Obama e la lotta al terrorismo. Meglio tardi che mai Analisi di Piera Prister, Enzo Bettiza, Thomas Friedman, Redazione del Foglio
Testata:Informazione Corretta - La Stampa - La Repubblica - Il Foglio Autore: Piera Prister - Enzo Bettiza - Thomas Friedman - La redazione del Foglio Titolo: «Obama finora ha sparato solo a salve - Obama sogni e realtà - Se un padre denuncia il figlio jihadista - Perchè non funziona l'intelligence americana in Afghanistan (e oltre)»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/01/2010, in prima pagina, l'editoriale di Enzo Bettiza dal titolo " Obama sogni e realtà ". Da REPUBBLICA, a pag. 24, l'articolo di Thomas Friedman dal titolo "Se un padre denuncia il figlio jihadista ". Dal FOGLIO, a pag. 1, l'articolo dal titolo " Perchè non funziona l'intelligence americana in Afghanistan (e oltre) ". Pubblichiamo inoltre l'analisi di Piera Prister dal titolo " Obama finora ha sparato solo a salve ". Ecco gli articoli:
INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : " Obama finora ha sparato solo a salve "
Si muove a scoppio ritardato con una voce che tuona indignata ma a cui non fa seguito l’azione. Ha impiegato tre giorni per pronunciarsi da Honolulu circa l’attentato terroristico, per fortuna non riuscito di Faruk Abdulmutallab sul volo Amsterdam-Detroit, come anche ha aspettato giorni per pronunciarsi sulla carneficina di Fort Hood in Texas dove Nidal Malik Hasan -che era connesso con un iman yemenita predicatore di odio- ha ucciso 13 commilitoni indifesi che non hanno potuto rispondere al fuoco perche’ per legge non possono portare armi all’interno del forte. Obama s’e’ fatto vivo la’ tre giorni dopo, solo per i funerali senza interrompere la sua partita di golf in Florida quando l’ex presidente Bush e sua moglie Laura in incognito, subito dopo l’accaduto hanno testimoniato il loro cordoglio facendo visita ai feriti e alle famiglie. In entrambi i casi per l’amministrazione Obama non si e’ trattato di terrorismo, nel primo caso Abdulmutallab ha avuto i benefici giurisdizionali che la legge assicura a tutti, il diritto di non parlare se non in presenza di un avvocato e nel secondo caso per Hasan si e’ trattato di “post-traumatic disorder”, un trauma che colpisce i soldati che hanno visto gli orrori della guerra, ma Hasan non e’ stato mai mandato a combattere. Mentre invece tutti e due erano in relazione con cellule jiadiste che operano in Yemen. Obama minimizza. Non ci ha mai convinto ed ora tanto meno, con tutte le sue ambigue perifrasi e circomlocuzioni verbali di cui e’ maestro e da cui traspare una mediocrita’ per niente aurea, di un uomo e di un presidente che si nasconde dietro le parole e non e’ all’altezza degli eventi. Sembra solerte solo nell’opera di rimozione di tutti quei presunti “stereotipi anti-islamici”, in verita’ inesistenti perche’anche dopo l’11 settembre o dopo Fort Hood non ci sono stati episodi di vendetta contro le comunita’ islamiche qui negli Stati Uniti. Ma lui insiste nella sua convinzione e cosi’ smantella tutte le difese a presidio del paese. Anzi poiche’ e’ anti Bush e poiche’ chiede sempre scusa anche ai peggiori dittatori e’ convinto che tutti lo amino, compresi i musulmani. Ma non e’ cosi’. La sua amministrazione e’ stata capace di offrire assistenza legale al terrorista Abdulmutallah quando le sue mutande erano ancora fumanti e le sue pudenda ustionate, proprio nell’aereo che avrebbe voluto far saltare in aria con tutti i 278 passeggeri a bordo, un atto poi rivendicato da AlQaeda. “No more harsh interrogation, farewell to Patriot Act”, non ci sono piu’ aspri interrogatori per far parlare i terroristi. Obama sta smantellando tutto l’impianto che ha mantenuto al sicuro questo paese per tutta l’amministrazione Bush. Ora d’accordo con Gordon Brown hanno chiuso le rispettive ambasciate in Yemen, hanno alzato la bandiera bianca della resa e aspettano. Non ci si stupisce dopo che Obama ha inettamente rilasciato 42 terroristi yemeniti da