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La Stampa Rassegna Stampa
06.01.2010 Primo: proteggere il criminale
Lo strano senso della giustizia svedese

Testata: La Stampa
Data: 06 gennaio 2010
Pagina: 1
Autore: Francesco Saverio Alonzo
Titolo: «Auschwitz, Il mandante del furto rischia la vita»

Che il trafugamento della scritta  " Arbeit Macht Frei " fosse una sporca faccenda l'avevamo scritto subito, in contrasto con quanti invitavano a minimizzare, come suggeriva Claudio Magris sul Corriere della Sera. Oggi, 06/01/2010, sulla STAMPA,a pag.1-15, un servizio di Francesco Saverio Alonzo, dal titolo " Auschwitz, Il mandante del furto rischia la vita ", su quanto starebbe succedendo in Svezia a chi il furto aveva commissionato. Un articolo inquietante, dai risvolti nemmeno troppo chiari, dal quale traspare la volontà delle istituzioni svedesi di proteggere il criminale piuttosto che indagare sull'ambiente nazista che l'ha generato. Siamo in Svezia, non ci stupiamo, malgrado la pessima opinione che abbiamo delle istituzioni svedesi, non avremmo immaginato che sarebbero arrivate sino a questo punto.
Ecco l'articolo:

Aveva organizzato il furto dell’insegna-emblema di Auschwitz «Arbeit macht frei» e aveva trovato il collezionista che per avere questa «icona» era disposto a pagare, secondo le indiscrezioni carpite dai media svedesi, un milione di euro. Denaro che doveva servire a finanziare una serie di attacchi terroristici ai danni del governo e del Parlamento svedesi progettati dal gruppo di neonazisti di cui era leader. Ma, quando si era reso conto dell’enormità del reato e dello sdegno che il furto aveva sollevato in tutto il mondo civile, era stato preso dalla paura e aveva rivelato tutto alla polizia svedese che, a sua volta, aveva fornito alle autorità polacche le informazioni necessarie per l’arresto dei ladri e il recupero della targa.
Il mandante del furto ora vive in una località segreta, in attesa di ottenere una nuova identità.

Trascorre le giornate sotto la protezione di agenti che hanno il compito di sventare ogni eventuale tentativo di rappresaglia da parte del gruppo di neonazisti svedesi che si sentono traditi proprio dal loro leader. Impossibile conoscerne l’identità né è stato reso noto il nome del gruppo di neonazisti svedesi di cui era stato il capo fino al «pentimento». Circola soltanto una foto, con il volto reso irriconoscibile.
Nelle redazioni dei giornali e delle tv svedesi, però, tutti conoscono l’identità di questo «cervello», altrimenti non sarebbero riusciti a procurarsi la foto presso il registro centrale dei passaporti. La prassi svedese cerca di evitare la pubblicazione di nomi e ritratti di persone indagate se queste non rischiano di essere condannate ad almeno due anni di reclusione. Ci si limita, al massimo, a citarne l’età e la professione, mentre le foto vengono rese irriconoscibili.
Rimane però il fatto che si tratta di un «segreto di Pulcinella» e una «soffiata» a elementi esterni è sempre possibile. In questo caso, poi, c’è da pensare che fra gli elementi di estrema destra che militano fra i neonazisti si trovino anche molti aderenti al partito xenofobo «Sverige Demokraterna» che, negli ultimi sondaggi, è salito al 6 per cento dei consensi fra l’elettorato.
C’è la possibilità che l’ex leader neonazista e i componenti del gruppo terroristico appartengono ad ambienti insospettabili, forse legati ad ambienti politici sospetti o forse oggetto di indagini da parte dei servizi segreti svedesi. O, forse, i ladri polacchi sono andati su tutte le furie per il tradimento del loro «committente», che oltretutto li aveva pagati con la miseria di tremila euro.
Secondo altre indiscrezioni, il gruppo di neonazisti stava preparando attacchi terroristici contro rappresentanti del governo e del Parlamento svedesi e il denaro ottenuto dalla vendita dell’insegna sarebbe servito a finanziarli. L’acquirente finale dell’insegna si troverebbe invece in Gran Bretagna, Francia o Stati Uniti e sarebbe un ricco discendente di gerarchi tedeschi. Il suo intento era quello di far sparire dalla circolazione un simbolo sotto il quale, negli Anni Quaranta, si compì la strage di oltre un milione di deportati, per la maggior parte ebrei.
Il «pentito» svedese ha incontrato il proprio rappresentante legale, nei giorni scorsi, l’avvocato Peter Althin, che ha confermato tutto. «È venuto nel mio studio, mi ha raccontato la vicenda per filo e per segno. Gli ho detto che, se sarà chiamato a render conto del proprio operato, mi assumerò la sua difesa». Secondo il legale, dalla Polonia è stata inviata una richiesta di assistenza giudiziaria. «Sono sorpreso che non venga presa alcuna misura, che non si cominci con un interrogatorio o un’indagine - ha continuato -. Il mio assistito è andato più volte in Polonia e mi ha rivelato di essersi messo in contatto con l’Interpol dopo il furto. Ma non succede nulla. Non si sa nemmeno se la polizia polacca ne richiederà l’estradizione o si limiterà a interrogarlo in Svezia».
Tutto è avvolto nel mistero e sembra che persone altolocate abbiano interesse a non mettere in luce troppi particolari. Perché? Forse la dichiarazione più sincera è quella che l’organizzatore pentito del furto ha rilasciato al proprio rappresentante legale: «Mi trovo in una situazione delicata. Sono minacciato di morte da più parti. Ma non ho motivo di vergognarmi di quello che ho fatto. Se non avessi agito così, l’insegna si troverebbe a questo punto ben lontana dalla Polonia».

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