Elezioni in Iraq: gli sciiti vogliono escludere i sunniti E intanto gli americani se ne vanno
Testata: Il Foglio Data: 20 gennaio 2010 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «L’esclusione dei sunniti dalle elezioni rischia di fare esplodere l’Iraq»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/01/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo "L’esclusione dei sunniti dalle elezioni rischia di fare esplodere l’Iraq".
Nuri al Maliki, premier iraqeno
Roma. Sui quotidiani non avrà la stessa risonanza degli attacchi con autobomba e con decine di morti contro Baghdad, ma dalla capitale dell’Iraq arriva una notizia politica con effetti che saranno ancora più destabilizzanti per il paese. Il governo sciita ha appena deciso di escludere 500 politici sunniti e 15 liste elettorali – quelle a prevalenza sunnita – dalle elezioni parlamentari del prossimo 7 marzo. La lista ufficiale degli esclusi esce oggi, ma i nomi sono già trapelati. L’interdizione annulla le speranze dell’unico grande blocco politico legato ai sunniti, quello guidato dall’ex primo ministro Ayad Allawi, sciita e non toccato dal provvedimento – ma considerato l’avversario più pericoloso del premier Nuri al Maliki e ora rimasto senza più alleati – e da Saleh al Mutlaq, sunnita influente ma accusato di essere troppo vicino agli ex baathisti del regime di Saddam Hussein. Negli ultimi due anni la minoranza sunnita ha accettato la proposta degli americani: rinunciate al rapporto di utilità reciproca con i guerriglieri e gli estremisti, e prendete le armi con noi e contro di loro, in cambio di una rappresentanza politica dentro il governo e nei centri di potere di Baghdad. Il voto di domenica 7 marzo avrebbe dovuto essere il grande traguardo di questo processo di riconciliazione: la politica dell’Iraq sembrava finalmente vicina alla maturità dopo gli anni della guerra e della infestazione di al Qaida, proprio mentre i soldati americani cominciano – da ieri – il primo ritiro consistente dal paese. Negli ultimi mesi l’Iraq è stato scosso da un fermento democratico impensabile, che mescolava i gruppi politici e spezzava le vecchie divisioni – soprattutto quella tra sciiti e sunniti – in nome della sacrosanta convenienza politica (e rincuorava gli osservatori esterni). Che importa se sei un gruppo sciita, sunnita o curdo – pensavano i fondatori delle nuove e numerosissime liste – stringiamo quell’alleanza che ci garantirà più probabilità di successo alle elezioni. Ora i sunniti sono stati esclusi a due mesi e mezzo dal giorno delle elezioni e si sentono condannati a un destino di irrilevanza politica, che è proprio lo stesso motivo per cui, dopo la destituzione di Saddam Hussein da parte degli americani, scatenarono la guerriglia contro il governo centrale di Baghdad e aprirono le porte ai combattenti stranieri – come il giordano al Zarqawi – che predicavano il messaggio estremista di al Qaida. Sul New York Times due dei migliori analisti americani, Michael O’Hanlon e Kenneth Pollack, scrivono che se l’interdizione resterà in piedi “potrebbe convincere molti sunniti che giocando secondo le regole non potranno vincere mai e che la violenza è l’unica opzione che resta”. Cinquantamila sunniti assunti in fretta Per questo ieri l’ambasciatore americano in Iraq, Christopher Hill, e il vicepresidente Joe Biden hanno tentato di intervenire presso il governo per bloccare la decisione o almeno – sperano – per ritardarne gli effetti a dopo le elezioni, tanto che la commissione che ha emesso i verdetti si è subito lamentata delle “interferenze straniere” e che alcuni giornali iracheni stanno parlando persino di “minacce americane”. Ieri Baghdad ha annunciato al volo una misura riparatoria: l’assunzione di 50 mila sunniti nell’esercito e nella polizia, un provvedimento promesso da due anni a favore delle milizie volontarie sunnite che hanno contribuito a sradicare al Qaida. La commissione che ha stilato l’elenco degli esclusi è formata da giudici anonimi. La spiegazione ufficiale dice: “per motivi di sicurezza”, ma gli osservatori temono che fosse infiltrata e condizionata. Secondo l’analista norvegese Reidar Visser, il capo è Ali Faysal al Lami, un anno nelle prigioni americane per collaborazione con le milizie sciite e candidato lui stesso con Ahmed Chalabi. Con il pretesto di allontanare un presunto pericolo baathista dalla politica dell’Iraq, gli sciiti si sbarazzano dei rivali più pericolosi, e però rischiano di creare sul serio una forza concreta di nostalgici del vecchio regime di Saddam Hussein. Nello scenario peggiore, sarebbe la disintegrazione della dottrina del generale David H. Petraeus, che due anni fa ha puntato sulla riconciliazione per battere gli aggressori esterni di al Qaida e i destabilizzatori interni.
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