Guantanamo che nel frattempo hanno raggiunto quel covo associandosi ad altri terroristi. Un errore madornale che ci costera’ altri morti. Incapace com’e’ di capire o forse fa solo lo gnorri, che siamo in guerra con il terrorismo interno ed esterno e che in continuazione i soldati americani ed alleati, inclusi gli Italiani danno il loro contributo di sangue. La loro morte non fa piu’ notizia e anzi e’ perfettamente ignorata come anche si trascura di allertare la nazione sul rischio di un attentato gia’ annunciato come quello di Detroit. Dalle sue decisioni dipende il destino dell’Occidente, mentre qui negli Stati Uniti la gente ricomincia ad avere paura, una paura da un anno completamente rimossa ma che ora riappare e solo al pensiero si rinnova. E’ questa la ragione per cui la gente compresi tutti i nostri vicini ed amici, malgrado la crisi, comprano armi, la cui vendita e’ aumentata vertiginosamente e moltissimi si addestrano nelle scuole di tiro prima che Obama, cosi’ come s’ e’ espresso piu’ volte, lo proibira’ cambiando la Costituzione americana, redatta dai padri fondatori che sancirono il diritto dei cittadini di portare armi per difendersi contro una possibile tirannide. E noi gli dichiariamo aperta opposizione, abbiamo aspettato fin troppo tutto il tempo disponibile per poterci ricredere dopo la battaglia che abbiamo intrapreso prima delle elezioni, quando profeticamente avevamo subito capito che tipo fosse con tutte quelle sue ventennali frequentazioni con razzisti e antisemti tipo Farrakan, il pastore Wright e quegli ideologi marxisti del Partito-Ombra, come anche avevamo capito subito quale pericolo Obama rappresentasse nello scacchiere internazionale con tutti quei consiglieri nemici di Israele di cui si e’ attorniato. Ma la tregua e’ finita. Dietro di lui c’e’ un’intelligenza perversa, ci sono i grossi manipolatori che odiano e si vergognan dell’America, che lo hanno finanziato con ingentissime somme di denaro, che purtroppo e’ quello che vale e su cui nemmeno l’opposizione ha indagato, che vorrebbero volentieri cancellare Israele per un odio senza tregua, quelli che hanno potere economico e quindi potere su tutti, che dominano i mezzi di diffusione di massa e le borse e che fanno affari miliardari con i signori del petrolio. Hanno montato a colpi di milioni di dollari la sua immagine perfetta di abile oratore che ha sedotto i telespettatori con l’inganno dei teleprompter e gli hanno messo in bocca discorsi seducenti sulla pace e l’eguaglianza sociale, rifacendosi al movimento multiculturalistico e marxista degli anni della contestazione giovanile degli anni sessanta. Quei protagonisti li’ hanno coltivato il piccolo Obama sveglio ed abile, come una pianticella da cui far sviluppare un Obama adulto infarcito di ideologie capace di offrire solo fumo alla massa di elettori che lo hanno votato. Hanno fabbricato la piu’ bella e seducente maschera che dietro e’ vuota e senza cervello. E’ una maschera che non tollera il dissenso di chi non si inchina alla sua bellezza, che non sopporta di essere criticato da quei pochissimi network televisivi e radio che democraticamente lo criticano e a cui gli piacerebbe tanto mettere il bavaglio. La verita’ cruda e’ che Obama dice una cosa e ne fa un’altra, non e’ quindi capace di prendere una decisione e sembra non condividere le preoccupazioni della nazione. Ci si chiede, chi paghera’ per i prossimi morti ammazzati. Sulle vicende cruciali in corso ha parlato anche irato ma per finta, come contro il regime delll’Iran perche’ quell’ira era una reazione cliche’ che tutti si sarebbero aspettati da un presidente.. Ma ad essa non ha fatto seguire l’azione. L’Iran e’ a tutti gli effetti una bomba pronta, un boom che potrebbe detonare da un momento all’altro come nell’ultima sequenza di “Fitna” di Geert Wilders, perche’ Ahmadinejad e i Mullah sono pronti a giocare quella carta per non rinunciare al potere che vacilla sotto la pressione della rivoluzione degli oppositori. E