nei confronti della popolazione effettuata attraverso il sito ufficiale dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan — «Sawat Al Jihad», Voce della guerra santa — che mira a fare proseliti tra i cittadini. Nella rivendicazione dell’attentato si specifica infatti che «le forze di occupazione, dopo che è avvenuto l’evento, hanno fatto fuoco indiscriminatamente e in modo intenso sui civili presenti sul luogo durante l’esplosione e ciò ha provocato perdite di vite di civili», mentre sembra accertato che la strage sia stata invece provocata proprio «dalla detonazione dell’esplosivo, equivalente a 120/140 chili di Tnt». Ma si manda anche un avvertimento chiaro ai Contingenti: «Puoi girare armato fino ai denti nelle strade di Kabul per dare agli afghani l’impressione che le forze di Coalizione sono presenti sul territorio, ma non puoi evitare che un’auto kamikaze imbottita di tritolo si incunei nella tua colonna esplodendo».
Sono le 11.45 di quel giorno di metà settembre quando i due veicoli blindati Lince del reggimento paracadutisti partono dall’aeroporto «Kaia» per raggiungere il quartier generale dell’Isaf. Quando arrivano sulla «Route White» e sono a meno di un chilometro dal varco di accesso alla «Green Zone» si scatena l’inferno. Alle 12.10 «dopo aver sorpassato un fuoristrada, il primo veicolo veniva investito dall’esplosione dello stesso nella parte posteriore destra, si sollevava, rimbalzava e finiva sulla corsia opposta. Quattro dei cinque occupanti vengono trovati all’interno con le cinture allacciate e privi di vita. Il corpo del quinto è invece adagiato all’interno di un canale a bordo della strada. Il secondo veicolo, investito dall’onda d’urto nella sua zona frontale, si ferma invece a pochi metri dal cratere dell’esplosione. Tra i cinque militari all’interno, muore il "rallista"».
Gli elementi raccolti a Kabul sono ritenuti utili anche per verificare se i mezzi utilizzati dal Contingente siano adeguati alla missione dei militari italiani o se invece, visto il livello sempre più sofisticato dell’attacco, sia necessario predisporre modifiche per la protezione dei soldati, prima fra tutte la blindatura del «rallista».
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