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La Stampa Rassegna Stampa
27.12.2009 Verdi interpretato da un bravissimo giovane direttore israeliano
La cronaca di Alberto Mattioli

Testata: La Stampa
Data: 27 dicembre 2009
Pagina: 88
Autore: Alberto Mattioli
Titolo: «Il baby maestro israeliano che ama Verdi e la fisarmonica»

"Il baby maestro israeliano che ama Verdi e la fisarmonica ", è il titolo dell'articolo di Alberto Mattioli, sulla STAMPA di oggi, 27/12/2009, a pag.88. Il baby maestro si chiama Omer Meir Wellber, ha 28 anni. Unico neo, ma questo lo diciamo noi, è allievo di Barenboim, che sarà pure un ottimo insegnante di musica, ma solo di quello. Sul resto ci auguriamo che Omer tragga ispirazione da ben altri "maestri".
Ecco il pezzo:


Omer Meir Wellber

Smettetela di parlar male della globalizzazione. Alla musica fa bene. Altrimenti non si spiegherebbe perché il miglior Verdi ascoltato da parecchio tempo in qua lo diriga un ventottenne che viene da Israele e ha una passione per la fisarmonica. Strano? Stranissimo. Eppure succede, oltretutto nel Trovatore, sempreVerdi forse non difficile da dirigere in generale ma difficilissimo da dirigere bene, e in un teatro non di grandi mezzi come il Verdi di Padova (ultima replica oggi alle 16, poi al Sociale di Rovigo dal 18 al 21 febbraio).
Lui si chiama Omer (senza acca, per fortuna: altrimenti le battute sui Simpson non gliele toglierebbe nessuno) di nome, Meir Wellber di cognome ed è un fenomeno. Si capisce anche che ne è consapevole ma, essendo di una simpatia travolgente e stralunata, evita di far sapere che lo sa. Però, come ha imparato a sue spese qualsiasi ragazzo di talento che ce l’abbia fatta, la bravura serve ma non basta. Ci vuole anche la fortuna che qualcuno si accorga che sei bravo. E qui la buona stella del giovin direttore si è materializzato nell’incontro con Daniel Barenboim, che non è solo il musicista tutto fare e a tutto tondo che sappiamo ma anche uno scopritore di talenti. È stato lui ad accorgersi che il baby maestro che macinava recite all’Opera di Tel Aviv meritava di non restarci per il resto della carriera. Così adesso quando alla Scala c’è Barenboim c’è anche Wellber. Per esempio, è stato lui a seguire tutta la preparazione musicale della Carmen che a Sant’Ambroeus ha aperto la stagione milanese (quella accompagnate da tutte le provincialissime polemiche sulla regia presunta «provocatoria» di Emma Dante: ma fare la gita a Chiasso per vedere un po’ quel che succede nel mondo civilizzato, mai?).
Ma non divaghiamo, perché l’aneddoto è ghiotto. Siamo al 1° dicembre e Barenboim che dirige la prova generale aperta per i lavoratori della Scala e i loro familiari. Wellber arriva senza partitura e Barenboim s’inquieta: come mai? «Maestro, ormai la Carmen credo di saperla». «La sai?» «La so». Arrivato al quarto atto, Barenboim fa lo scherzetto: scende dal podio e intima al suo pupillo di salirci. Wellber non si scompone, sale e dirige venti minuti di Bizet, a memoria e benissimo. E intanto superDaniel si aggira per la platea fra gli spetattori basiti proclamando soddisfatto a destra e a manca: «Ma allora la sa, la sa».
Del resto, l’antibamboccione israeliano ha sempre respirato musica. Suona pianoforte e violino, ma la passionaccia è la fisarmonica, perché la città dov’è nato, Beer Sheva, era piena di ebrei immigrati dall’Europa orientale che la suonavano. E forse la fisarmonica gli è servita per cogliere in pieno il sapore di quelle ballate da piazza padana che Verdi ha disseminato nel suo Trovatore aristocratico e popolare insieme. Del resto, Wellber ama moltissimo l’opera italiana, mentre da buon israeliano si trova a disagio con quell’antisemita delirante di Wagner, eseguitissimo invece da Barenboim: «Ma mi sta convincendo a studiarlo - racconta - e gli farò da assistente l’anno prossimo alla Scala quando dirigerà L’oro del Reno». Il tedesco lo parla già, come l’ebraico, l’italiano e l’inglese. Ma sta studiando come quinta lingua il francese, che gli servirà quando dirigerà alla Scala, nel 2014, il Werther di Massenet.
Wellber si era già imposto all’attenzione generale l’anno scorso, sempre a Padova, dove un direttore artistico insolitamente sveglio per gli usi e malcostumi italiani, Federico Faggion, gli aveva affidato un’Aida che lasciò tutti a bocca aperta. Però poteva essere un caso o una serata fortunata.
Così quest’anno, quando è stato scritturato per Il trovatore, tutti l’aspettavano al varco. Ma la trasferta a Padova ha confermato che il ragazzo davvero non scherza. E si concede perfino qualche gigionata, non tanto per il gesto talvolta un po’ esibizionista ma bellissimo (e poi non bisogna farsi ingannare dai suoi salti: in realtà gli attacchi gli dà tutti, rasserenando solisti, coro e orchestra), ma per il numero che ha tirato fuori al quarto atto. Leonora aveva appena attaccato «D’amor sull’ali rosee» quando, in mezzo a questo Leopardi fatto musica, si è sentita squillare violentissima e villana una sirena, perché il teatro Verdi è piccolo e dà sulla strada.
A Wellber è bastato alzare una mano per bloccare primadonna e orchestra, aspettare che la polizia o i pompieri o quel che era si fossero allontanati e poi riprendere con rinnovata intensità. E concludere un Trovatore da brivido, di lirismi incantati ed eroismi dementi, incandescente e lunare, adolescenziale e forsennato, antico per memorie e passioni e radici eppure nuovissimo. In una parola, per ridarci il nostro Verdi. Che poi questo Verdi arcitaliano lo faccia un ragazzo israeliano è strano ma è vero. Ed è anche molto bello.

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