i dissidenti in Iran non demorderanno, la loro rivolta e’ appena cominciata e, piu’ forte e’ la repressione e ancora piu’ forte sara’ la volonta’ di rovesciare quel sanguinario regime. Molti hanno votato Obama prima per quel concetto della ridistribuzione della ricchezza, punto di forza su cui ha basato la sua propaganda elettorale. Ma Obama sembra agire come Napoleon nella Fattoria degli Animali di Orwell ai quali e’ proibito dietro giuramento, come a tutti i “compagni” di dormire fra le comode lenzuola, perche’ e’ una debolezza borghese, ma l’imperativo e’ valido per tutti eccetto che per Napoleon e gli altri capi, visto che Obama non disdegna il lusso, le feste e il gioco del golf. E proprio dal paradiso della resort in Honolulu ha aspettato giorni per pronunciarsi sull’annunciato attentato sull’aereo che non e’ esploso per un puro caso e che avrebbe potuto causare un ennesimo eccidio. Janet Napolitano, l’irresponsabile ministro, responsabile del dicastero Homeland Security avrebbe commentato alla Ridolini in caricatura: “Everything worked!” Tutto ha funzionato. Ma la Napolitano e’ ancora li’ non e’ stata licenziata, anzi l’attentatore ha avuto tutti i benefici concessi dalla legge tra cui quello di non parlare se non in presenza di un avvocato difensore. Poi molti hanno anche votato Obama perche’ erano stanchi della guerra e perche’ prometteva la pace ma, riguardo al conflitto in atto in Medio Oriente, ha impedito finora un’azione congiunta con Israele per bombardare i siti atomici iraniani. Ma c’e’ di piu’, tra un mettersi in testa la kippa e l’accensione delle candeline di Canukka, Obama si prepara a farci deglutire l’amara pillola di vedere la divisione di Gerusalemme in due capitali, una per Israele e l’altra per i Palestinesi. E’ li’ che vuole arrivare con tutta la sua corte di “czars” ossia gli uomini di potere come li chiamano qui, in America. Fanno bene Bibi Netanyahu, Avidgor Lieberman e Nir Barkat, il sindaco di Gerusalemme a rispondergli picche con l'allestimento di cantieri con gru, cemento e mattoni, autorizzando nuove costruzioni per le famiglie in espansione. Sappiamo bene che cosa ha in mente Obama, per cui cominciamo subito a gridargli nelle orecchie che Gerusalemme e’ la capitale di Israele, una ed indivisibile, onde prevenire e bocciare la sua prossima mossa. Anzi se avesse veramente a cuore Israele come dice, come primo passo dovrebbe subito muovere l’ambasciata americana da Tel-Aviv a Gerusalemme rendendo esecutivo l’ Embassy Act gia’ votato dal Congresso americano nel 1995.
La STAMPA - Enzo Bettiza : " Obama sogni e realtà "
Enzo Bettiza
Con la fine dei cosiddetti «anni zero» il primo decennio del XXI secolo ci appare segnato in profondità, quasi dall’inizio alla fine, dall’incubo e timor panico scatenati dal terrorismo islamico principalmente in America e poi nel mondo che, in ampio senso storico, potremmo definire occidentale o cristiano. Ma vorrei circoscrivere il discorso ai fatti incalzanti che, dagli ultimi giorni di dicembre, irretiscono il governo e la società degli Stati Uniti. La grande paura, che paralizzò l’America nel fatidico 11 settembre, spingendo l’amministrazione Bush alla guerra di ritorsione in Afghanistan e alla disastrata guerra preventiva in Iraq, è tornata a flagellare il Natale del 2009 provocando, all’incirca, lo stesso scenario di psicosi che seguì il tragico e riuscito attentato del 2001. Paralisi e blocchi degli aeroporti, fuorvianti allarmi bomba dalla East Coast e perfino dalla California, panico negli stati maggiori dell’amministrazione Obama, messa in cantiere di misure straordinarie di sicurezza e di controllo tecnologico, come i «full body scanners», mai adottati fino ad oggi. Le immagini arrivate da Newark, le riunioni d’emergenza nella Situation Room della Casa Bianca, il linguaggio eccezionalmente alterato e incupito del presidente, ci hanno trasmesso l’atmosfera di un Paese spaventato. Un Paese non si sa se in stato d’assedio o di guerra.
