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La Stampa Rassegna Stampa
08.01.2010 Dopo aver attaccato la Cia, Obama riconosce che la colpa è tutta sua
Quando si commettono errori ci si dovrebbe dimettere. Cronache di Francesco Semprini, Glauco Maggi

Testata: La Stampa
Data: 08 gennaio 2010
Pagina: 2
Autore: Francesco Semprini - Glauco Maggi
Titolo: «Errori di tutti, ma la colpa è mia - Ora è caccia aperta all'imam del terrore: ispirò il nigeriano»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/01/2010, a pag. 2, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Errori di tutti, ma la colpa è mia ", a pag. 3 l'articolo di Glauco Maggi dal titolo " Ora è caccia aperta all'imam del terrore: ispirò il nigeriano ".

Dopo un anno di errori, Obama riconosce che è tutta colpa sua.
In genere, quando si commettono degli errori, si danno le dimissioni.
Questo non accade quasi mai in politica, speriamo che il presidente Usa capisca la lezione.
Ecco i due articoli:

Francesco Semprini : " Errori di tutti, ma la colpa è mia "

L’attentato di Natale sul volo per Detroit non è stato sventato in tempo per colpa «di un fallimento sistemico che ha interessato tutte le agenzie del nostro governo», ma a risponderne è per ora solo l’uomo al vertice dell’apparato. Comparendo per la seconda volta in pochi giorni dalla Casa Bianca davanti agli americani, Barack Obama si è assunto tutto il peso degli errori che potevano sfociare in una strage: «La responsabilità ultima è mia». Un concetto che il presidente ha sottolineato citando Harry Truman e la scritta che teneva sulla scrivania nello Studio Ovale: «The buck stops here», un’espressione colloquiale che significa che le colpe del governo in ultima analisi ricadono sul suo leader.
C’erano tutti gli indizi necessari per accorgersi del pericolo rappresentato da Umar Farouk Abdulmutallab, ha detto Obama, ma non sono stati scoperti. In un rapporto scottante che il presidente ha fatto diffondere dopo le sue parole, si fa capire che gli agenti avevano capito il pericolo solo dopo che l’aereo sul quale viaggiava l’aspirante kamikaze era decollato da Amsterdam alla volta di Detroit. Un dossier «scioccante», lo ha definito il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones. Il presidente «è legittimamente allarmato dal fatto che erano a disposizione dell’intelligence informazioni frammentarie che da sole non hanno fatto scattare alcuna risposta», dice il generale in pensione.
La segnalazione nei confronti del 23 enne nigeriano contenuta nella «watch list», non è bastata ad impedirgli di viaggiare da Lagos a Detroit passando per Amsterdam, senza essere sottoposto ai controlli suppletivi che avrebbero permesso di individuare la bomba rudimentale nascosta nelle mutande.
Due gli anelli deboli della catena di controlli. Il primo è il modo in cui sono compilate e gestite le liste di sospetti consegnate alle compagnie aeree. Nel caso del kamikaze, il suo nome era finito in una lista (di 550 mila nomi) su segnalazione del padre. Il 23 enne nigeriano non era però inserito nella lista «no-fly» che contiene invece 3400 nomi di persone giudicate troppo pericolose per essere imbarcate sui voli per gli Stati Uniti. I funzionari della Customs and Border Protection, che hanno il compito di passare in rassegna i passeggeri, non hanno notato il nome di Abdulmutallab nel corso del primo controllo ma solo nel secondo, effettuato su una diversa banca dati dopo l’imbarco. E’ in questa fase che sarebbe scattato l’allarme tanto che le autorità federali erano pronte a prendere in custodia il ragazzo una volta sbarcato a Detroit per interrogarlo. Troppo tardi, visto che il kamikaze voleva agire prima dell’atterraggio.
Intanto, iniziano a vacillare le prime poltrone. Michael Leiter, direttore del National Counterterrorism Center, ha deciso di non interrompere le vacanze in montagna e tornare nei suoi uffici di McLean, Virginia. Secondo fonti di Washington, potrebbe essere proprio lui, nominato dall’ex presidente George W. Bush nel 2007 alla guida della Nctc, il nome in cima alla lista dei «silurabili». Quanto, invece, alle misure, due le conseguenze immediate per i passeggeri internazionali diretti negli Usa: controlli più severi e più difficoltà ad ottenere i visti; almeno 300 nuovi «body scanner» negli aeroporti americani nel 2010, ha annunciato il ministro per la Sicurezza Interna, Janet Napolitano, che a breve s’incontrerà in Spagna con i ministri europei per una «revisione» complessiva e comune delle misure di controllo negli scali.

