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Libero-Angelo Pezzana: " Chi vuole un paese con due nazionalità lavora alla distruzione dello Stato ebraico"
Che a Israele venga imposto di comportarsi diversamente da quel che viene normalmente richiesto a tutti gli altri Stati, è purtroppo una regola applicata da quando lo Stato ebraico venne ricostituito nel 1948. Ha vinto sino ad oggi tutte le guerre che gli stati arabi gli hanno dichiarato con l’intenzione di distruggerlo, e la reazione degli organismi internazionali è stata una perentoria richiesta di ritornare alla situazione territoriale precedente. Dopo la guerra dei sei giorni, Israele si guardò bene dall’annettersi Gaza e Cisgiordania, si limitò alla sola amministrazione, nell’attesa di un accordo di pace che potesse garantire la sicurezza dei propri confini. Una pace che è arrivata solo con l’Egitto e la Giordania, ma che manca ancora, soprattutto, con i palestinesi, divisi oggi in due entità territoriali, Gaza e Cisgiordania, che in quasi cinquant’anni di rivendicazioni non sono stati capaci di proporre altro che rifiuti e terrorismo. Persino ad Abu Mazen non viene richiesto di mantenere gli impegni sottoscritti, così come Hamas non viene condannata per i lanci di missili che da Gaza raggiungono Israele. Per il consesso internazionale, se la pace non c’è ancora, la colpa è di Israele, e, in primo luogo, degli “insediamenti”, una parola ambigua e malata, che nell’immaginario occidentale rievoca le carovane del West, con i cow-boys che derubano gli indiani delle loro terre. A poco serve ricordare che, se fosse dipeso da Israele, la sua dimensione sarebbe ancora quella stabilita il 27 novembre 1947 dall’Onu, e che se la storia è andata diversamente, la responsabilità è arabo-palestinese, che non accettò la divisione. Con dei vicini così, avere dei confini sicuri e difendibili, è il minimo che Israele possa volere, l’idea stessa di “grande Israele”, che viene propinata spesso dagli “esperti” di cose mediorientali, non è altro che un’immensa menzogna per fare disinformazione. Quegli stessi “esperti” che poi si guardano bene dallo spiegare ai propri lettori quale importanza vitale ha per Israele la definizione dei confini con quello che sarà il futuro Stato palestinese. Non a caso è quello l’argomento principe dell’intesa con gli Usa, ovvero lo scambio territoriale fra Israele e Anp lungo il confine di separazione con la Cisgiordania. Il solo modo che non prevede spostamenti di popolazione. Le città abitate solo da ebrei rimarrebbero in Israele, quelle arabe verrebbero incluse nel nuovo Stato palestinese. Israele ha accettato da lungo tempo questa soluzione, chi non ne ha mai voluto sentirne parlare è la parte palestinese. Meglio la guerra, dice Hamas a Gaza, meglio i no ripetuti a raffica, come dice Abu Mazen, il quale sa bene quanto la moneta degli “insediamenti” sia spendibile sui media occidentali. Ancora ieri, sul giornale della Confindustria, Ugo Tramballi, definiva “insediamento” Nevè Daniel, una cittadina fondata negli anni’70, portandola ad esempio della volontà israeliana di “continuare” gli insediamenti, indicandoli, imitando in pieno la solfa degli odiatori, quale vero impedimento alla ripresa dei colloqui di pace. Abbiamo citato il Sole24Ore, ma la tendenza Tramballi è comune a molti “esperti”, per i quali il raggiungimento della pace implica il sacrificio di Israele. Deve accettare di diventare binazionale, il che significa la fine dello Stato indipendente e democratico che oggi conosciamo, deve dire sì a tutte le richieste, tra le quali il ritorno dei profughi del ’48, che ne distruggerebbero il carattero ebraico, non deve reagire agli attacchi di Hamas o Hezbollah, altrimenti si muove subito l’ Onu con il suo Rapporto Goldstone. Persino con l’ Iran, che ne minaccia la distruzione con l’arma nucleare, sembra che il problema vero a preoccupare certi “esperti” stia nel sapere se Israele l’arma nucleare ce l’ha oppure no. Pare che Obama stia aprendo gli occhi, vedremo se il suo “change” funzionerà meglio di quello di Bush. |
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