Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/12/2009, a pag. 43, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " I musulmani in Europa. Problemi dell'integrazione ".
A tre lettori che gli chiedono un parere sull'editoriale di Giovanni Sartori pubblicato sul CORRIERE della SERA del 20/12/2009 (riportato anche nella rassegna di IC) risponde con un paragone assurdo. Quello fra gli ebrei polacchi non integrati e gli islamici emigrati in Europa ai giorni nostri. Romano scrive : " Fu colpa dei polacchi che consideravano gli ebrei con diffidenza e sospetto, o dei leader delle comunità ebraiche per cui il ghetto e lo shtetl erano un fattore di solidarietà e fedeltà alla tradizione? ". Il paragone non regge per il semplice fatto che i musulmani, contrariamente a quanto successe agli ebrei, non vengono rinchiusi nei ghetti. Possono esercitare qualunque professione, far studiare i propri figli, vivere in qualunque zona desiderino.
Inoltre gli ebrei non avevano e non hanno velleità di conquistare e convertire il mondo. Il paragone ha reso la vittima carnefice. Gli ebrei sarebbero stati chiusi nei ghetti e, successivamente, deportati, perchè non si erano voluti integrare? L'esatto opposto, semmai.
Romano conclude così la sua lettera : "dovremmo chiederci infine perché tanti musulmani abbiano lasciato i loro Paesi per venire in Europa. Per conquistarci o perché erano attratti da tutto ciò che siamo in grado di offrire al loro futuro? ". Indubbiamente la maggior parte degli emigranti non parte con l'obiettivo di conquista. Ma è altrettanto indubbio che è nelle moschee fuori controllo e nei centri di preghiera che nascondono ben altre attività, i fondamentalisti islamici reclutano i loro terroristi suicidi. L'attentatore del volo da Amsterdam a Detroit aveva casa in Gran Bretagna. Ogni giorno vengono scoperte cellule nuove, spesso fai da te e con contatti solo telematici. Ma Romano preferisce far finta di non sapere e descrive una cosa inesistente: islamici tutti moderati e perfettamente integrati. Ecco la sua risposta:
Giovanni Sartori, Sergio Romano
Cari lettori,
non credo che esista una teoria dell'integrazione da cui si possano ricavare i fattori che rendono il fattore facile o difficile, possibile o impossibile. Le variabili di cui occorre tenere conto sono molte e producono, combinandosi, situazioni alquanto diverse: il numero degli immigrati rispetto a quello dei cittadini del Paese che li accoglie, le lingue parlate dagli uni e dagli altri, l’intensità dei sentimenti religiosi, l’inserimento nel sistema scolastico, le regole per l’acquisto della cittadinanza. La grande massa degli ebrei polacchi, ucraini e bielorussi non fu integrata né dal regno di Polonia, né dall’impero zarista che ne ereditò gran parte, né dalla Polonia restaurata del 1919. Fu colpa dei polacchi che consideravano gli ebrei con diffidenza e sospetto, o dei leader delle comunità ebraiche per cui il ghetto e lo shtetl erano un fattore di solidarietà e fedeltà alla tradizione? I turchi della Repubblica federale di Germania rimasero lungamente una comunità a sé, separata dal resto della società tedesca. Ma cominciarono a integrarsi gradualmente non appena il governo del cancelliere Schröder modificò la concezione della cittadinanza, basata sino ad allora sul «diritto del sangue». La rivolta delle banlieue parigine, nell’autunno e nell’inverno del 2005, furono un fenomeno sociale, privo di qualsiasi connotazione religiosa, e scoppiarono là dove la concentrazione dei maghrebini francesi, quasi tutti disoccupati, era particolarmente elevata. Il reclutamento dei terroristi nei quartieri musulmani della Gran Bretagna resta un fenomeno minoritario e non significa necessariamente il fallimento del multiculturalismo britannico. È certamente vero che il monoteismo islamico è particolarmente rigoroso e che l’apostolato musulmano è stato spesso più dinamico e aggressivo, soprattutto in Africa, di quello cristiano. Ma siamo davvero certi che la religione, nel mondo islamico, sia violenti accadimenti in Italia e nel mondo rappresentano l’esplosione di odi striscianti e un malessere che cova ormai da qualche tempo. sempre stata vissuta con la stessa intensità e intransigenza? Come nella storia del Cristianesimo anche in quella dell’Islam la febbre della fede sale e scende a seconda delle condizioni civili, economiche e culturali. Sino agli anni Cinquanta la tendenza prevalente, nella maggior parte dei Paesi del Medio Oriente, era la secolarizzazione. Poi, a cominciare dagli anni Sessanta, abbiamo assistito quasi ovunque a una rinascita del sentimento religioso. Anziché considerare questo fenomeno permanente e immutabile dovremmo chiederci quali fattori politici e sociali abbiano contribuito al cambiamento. E dovremmo chiederci infine perché tanti musulmani abbiano lasciato i loro Paesi per venire in Europa. Per conquistarci o perché erano attratti da tutto ciò che siamo in grado di offrire al loro futuro? sarebbe bello che il ministro Brunetta si occupasse anche dei disguidi incredibili causati da impiegati poco attenti.
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