Glauco Maggi : " Ora è caccia aperta all'imam del terrore: ispirò il nigeriano "


Anwar al-Awlaki

Con Osama bin Laden da tempo lontano dai riflettori, l’America ha un nuovo nemico pubblico con cui fare i conti, che sta rapidamente scalando la lista dei terroristi «most wanted». Il governo yemenita ha confermato quello che l’intelligence statunitense aveva lasciato trapelare con cautela: c’è un legame tra il mancato attentato di Natale e il massacro di Fort Hood, la base militare in Texas dove un maggiore dell’esercito lo scorso novembre ha ucciso 13 persone. Il punto di contatto è l’imam yemenita di origini americane Anwar al-Awlaki: entrambi i protagonisti dei due casi che hanno fatto ripiombare il paese nell’allerta terrorismo avevano avuto contatti con lui.
Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane e maldestro nigeriano che voleva far saltare il volo per Detroit, secondo il governo di Sana’a aveva incontrato Al-Awlaki nello Yemen, dopo essere entrato in contatto con Al Qaeda mentre studiava a Londra. È stato il vice primo ministro dello Yemen per la difesa e la sicurezza, Rashad al-Alimi, a dirlo ieri in una conferenza stampa nella quale sono emersi nuovi elementi sulla strage fallita di Natale.
Dopo aver frequentato una scuola inglese nel Togo, il nigeriano ha frequentato dal settembre 2005, per tre anni, i corsi per il diploma in ingegneria e finanza all'esclusivo University College di Londra, vivendo nell'appartamento di Westminster da 3 milioni di sterline di proprietà del padre. In quel periodo, Abdulmutallab era un frequentatore regolare della moschea di Whitechapel, nella parte orientale della città, che era diventata celebre per la durezza filo-estremista dei sermoni che vi tenevano i suoi imam. Per la presenza tra i radicali, era entrato anche in contatto con una persona già sotto la sorveglianza del servizio segreto inglese M15. Fece anche una certa carriera, visto che come presidente della Società Islamica della sua università, nel 2007, Abdulmutallab organizzò una cinque-giorni di lezioni e seminari intitolati «La guerra al terrore», con ex detenuti di Guantanamo come oratori.
Lasciata Londra nel 2008, il nigeriano andò in Dubai, iscrivendosi ad una università australiana. Quando, nel maggio del 2009, chiese ancora il visto agli inglesi, inserì nella domanda, come motivo, l'intenzione di frequentare un college inesistente. In realtà puntava a riunirsi alla colonia di radicali in terra inglese. La domanda fu respinta e il suo nome fu messo nella lista dei sospetti.
Dalle informazioni date da al-Alimi sulle mosse recenti del giovane, appare sempre più rilevante il peso dell'imam Al-Awlaki nella galassia del fondamentalismo islamico, per il filo-rosso che lega quest'ultimo ai due casi di terrorismo più importanti degli ultimi tempi. Il maggiore Nidal Malik Hasan, lo psichiatra autore del massacro di Fort Hood, aveva scambiato messaggi email con il religioso. Al-Awlaki, nato nel New Mexico, vissuto in Europa e ora radicato nello Yemen, avrebbe incontrato l'aspirante suicida qualche settimana prima di Natale a 200 miglia dalla capitale Sana’a, nell'impervia regione senza governo dove la tribù Awlak, cui appartiene il religioso, è ritenuta particolarmente ramificata e influente. «Non ci sono dubbi che ha incontrato e ha avuto rapporti con elementi di Al Qaeda nell'area di Shabwa, probabilmente con l’imam», ha detto al-Alimi.
Al-Awlaki ha vissuto dal 2002 al 2004 a Londra, dopo aver predicato negli Stati Uniti fino all'11 settembre 2001, e in Gran Bretagna è diventato il promotore di forme radicali di islam anche attraverso siti Internet che lo hanno reso celebre.
Le forze yemenite, con l’aiuto degli Usa, avevano cercato di uccidere Al-Awlaki il 21 dicembre scorso, con un blitz che ha distrutto un edificio nell’area di Shabwa, ma l’imam è sfuggito alla morte. Quell’edificio, ha affermato ora il vicepremier yemenita, era lo stesso in cui il predicatore aveva incontrato tempo prima il giovane seguace nigeriano che voleva immolarsi con 300 passeggeri sopra i cieli americani.

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