Per di più, non tanto sullo sfondo, il fantasma di un possibile coinvolgimento bellico nei deserti rocciosi dello Yemen, santuari inviolati di Al Qaeda, non più guidata dal guerrafondaio Bush ma minacciata addirittura da un Nobel per la pace. Nel frattempo, indicati dalle allusioni dello stesso Obama o dalle parole dei suoi consiglieri e ministri, la lista dei Paesi «in sospetto», i cui cittadini in volo per gli Usa verranno sottoposti a controlli rigidissmi, si è allungata dall’Iran al Sudan, dalla Siria allo Yemen, dal Pakistan alla Nigeria. Tutte queste contromisure sono state inoltre appesantite, sul piano psicologico, dal fatto di essere state prese dopo un attentato virtuale, non consumato, che avrebbe potuto provocare la tragedia se il marchingegno distruttivo, nascosto negli indumenti intimi del mancato suicida nigeriano, fosse effettivamente esploso. Niente di lontanamente simile a quanto accadde con il crollo delle due torri di New York. Ma il temibile disvalore aggiunto, se vogliamo chiamarlo così, delle guerre asimmetriche escogitate dalla strategia nichilista di Al Qaeda, è che esse funzionano anche nei casi in cui materialmente falliscono: non producono strage, ma, rasentandola, provocano la ripetizione di una nevrosi di massa evocante stragi già patite e mai dimenticate. Nel recentissimo caso, come vediamo, non s’è ripetuta per fortuna sull’aereo in discesa sul suolo americano una replica minore dell’11 settembre; si è ripetuto, invece, un rilancio maggiore e più esteso delle difese immunitarie di una superpotenza che si sente in guerra con un nemico inafferrabile. È iniziata così la giostra delle opinioni, fra coloro che approvano le misure più dure dell’amministrazione democratica e quelli che le disapprovano perché lesive dei diritti civili e, quindi, contrarie alle speranze suscitate dallo stesso Obama al principio del mandato presidenziale. Sia gli uni che gli altri hanno cominciato a domandarsi se già esista o non esista ancora, dopo un anno di politica estera ondivaga, piena di colpi alterni o simultanei al cerchio e alla botte, una credibile «dottrina Obama» in campo internazionale. Per molti, la prova del nove delle intenzioni del neopresidente avrebbe dovuto essere Guantanamo. Obama non ha soddisfatto né i sostenitori liberal, che ne aspettavano la chiusura definitiva, né tanto meno i critici conservatori che non hanno approvato le sporadiche liberazioni, con il contagocce, dei prigionieri qaedisti. Oramai Guantanamo, chiusa per due terzi e semiaperta per un terzo, resta una spina nel fianco della diplomazia ammiccante di Obama e quasi un simbolo tangibile delle incertezze della sua poco efficace politica estera. Quando egli afferma: «Colpiremo al Qaeda ovunque, ma anche svuoteremo Guantanamo», fa venire a mente, per modo di dire, la nota circonlocuzione veltroniana elevata all’ennesima potenza. Fatto è che ora, meno che mai, Obama sarà in grado di poter mantenere, entro la scadenza annunciata del 22 gennaio, la più diffusa e proclamata delle sue promesse: i qaedisti yemeniti, liberati dal carcere e rientrati in patria, si sono rimessi subito al servizio delle piazze d’armi terroristiche proliferanti in basi che sfuggono alla presa di un governo «filoamericano» nepotistico e corrotto. Gli stessi che forse hanno addestrato, senza molto profitto, il kamikaze in volo da Amsterdam a Detroit. La verità è che la forza ostinata e insieme imprevedibile degli eventi, a cominciare dalle nevrosi che la guerra asimmetrica produce nelle nazioni più esposte all’odio dei fondamentalisti, sta imponendo a Obama una graduale revisione delle sue buone ma spesso semplicistiche opinioni sulla complessità del mondo contemporaneo. Egli non può essere più quello che avrebbe desiderato essere: un riformatore liberal della repubblica imperiale degli Stati Uniti. Ne è anche l’erede. Per ora una «dottrina Obama» non esiste. È in corso semmai, forzata dagli eventi, la ricerca da parte di Obama di un compromesso possibile tra sue idee originarie e le sue tremende responsabilità di curatore di una vulnerabile eredità imperiale.
