Di Segni: col Papa dialogo complicato ma non si ferma Intervista a Riccardo Di Segni di Giacomo Galeazzi
Testata: La Stampa Data: 14 gennaio 2010 Pagina: 23 Autore: Giacomo Galeazzi Titolo: «Di Segni: col Papa dialogo complicato ma non si ferma -»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/01/2010, a pag. 16, l'intervista di Giacomo Galeazzi al rabbino capo di Roma Riccado Di Segni dal titolo " Di Segni: col Papa dialogo complicato ma non si ferma ".
Riccardo Di Segni
Riccardo Di Segni (rabbino capo di Roma) dopo le polemiche per il sì di Ratzinger a Pio XII beato come sarà la visita di domenica in sinagoga? «La distinzione tra ruolo storico di Pio XII e valutazione di fede. E’ stato il segnale che il "via libera" di Benedetto XVI alla beatificazione non era una sfida. Resta discutibile se quella distinzione abbia una validità morale e teologica, però in quel modo il vaticano ha dimostrato disponibilità al confronto. Ma la scelta è stata difficile, ci sono state consultazioni e riflessioni continue. Così si mostra al mondo che con il papa Benedetto XVI il dialogo, pur restando una materia complicata, non torna indietro». Cosa c’è nel suo discorso? «Non è ancora pronto. Sarà incentrato sulla riflessione del significato religioso dei nostri rapporti, del rispetto recipreco, ma sto valutando se e in quale forma inserire un riferimento a Pio XII, dopo tutto quello che è successo nei giorni passati. Domenica ogni singolo aspetto sarà delicatissimo: dall'accoglienza alle parole che verranno pronunciate. E' ancora tutto in gestazione e non ci sono stati contatti sui contenuti. Sul pontificato di Pio XII la pensiamo in modo diverso, però serve incontrarsi anche se si hanno opinioni differenti». Wojtyla ha vissuto la Shoah dalla parte delle vittime, mentre Benedetto XVI ha passato la seconda guerra mondiale «dall’altra parte della barricata». Condivide le parole del rabbino capo di Tel Aviv, Israel Meir Lau? «Non è un attacco, bensì la constatazione di una differenza oggettiva tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. A parlare è un gigante dell’ebraismo mondiale, discendente di un'antica dinastia rabbinica. I suoi genitori sono stati sterminati e lui da bambino si è salvato passando da un lager all'altro. Israel Meir Lau è polacco ed è stato amico personale di Wojtyla, non è una persona qualsiasi e i suoi interventi hanno una grandissima rilevanza. Ricordo bene il clima in cui avvenne la visita di Wojtyla alla Sinagoga di Roma. I problemi e le resistenze non mancavano neanche allora, tanto più che era il primo Papa in duemila anni a entrare in una Sinagoga. Però le differenze tra i due eventi sono enormi». Quali? «Le differenze riguardano la persona Wojtyla rispetto alla persona Ratzinger, i tempi e il programma. Il ruolo delle religioni su scala mondiale è cambiato totalmente. Ora, con l'incombente scontro fra civiltà, è fondamentale ricondurre il confronto nel giusto ambito. La visita di Wojtyla fu un grande gesto. Quattro anni fa ho incontrato Benedetto XVI in Vaticano, gli dissi che era quasi il ventennale della visita di Wojtyla. Un evento unico, ma che nulla impediva che fosse ripetuto». Che cosa ha pensato durante le bufere per la grazia al vescovo negazionista Willamson, il ritorno della preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei e Pio XII beato? «Nei primi momenti del pontificato di Ratzinger, si diffuse la convinzione che non solo non ci sarebbero stati passi indietro nel cammino del dialogo con l'ebraismo, ma che la strada segnata sarebbe continuata linearmente. Purtroppo invece gli ostacoli e gli incidenti di percorso in questi quattro anni non sono mancati, ma bisognerebbe guardare anche alle cose essenziali. A pochi giorni dalla visita guardiamo di più ciò che ci avvicina invece che a ciò che ci allontana e cioè la denuncia dell’antisemitismo e antigiudaismo passato e presente, la condanna del terrorismo fondamentalista, l'attenzione allo Stato d'Israele, che per tutto il popolo ebraico è un riferimento essenziale e centrale».
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