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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Benedetto Frizzi, Un illuminista ebreo nell'età dell'emancipazione 04/01/2010

Benedetto Frizzi             Un illuminista ebreo nell’età dell’emancipazione
a cura di Marida Brignani e Maurizio Bertolotti
Giuntina                            Euro 15,00

In città lo conoscono tutti, è uno dei diciassette medici di Trieste e in più filosofo, anzi philosophe, ingegnere, esperto di musica, poeta. Qualcuno mormora che sia anche libertino, comunque è piuttosto spregiudicato in fatto di matrimoni. All’occorrenza può sfoderare un caratteraccio, ma certo sarebbe difficile immaginare la cultura triestina senza di lui. La lunghissima vita di Benedetto Frizzi attraversa il giudaismo italiano dall’età del ghetto a quella dell’emancipazione. Quando nacque nel 1756 (o ’57), gli ebrei della minuscola comunità di Ostiano, nel mantovano (ora in provincia di Cremona), erano ancora concentrati all’interno del castello, in una segregazione in parte imposta e in parte voluta. La sua era una famiglia di borghesia agiata, e Benedetto, dopo un tirocinio di studi tradizionali ebraici, fu mandato all’Università di Pavia. L’ambiente dell’ateneo, aperto alle nuove idee illuministiche, lo influenzò profondamente. Per essersi messo a capo di una protesta cadde in sospetto delle autorità austriache e fu persino espulso, per un certo periodo, da Pavia. Ebbe per maestri personalità carismatiche, tra cui Alessandro Volta e il medico tedesco Johann Peter Frank. Da quest’ultimo, autore di un celebre trattato sulla materia che allora si chiamava “Polizia medica”, l’antenata della medicina sociale, Frizzi trasse l’ispirazione per quella che sarebbe diventata la missione della sua vita. Benedetto volle infatti essere medico in senso moderno e s’impegnò per portare, anche in campo ebraico, la nuova concezione della medicina. Dopo essersi trasferito a Trieste, Frizzi intraprese un’intensissima attività pubblicistica, fondò il “Giornale medico e letterario” di Trieste, uno dei più antichi d’Italia, si legò alla massoneria e alla Società di Minerva, dedicata alla cultura triestina. In una serie di volumi, sia in ebraico sia in italiano, divulgò una sua idea di giudaismo, depurato da quelle che considerava superstizioni, e tutto volto al benessere del corpo e dell’anima. Con furia innovatrice non priva di ingenuità 8e di svarioni di ebraico), Frizzi proclamava che la legge di Mosè conteneva “ragioni puramente naturali e fisiche” e che anche la successiva cultura rabbinica, se rettamente intesa, preannunciava le scoperte scientifiche e filosofiche dell’età dei lumi. Più che per le sue idee, il focoso dottore ebbe qualche scontro con la comunità ebraica a causa del suo matrimonio civile con Rachele, detta Relle. La faccenda creò scandalo, anche perché Frizzi si era fatto paladino del divorzio della donna dal primo marito. Come non bastasse, Benedetto era un “kohen” (discendente cioè dalla classe sacerdotale) e dunque non avrebbe potuto, secondo il diritto religioso, sposare una divorziata. Il loro fu uno dei primi matrimoni civili dell’ebraismo italiano e, nonostante le polemiche, l’unione fu lunga e salda. Nel 1831 fecero ritorno a Ostiano, non più nella giudecca, ma in un grande palazzo sulla via principale. Benedetto morì nel 1844 a 88 anni, Rachele si spense tre giorni dopo.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore


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