La REPUBBLICA - Thomas Friedman : " Se un padre denuncia il figlio jihadista "
Thomas Friedman
Di sicuro il personaggio più importante, interessante – e potremmo perfino azzardare "eroico" – dell´intera faccenda dell´attentato del giorno di Natale a un aereo di linea della Northwest è stato il padre dell´aspirante attentatore, il banchiere nigeriano Alhaji Umaru Mutallab. Egli ha fatto una cosa che, per quanto ne sappiamo, nessun altro genitore di un attentatore suicida aveva ancora fatto: si è recato all´ambasciata degli Stati Uniti in Nigeria, facendo sapere che dagli sms spediti da suo figlio risultava che quest´ultimo si trovava nello Yemen ed era diventato un fervente e probabilmente un pericoloso estremista. Noi stiamo mettendo ogni cosa sottosopra e rivoltandola come un guanto per capire come sia possibile che il nostro sistema abbia fatto fiasco – come di fatto è stato – consentendo all´aspirante attentatore Umar Farouk Abdulmutallab di imbarcarsi su quell´aereo. Ciò che suo padre ci sta dicendo, invece, è diverso: «Il mio sistema familiare e il sistema della mia "comunità" hanno fatto fiasco. Mio figlio è caduto sotto l´influenza di una versione jihadista dell´Islam che io non riconosco e che ho buone ragioni di temere». Il "Times" riportando le parole di un cugino ha riferito che il figlio aveva spedito al padre un sms dallo Yemen nel quale annunciava di «aver trovato una nuova religione, il vero Islam» e che non avrebbe mai più fatto ritorno a casa. Un post su Internet risalente al 20 febbraio 2005 attribuito a Umar Farouk Abdulmutallab e riportato dall´Associated Press dice: «Penso a come si svolgerà la grande Jihad, alla vittoria dei musulmani… che governeranno il mondo intero, ricreando ancora una volta l´impero più grande mai esistito». Trovare persone che abbiano il coraggio di affrontare quel fiasco – il cedimento individuato dal padre, che affascina i giovani musulmani allontanandoli dalla tradizione e inducendoli a desiderare di commettere un attentato contro civili innocenti e a suicidarsi in nome di qualche fantasia del potere jihadista – è ciò che più conta in questo momento. È vero: dobbiamo riparare alle falle dei nostri servizi d´intelligence. È vero: dobbiamo assolutamente comportarci in modo consono ai nostri ideali, come sta cercando di fare il presidente Barack Obama vietando la tortura e chiudendo la prigione della Baia di Guantanamo. Non possiamo permettere che questa "guerra al terrorismo" ci logori. Non possiamo permettere che il nostro Paese diventi soltanto gli Stati-Uniti-che-lottano-contro-il-terrorismo e nulla più. Noi siamo la nazione del 4 luglio, non dell´11 settembre. Anche qualora facessimo tutto ciò, nessuna legge, nessun muro che riuscissimo a erigere basterebbe mai a proteggerci, a meno che le società arabe e musulmane da dove compaiono questi attentatori suicidi non costruiscano anche loro barriere politiche, religiose e morali, iniziando – tanto per cominciare – con lo stigmatizzare gli attentatori suicidi e a chiamare "omicidio" e non "martirio" le loro azioni. Dal canto mio non mi stanco di ripetere che per risolvere le cose occorre una comunità intera. Alhaji Umaru Mutallab, il padre dell´attentatore, si è considerato parte di una comunità globale, che ha i suoi presupposti in valori condivisi, ed ecco il motivo per il quale ha suonato l´allarme. Sia lodato per quanto ha fatto! Se un numero maggiore di genitori, guide spirituali, leader