Gog e Magog Martin Buber
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L’uno lo chiamavano “il Veggente di Lublino” perché sin dalla nascita aveva ricevuto il potere di “vedere da un capo all’altro del mondo”. Era rimasto talmente sconvolto da quanto male ci fosse sulla terra, da chiedere a Dio di limitare la sua visione. Eppure preferiva sapere anziché non sapere, e nulla al mondo gli stava più a cuore dei peccatori. Diceva di preferire “il malvagio al giusto che sa di essere giusto”. Quando i discepoli chiedevano al sant’uomo come potesse tollerare la presenza dei malfattori, anzi intrattenersi in piacevole conversazione con loro, gli rispondeva: “So anch’io quello che sapete voi. Ma che ci posso fare? Amo la gioia e odio la tristezza”.
L’altro era talmente imbevuto di grazia divina, che lo chiamavano semplicemente Yehudi, l’Ebreo, “il Santo ebreo”. Aveva lasciato tutto, la sua città, la moglie, i figli, per divenire l’allievo prediletto del “Veggente”, e suo successore designato. Poi, come succede nelle migliori famiglie, tra i seguaci dell’uno e dell’altro si erano accumulati dissapori, divergenze, diffidenze, maldicenze, addirittura odi così profondi che la comunità di credenti, mi viene quasi da dire il partito, si era spaccato in due congregazioni contrapposte, ormai nemiche.
Il “Veggente” e il “Santo ebreo” sono i principali protagonisti di Gog e Magog di Martin Buber. Il romanzo narra di fatti storici: del conflitto e della scissione in seno ad una comunità chassidica in Polonia all’epoca delle guerre napoleoniche, tra fine 1700 e inizi 1800. Uno dei due leader, il rabbino di Lublino, vede nelle conquiste di Napoleone e nelle devastazioni che ne seguono in tutta Europa il segno dell’approssimarsi della fine dei tempi, la realizzazione della profezia apocalittica, per cui allo scontro finale seguirà l’avvento del Messia. E si dà da fare, con tutti i mezzi a sua disposizione, “qabbala pratica e magia compresi, per affrettare la redenzione. Il suo più giovane allievo è invece ossessionato dal problema di come “impedire che il Male si serva del Bene per nuocere al Bene”. Non lo convince affatto la risposta del Maestro, per cui “anche Dio si serve del male”. Il “santo ebreo” la vede in tutt’altro modo: è convinto che il vero “orrore” da superare, la battaglia più dura, sarà quella da combattere “contro i Gog e Magog che vivono nel cuore degli uomini”.
Gli uni sono pronti ad allearsi con Satana, pur di far prevalere il Bene. Il fine vale il compromesso, dicono. Gli altri vanno ben oltre. Non si limitano a predicare il compromesso: sostengono che per sconfiggere il male che si cela nell’altro bisogna riconoscere quello che si cela in noi stessi. In una conversazione col “Santo”, un suo allievo evoca l’alleanza tra Abramo e il re dei Filistei, che pure avevano insabbiato i pozzi scavati dai suoi servi. Il “Santo” gli risponde: “D’accordo, ma fino a che punto possiamo separare filistei o servi di Abramo, Chassidim di Satana o veri Chassidim, Buoni e cattivi? Quali devono essere redenti? Solo questi o anche quelli?...Dobbiamo forse costituire un piccolo regno di Puri e lasciare il resto nelle mani di Dio?..Ostinazione e ottusità, inerzia e perfidia, sono forse solo in loro? Non le troviamo piuttosto anche in noi stessi? Se ce ne scordassimo…non ci metteremmo forse, nella lotta contro Satana, dalla sua stessa parte?
C’è chi l’ha definito come un puro “romanzo teologico”. Altri l’hanno letto, in momenti e circostanze diverse, piuttosto come romanzo politico. Negli anni Ottanta ne era stata portata in scena a Gerusalemme una versione teatrale in cui un attore che impersonava Buber lo commentava con espliciti riferimenti alla storia e all’attualità politica israeliana. Ma ho l’impressione che a rileggerlo oggi possa far venire la tentazione di altre attualizzazioni ancora. Magari le più impensate per l’autore stesso. Provateci, e poi mi saprete dire. Per lo storico delle religioni Karl Kerenyi si tratterebbe di un’opera epica, un “classico” che ci parla di vicende umane di ogni tempo e luogo. Per altri è invece uno dei più “kitsch” tra i libri di Buber. Procede per aneddoti e dialoghi che hanno apparentemente la semplicità delle favole. Ma sono a tratti ostici quanto un trattato di interpretazione talmudica.
La cosa certa è che il libro ebbe una gestazione lunga e tormentata. La prima edizione di Gog e Magog uscì in ebraico nel 1944, poi in tedesco nel 1949. Per la traduzione italiana, si era dovuto attendere il 1999. Ora viene riproposta da Guanda. Eppure Buber aveva cominciato a lavorarci che non era ancora finita la prima guerra mondiale. Dopo molte false partenze e due diverse prime stesure, aveva abbandonato per vent’anni il progetto. “Ma non senza speranza; poiché tutta la mia esperienza di lavoro mi ha insegnato che certi libri, quelli che uno sente davvero il dovere di scrivere, maturano lentamente…”, spiega l’autore nella nota all’edizione tedesca. Precisando che a condurre questo libro alla sua maturazione, “fu un fattore obiettivo: l’inizio della seconda guerra mondiale, quell’atmosfera di crisi tellurica, il tremendo ponderarsi delle forze e il segno di un falso messianesimo d’ambo le parti”.
Siegmund Ginzberg
R2 Cult – La Repubblica