Su LIBERO di oggi, 23/01/2010, a pag.22, con il titolo " Obama, tante parole ma non ha fatto nulla per la pace in Palestina ", Angelo Pezzana analizza il niente di fatto, dopo tante promesse, di Barack Obama sul conflitto israelo-palestinese.
Bibi Netanyahu, Abu Mazen
“ La questione israelo-palestinese è il problema più intrattabile che si possa trovare “, ha dichiarato Barack Obama in una intervista a Time, manifestando una profonda frustrazione per quello che ha definito un’assenza di passi avanti in Medio Oriente dopo un anno di presidenza. Che sia il problema più grave che si è trovato ad affrontare è opinione discutibile, dato che non gliene è andata bene una, non ultima la perdita del Massachusetts, da sempre roccaforte democratica. Forse gli americani sono più preoccupati della disoccupazione al 10%, della crisi immobiliare che continua, del terrorismo per niente sconfitto dalla politica della mano tesa del volonteroso presidente. Il quale, l’aveva annunciato ai quattro venti, aveva nel cassetto un piano che avrebbe dovuto mettere d’accordo israeliani e palestinesi, nella scorsa estate aveva promesso che entro due mesi l’avrebbe presentato. Una promessa, purtroppo, simile ai vari ultimatum emessi nei confronti dell’Iran, il cui valore è uguale a zero, tanto sappiamo benissimo che dopo l’ultimo ce ne sarà uno successivo. “ Abbiamo sopravvalutato la nostra capacità di persuaderli a un dialogo significativo, quando le loro linee si stanno muovendo in una direzione opposta” ha poi aggiunto, dando l’impressione di avere una conoscenza molto superficiale della politica americana in quella regione negli ultimi decenni. Se fosse stato ben consigliato, si sarebbe accorto che dalla parte israeliana la buona volontà c’è sempre stata, la pace con l’Egitto e la Giordania avrebbe dovuto insegnargli qualcosa. Così come i tira e molla palestinesi hanno dimostrato l’assenza di una reale volontà di arrivare alla soluzione dei due stati, è sufficiente valutare gli ostacoli che Abu Mazen, che dovrebbe essere l’interlocutore “moderato”, ha frapposto alla ripresa dei colloqui con il governo Netanyahu. Non si capirebbe, allora, a cosa il dialogo dovrebbe servire, visto che l’Anp pone come condizione per riprenderlo il totale congelamento, senza alcuna data di scadenza, delle costruzioni di abitazioni in quelli che lui chiama “territori occupati”, che sono invece ormai, di fatto, parte dello Stato ebraico, essendo, per di più, abitati esclusivamente da popolazione ebraica. Una questione risolvibile, con mutua soddisfazione, attraverso lo scambio di territori. Ma Abu Mazen, come Arafat prima di lui, continua ad eludere tutti gli aspetti che porterebbero ad una soluzione. Come la richiesta fatta ad Obama nei giorni scorsi, che l’ eventuale scambio non superi il 3% della totalità dei territori contesi. Perché rivolgersi a Obama invece di trattare direttamente con Israele, come avevano fatto il presidente egiziano e il re di Giordania ? Una mano gliel’ha data sicuramente lo stesso Obama, con tutte le pressioni esercitate su Netanyahu perché cedesse alle richieste dell’Anp, ma il risultato è stato negativo per il processo di pace. La perdita del seggio in Senato a favore dei Repubblicani, che annulla la maggioranza democratica in entrambe le camere del Congresso, è un altro segnale di difficoltà per il presidente americano, visto che i repubblicani sono, da sempre, vicini alle posizioni che in Israele sono espresse dal centro destra. Senza più la maggioranza democratica in Senato, e una più che probabile rimonta repubblicana nelle elezioni di medio termine, Obama sarà costretto a fare i conti come quella che lui ha definito “ l’intrattabile questione israelo-palestinese”, che intrattabile non lo è per niente, con una opposizione più forte. Bibi Netanyahu è un pragmatico e la soluzione proposta da Israele altrettanto. Provi a sostituire qualche consigliere, considerati i risultati raggiunti finora, ci sembra un ottimo consiglio.