politici musulmani – la "comunità intera", appunto – non sarà pronto a fare altrettanto e a condannare ufficialmente gli attentati suicidi commessi contro civili innocenti, loro e nostri, questo modo di fare non avrà fine. Proprio venerdì scorso, per esempio, un attentatore suicida si è fatto saltare in aria con una potente carica esplosiva nascosta all´interno della propria automobile nel bel mezzo di un torneo di pallavolo nel paese pachistano di Shah Hassan Khel, provocando la morte di oltre cento persone, in massima parte giovani. Ciò non deve stupire: allorché gli attentati suicidi diventano legittimi se utilizzati contro gli "infedeli" non musulmani all´estero, diventano altrettanto legittimamente utilizzabili contro gli avversari musulmani in patria. E ciò che diventa "legittimo" o "illegittimo" in una comunità assume molta più importanza di qualsiasi legge di governo. Fin troppo spesso, tuttavia, i governi arabi e musulmani arrestano i jihadisti che si trovano nei loro territori, li denunciano a noi in via riservata, ma non dicono nulla in pubblico. La leadership globale dell´Islam – il re dell´Arabia Saudita o l´Organizzazione della Conferenza Islamica, per esempio – di rado denuncia e critica apertamente l´operato e l´ideologia dei jihadisti, con lo stesso genere di fervore, coerenza e manifestazioni di massa che hanno accompagnato, come abbiamo avuto modo di constatare, le proteste per le vignette danesi sul Profeta Maometto. Ebbene, Obama non dovrebbe esitare a chiedere apertamente proprio questo, rispettosamente ma pur sempre ufficialmente. Se invece eserciterà pressioni soltanto per aumentare la vigilanza e la sicurezza negli aeroporti – che comunque deve fare – eluderà una sua precisa responsabilità. «Quando si vuole incoraggiare un comportamento più responsabile nella popolazione non ci si può limitare a promulgare un numero maggiore di leggi e regolamenti» dice Dov Seidman, presidente di LRN, consulente aziendale per ciò che concerne la cultura etica, e autore del libro "How". «È altresì necessario dare il proprio appoggio e ispirare la popolazione, instillando in essa tutta una serie di valori. La popolazione deve essere governata sia dall´esterno, tramite il rispetto delle regole, sia dall´interno, con l´ispirazione di valori condivisi. Ecco perché è importante svergognare chi si macchia di reati così eclatanti. Quando chiamiamo un banchiere "riccastro" perché si è intascato un bonus esorbitante, di fatto diventiamo guide in grado di ispirare, perché è come se dicessimo loro che si stanno comportando molto meno bene di come dovrebbe comportarsi un essere umano responsabile. Dobbiamo quindi stimolare la "comunità intera" a costringere chi ha tradito i nostri valori comuni a vergognarsi». Ogni religione ha i suoi estremismi violenti, e l´Occidente non ne è immune. Tutto dipende in ogni caso da come il nucleo di ogni comunità affronta una cosa del genere: la tollera, la emargina, la stigmatizza pubblicamente? I jihadisti costituiscono un problema di sicurezza per il nostro sistema, ma per il sistema arabo-musulmano sono un problema politico e morale. Se non risolveranno questo problema per noi, mi auguro vivamente che lo facciano quanto meno per loro stessi. Alla fine, noi riusciremo a trovare un modo per impedire che la maggior parte dei jihadisti si imbarchi su uno dei nostri aerei e si tenga alla larga da una partita di pallavolo. Loro, però, dovranno conviverci.
