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Il Foglio Rassegna Stampa
31.12.2009 Quello che è stato detto su Israele non era vero
Verità e menzogne dell'anno trascorso

Testata: Il Foglio
Data: 31 dicembre 2009
Pagina: 1
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Quello che è stato detto su Israele non era vero»

Sul FOGLIO di oggi, 31/12/2009, a pag. 1, con il titolo " Quello che è stato detto su Israele non era vero " , un bilancio dell'anno che è trascorso, la rassegna degli avvenimenti più importanti, con le menzogne che hanno prodotto, insieme ai risultati raggiunti.


non muro ma barriera difensiva

Gerusalemme. Nel 2008, prima di quel 27 dicembre in cui iniziò l’operazione militare israeliana a Gaza chiamata “Piombo fuso” – che oggi i pacifisti e gli attivisti globali ricordano, occhi umidi e candele accese, in molte capitali europee –, erano caduti sul territorio d’Israele 3.200 tra razzi e mortai. Provenienza: Gaza. Dalla fine di “Piombo fuso”, il 18 gennaio del 2009, ne sono caduti 242. Se dici “soltanto 242” naturalmente ti guardano male: in quale altro paese al mondo sono accettabili centinaia di razzi lanciati su target civili? Però – racconta Liat Collin sul Jerusalem Post – in un anno il sud d’Israele è tornato a sorridere, a guardare al futuro, sono aumentati i prezzi delle case, vuol dire che l’esodo da Sderot, Beersheba, Ashkelon e Ashdod si è fermato, anzi c’è qualcuno che torna. Le iscrizioni al Sapir College, vicino a Sderot, e all’Università del Negev sono aumentate. C’è stato persino “un piccolo baby boom – scrive Collin – e i genitori orgogliosi del sud scherzano sul fatto di aver trovato un modo per ridurre la tensione”. Soprattutto, è tornata la speranza di poter avere una vita normale, una casa, dei figli, un’università da frequentare, un lavoro da fare. Durante l’operazione “Piombo fuso” morirono 13 israeliani (di cui dieci soldati) e 1.166 palestinesi (secondo le stime palestinesi). Il governo e l’esercito di Gerusalemme sono stati accusati di “reazione sproporzionata”, l’Onu ha aperto inchieste e così la maggior pare delle agenzie umanitarie del mondo (Amnesty ha poi scoperto e denunciato che ci sono stati sanguinosi e violentissimi scontri interni tra Hamas Fatah, torture e ossa spezzate, ma ha fatto più notizia la campagna sull’utilizzo delle bombe al fosforo), le 575 pagine del rapporto Goldstone, commissionato dall’Onu, hanno stabilito che sia israeliani sia palestinesi – più i primi che i secondi – hanno commesso “crimini di guerra e hanno infranto la legge umanitaria”. Molti leader israeliani non possono viaggiare nel Regno Unito perché rischiano di finire in galera. Per l’opinione pubblica e per la stragrande maggioranza della comunità internazionale l’operazione a Gaza è stato l’ultimo, feroce esempio della sproporzione dell’occupazione israeliana ai danni dei palestinesi. Poi ci sono i dati. Secondo l’Israel Security Agency, in un anno gli attacchi dalla Striscia di Gaza si sono stabilizzati, in Cisgiordania ce ne sono sempre meno, mentre è cresciuta la minaccia proveniente da Gerusalemme est. Rispetto all’anno scorso, i numeri sono più che dimezzati. Spulciando gli archivi di “Terror Data and Trends” si leggono nelle analisi di fine anno formule del tipo: “Nonostante lo sforzo delle organizzazioni terroristiche di portare a termine attentati contro target israeliani, nonostante la presenza di nuclei terroristici in costante movimento e riorganizzazione, il numero di attacchi terroristici è diminuito rispetto all’anno precedente”. E’ dal 2005 che il trend è questo: diminuiscono gli attacchi sul territorio israeliano. Il 2005 è l’anno del ritiro unilaterale da Gaza voluto da Ariel Sharon (che pochi mesi dopo sarebbe entrato in coma, il 4 gennaio sono quattro anni) e criticato da molti, soprattutto dai palestinesi e dalla comunità internazionale che non tolleravano l’unilateralismo dell’operazione. Fu un dramma interno a Israele, nacque una nuova forza politica, ancora sono vive le immagini color arancione dei soldati costretti a prendere di peso i settlers e sradicarli dalle loro case. Sharon pianse in tv annunciando le varie fasi del ritiro. Da allora gli attacchi nel territorio di Israele sono drasticamente diminuiti, l’ultimo risale al marzo del 2008, il massacro al Merkaz Harav Yeshiva, il collegio rabbinico di Gerusalemme, otto morti, a opera di brigate ispirate dal leader di Hezbollah Imad Mughnieh ucciso (in circostanze ancora non del tutto chiarite) il mese precedente. I confini sono rimasti i più fragili, a causa soprattutto del lancio di razzi – ne continuano ad arrivare, anche di lungo raggio, soprattutto da cargo iraniani – e della costruzione di tunnel sia sul confine con la Striscia di Gaza sia su quello con il Libano (quest’ultimo oggi molto meno poroso dopo la guerra del 2006 e la successiva risoluzione dell’Onu che ha costituito la missione Unifil, oggi a guida italiana, come forza cuscinetto per il controllo e il disarmo di Hezbollah). Proprio da un tunnel costruito da Gaza è partita l’imboscata di Hamas contro i soldati dell’Idf in cui fu sequestrato il caporale Gilad Shalit, il 25 giugno del 2006, che è ancora nelle mani dei suoi rapitori nonostante una risoluzione dell’Onu che ne chiedeva l’immediata rilascio. La Cisgiordania, invece, controllata dall’Autorità palestinese e dal suo leader Abu Mazen, ha cambiato faccia: nel primo trimestre del 2010 registrerà un tasso di crescita a due cifre, a novembre è arrivata la più grande struttura di comunicazione della zona, la compagnia telefonica controllata dal Qatar Watanya, il più importante investimento straniero dell’Autorità palestinese, “un passo verso la sovranità di uno stato”, ha detto l’inviato del Quartetto, Tony Blair. C’è una nuova connessione tra Israele e Jenin che sta facendo rinascere i negozi, le attività e l’economia della cittadina. La Cisgiordania è sempre più un territorio vicino e in pace per Israele. Anche grazie alla barriera difensiva, il vituperato muro costruito a partire dal 2006 e non ancora terminato che ha ridotto gli attacchi contro Israele, stando alle stime ufficiali, del 90 per cento. Il 23 marzo del 2008, il capo del Jihad islamico palestinese, Ramadan Abdallah Shalah, disse in un’intervista: “Il nemico ha trovato nuovi metodi per difendersi dagli attacchi. Per esempio con la costruzione della barriera difensiva nella Cisgiordania. Non possiamo negare che la barriera limita le capacità della resistenza di arrivare dentro il territorio per fare attacchi suicidi, ma non ci arrenderemo.

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