Riportiamo da LIBERO di oggi, 29/12/2009, a pag. 19, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Israele in cerca di unità di fronte alla minaccia ".
Il primo passo l'ha fatto Bibi Netanyahu, quando ha invitato Tzipi Livni ad entrare con il suo partito Kadima nella coalizione governativa, anche se sarebbe più corretto dire unirsi al governo, perchè una coalizione lo è già, essendo formato da Likud, centro destra, e Laburisti, centro sinistra. Mancava il centro, Kadima, che peraltro è il partito più forte alla Knesset, 28 seggi su 120, oggi l'unico a rappresentare l'opposizione. La risposta di Tzipi Livni è stata ambigua, ma è stata più no che si, perché alla fine dell'incontro con Bibi ha dichiarato che Kadima non sarebbe stato in grado di influenzare le decisioni più importanti del governo, per cui, per ora, preferiva collaborare dall'opposizione. Una risposta ambigua, sicuramente sofferta, non le sarà facile fare opposizione e, nello stesso tempo, "collaborare". Di sicuro anche lei si rende conto che il prossimo anno porterà con sè decisioni estremamente importanti, ed il paese, come in altre occasioni simili, deve essere unito, per cui più partiti formano il governo meglio è. Ma Netanyahu le ha fatto capire chiaramente che non le sarebbe stata concessa mano libera, come era accaduto sotto Ehud Olmert. Le decisioni che Israele si trova davanti sono essenzialmente due. La prima, quella che potrebbe addirittura minarne la sicurezza, si chiama Iran. La teocrazia degli ayatollah si fa sempre più minacciosa, ormai si è dotata di missili che non solo possono raggiungere lo Stato ebraico, ma possono colpire la stessa Europa, dotati perdipiù di testate nucleari. L'’Iran è oggi nella stessa situazione nella quale si trovava la Germania di Hitler alla fine degli anni ’'30, mentre l'’Occidente pare comportarsi come se alla sua guida vi sia il Chamberlain di quegli anni. La scelta pacifica delle democrazie si trova davanti alla volontà di conquista di una dittatura, in una confusione di valori, nei quali la sottomissione viene scambiata per dialogo. L'’Iran va fermato ora, prima che possa sentirsi, ed esserlo di fatto, così forte da poter realizzare i suoi piani di guerra contro gli “infedeli”. Un piano che trova molti punti in comune con Al Qaeda insieme alla galassia internazionale dei movimenti islamici terroristi. A giorni scade l'ennesimo (quasi) ultimatum lanciato dal presidente Obama, ma non è affatto certa la risposta che verrà data ad Ahmadinejad se, come ha dichiarato lui stesso, continuerà come se niente fosse la corsa al nucleare. L'’America è lontana, ma Israele – e l'’Europa – sono vicini. Ma se quest’ultima continua a sottostimare la tempesta che si prepara, Israele non può permetterselo. Obama, finora, ha preso a schiaffi gli alleati e trattato gentilmente i nemici. Può anche darsi che si sia reso conto dell’inutilità della sua ricetta contro il terrorismo, visto che continua a minacciare anche gli Stati Uniti, può essere, si vedrà. Ma il pericolo rappresentato oggi dall'’Iran è ancora più grande di quello che diede origine alla coalizione che fermò Saddam Hussein durante la prima guerra del golfo. Come allora, gli Usa dovrebbero mettersi alla testa di una coalizione, alla quale potrebbe partecipare, in qualche modo, anche Israele. Un'’ipotesi che godrebbe del silenzioso consenso degli stati arabi della regione, che temono l'’avanzata dell'’Iran sciita molto più della presenza dello Stato ebraico. La seconda, che giustificava anch’essa l'’entrata di Kadima nella coalizione, è il bisogno di continuare la ricerca di una soluzione al progetto “ due stati”, che Netanyahu vuole proseguire per rafforzare quella parte palestinese che si dice pronta a riprendere le trattative, ma che frappone i soliti ostacoli per giustificare il proprio no al dialogo. Mentre la situazione ai confini è quanto mai delicata. A Nord, Hezbollah, rinvigorito dalla sottomissione dal governo Hariri ad Assad, valuta l'’aumentato potere della sua presenza in Libano. A Sud, Hamas sopporta sempre con più fatica l’arresto delle azioni terroristiche, fermate dopo la guerra dello scorso gennaio. Il nuovo anno si presenta molto problematico per Israele, che è sì una forte democrazia, ma pur sempre circondata da dittature, che in luogo del dialogo usano il terrore. In attesa del risveglio americano, è urgente che l'’Unione europea apra gli occhi sui pericoli che minacciano la pace, smetta gli abiti di Chamberlain e indossi quelli di Churchill. |