Il FOGLIO - " Perchè non funziona l'intelligence americana in Afghanistan (e oltre) "
Stanley McChrystal
Roma. Il generale americano Mike Flynn è il direttore dell’intelligence in Afghanistan – i militari dicono: è il J2 – agli ordini diretti del comandante Stanley McChrystal. In teoria Flynn dovrebbe essere l’uomo meglio informato sulla guerra contro i talebani presente in teatro di operazioni. Ma, con sua sorpresa, il generale ha scoperto di non essere granché informato e che la colpa è del lavoro mediocre fatto dai suoi agenti. Flynn ha prima studiato il malfunzionamento dei servizi segreti americani in Afghanistan e i possibili rimedi e poi ha scritto un rapporto durissimo per il think tank che a Washington ispira la politica estera di Barack Obama – il Cnas, il Center for a New American Security – che si intitola: “Come fare funzionare di nuovo l’intelligence in Afghanistan”. Per coincidenza, il rapporto arriva soltanto una settimana dopo la sconfitta più cocente della Cia nel paese: un infiltrato arabo che avrebbe dovuto condurre gli americani fino al numero due di al Qaida ha rovesciato il piano e si è fatto esplodere per conto dei terroristi in una base dei servizi segreti, uccidendo otto agenti. Il J2 scrive che, dopo otto anni in Afghanistan, i servizi americani non sono ancora capaci di avere le informazioni fondamentali che servono a vincere la guerra. E non si tratta soltanto di riuscire a individuare gli spostamenti dei capi talebani e di al Qaida dentro e fuori il confine con le aree tribali del Pakistan, o di isolare gli elementi più corrotti del governo afghano che non sono capaci di collaborare alla ricostruzione. Il problema sono le informazioni spicciole, di taglia minima. “Quella strada in mezzo al deserto che stiamo per asfaltare con un progetto civile è veramente la più trafficata? Ci sono moschee e bazaar che per qualche ragione attirano più persone, e possono cambiare anche di settimana in settimana: quali sono? Quel contractor locale che stiamo pagando per mettere in piedi un sistema di irrigazione e conquistarci così la fiducia della popolazione locale sta facendo veramente il suo lavoro o sta soltanto prendendo i nostri soldi? Anche queste sono il tipo di domande – oltre naturalmente quelle sul nemico – a cui chi prende le decisioni militari e politiche ha bisogno di rispondere”, scrivono il generale e i suoi coautori nel dossier. “Invece i comandi militari rigurgitano di rapporti sugli atti violenti compiuti dal talebani il giorno prima, che loro poi trasmettono alle unità schierate sul campo come se queste non lo sapessero anche meglio”. Confusi e non curiosi Il rapporto di Flynn è finito subito sui grandi giornali perché è arrivato assieme alle critiche del presidente americano, Barack Obama, sui buchi “inaccettabili” nella sicurezza che hanno quasi permesso all’attentatore nigeriano di fare esplodere un aereo in atterraggio a Detroit il giorno di Natale. Per John McCreary, un analista americano specializzato in servizi segreti, è un fatto straordinario che il generale Flynn abbia deciso di rendere pubblico quello che pensa, perdipiù non attraverso canali militari ma con il rapporto stampato da un’istituzione privata e civile. “Così ammette implicitamente di non avere l’autorità per ottenere cambiamenti nella sua catena di comando. E questo succede perché in Afghanistan il J2 non riesce a essere la prima fonte di informazioni per il proprio comandante, il generale McChrystal, ma perché si sente soltanto un cliente delle altre agenzie nazionali. Che tipo e grado di frustrazione – dice McCreary – spingono un J2, un generale alto in grado, a ricorrere al caso creato sui giornali per aggiustare quello che sarebbe di sua competenza aggiustare? Come è possibile che la nuova cellula d’appoggio di trecento persone messa su dall’intelligence in Afghanistan non funzioni ancora?”. Gli agenti sul campo, scrive Flynn, “sono ignoranti per quanto riguarda le economie locali, confusi su chi detiene veramente il potere e privi di curiosità”. Ora il suo rapporto afghano finisce nella lista dei fallimenti dell’intelligence americana che nelle ultime due settimane si è allungata di colpo.
Per inviare la propria opinione a Stampa, Repubblica, Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti