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La Stampa Rassegna Stampa
11.01.2010 Cristiani nei Paesi islamici: continua la repressione
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 11 gennaio 2010
Pagina: 15
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Il grande assalto ai cristiani»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/01/2010, a pag. 15, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " Il grande assalto ai cristiani ".

Dall’Algeria alla Malaysia passando per l’Egitto, lungo un fronte immaginario lungo diecimila chilometri, le minoranze cristiane nei Paesi musulmani sono sotto attacco. Dopo la strage del Natale ortodosso a Luxor, nei giorni scorsi è stata la volta di Kuala Lumpur, dove le rappresaglie degli islamici contro in centri di culto cristiani sono state scatenate dal verdetto dell’Alta Corte che difendeva il diritto di un settimanale cristiano di usare la parola «Allah» per riferirsi a Dio.
La maggioranza musulmana, il 60 per cento della popolazione contro il 10 per cento di cristiani, lo ha considerato un’offesa gravissima. Venerdì tre chiese sono state attaccate nella capitale, altre sono state date alla fiamme sabato. Ieri, con le chiese della maggiori città presidiate massicciamente dalla polizia durante le messe della domenica, due bombe molotov sono state lanciate contro un convento cattolico e una chiesa anglicana di Taiping, nello stato di Perak, a 300 chilometri da Kuala Lumpur.
Il governo del premier Najib Razak - in cerca di consensi tra i non musulmani per farsi rieleggere nel 2013 - sembrava propenso ad autorizzare l’uso della parola Allah, come sinonimo di Dio, anche nelle celebrazioni dei culti non musulmani. Adesso il verdetto della Corte Suprema è sospeso, proprio per il ricorso presentato dall’esecutivo in difesa dell’esclusivo uso del termine da parte degli islamici.
Disquisizioni teologiche di questo tipo, in apparenza bizantine, sono cruciali in Paesi dove le minoranze religiose faticano a farsi accettare a pieno diritto. In Indonesia, ma anche in Siria e Egitto, l’uso della parola Allah da parte dei cristiani è già autorizzato. Ma mentre nei primi due l’integrazione sta migliorando, in Egitto la condizioni dei copti è drammatica. Secondo molti dei loro leader, il governo del presidente Hosni Mubarak li sta usando come valvola di sfogo per le tensioni sociali che attraversano un Paese sovrappopolato e con poche risorse, ormai fuori controllo.
Ieri la polizia egiziana ha arrestato 42 persone, 14 musulmani e 28 copti, con la accusa di aver fomentato i disordini dopo la strage nella chiesa di Baghorah, vicino a Luxor, nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, giorno di Natale secondo il calendario ortodosso seguito dai copti. Un esito paradossale: pagano i cristiani, dopo che otto di loro sono stati trucidati. Nessuno sviluppo, invece, nelle indagini sul commando che da una automobile aprì il fuoco con fucili mitragliatori sui fedeli, all’uscita dalla chiesa.
Secondo i copti, non c’è la volontà politica di arrivare ai colpevoli. «L’aggressione aveva un obiettivo ben diverso: l’assassinio del vescovo Kirillos . - accusa Ashraf Ramelah, presidente della Voice of Copts -. Kirillos si era rifiutato di accettare le "sedute di pace" organizzate dal governo dopo gli attacchi vandalici contro i beni dei cristiani. Voleva giustizia, non una riconciliazione che equivaleva a una resa». Secondo Ramellah, gli aggressori contro i copti non hanno mai avuto una condanna: «La legge dell’Islam indica che il musulmano non può essere condannato se la vittima non è musulmana - spiega -. Il regime in Egitto ha un unico scopo: la pulizia etnica».
Con oltre otto milioni di fedeli, una storia di 1900 anni che risale a San Marco, la chiesa copta è la più radicata tra le chiese nordafricane. La parola copto deriva da un termine greco, storpiato poi dagli arabi, che significava «egiziani». E i copti si considerano ancora oggi i «veri» egiziani, colonizzati e convertiti a partire dal Settimo secolo dopo Cristo, ridotti a una minoranza sempre più esigua, arroccata nella fede cristiana, un’isola in un mare musulmano.
Nel resto dell’Africa del Nord rimangono solo piccole comunità, anche loro sotto attacco. Ieri la chiesa protestante di Tizi Ouzou, la capitale della regione berbera della Cabilia, in Algeria, è stata incendiata da un gruppo integralisti islamici. Nella regione berbera è presente una delle più importanti comunità protestanti dell’Algeria, circa un migliaio di fedeli. I «barbuti», come vengono chiamati gli islamisti fanatici, la vogliono far sparire.

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