" Così Abu Mazen blocca la terza Intifada, 'finchè vivrò io' ", è il titolo sul FOGLIO di oggi, 23/12/2009, a pag. 3, sulla situazione nei territori governati dall'Anp.
Ecco l'articolo:
Abu Mazen
Roma. Due giorni fa Charles Levinson del Wall Street Journal ha intervistato il leader politico dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, nel suo ufficio all’ambasciata palestinese di Amman, nella vicina Giordania. Abu Mazen sa benissimo che sul processo di pace incombe il rischio della terza “intifada”, la rivolta popolare contro Israele, dopo quelle del 1987 e del 2000, e ne teme lo scoppio. L’Anp di Abu Mazen controlla la Cisgiordania, a nord rispetto a Gaza, con l’aiuto di sauditi e americani e il consenso incoraggiante di Israele. Due giorni fa il primo ministro Salam Fayyad ha detto che nell’area sotto il suo controllo l’economia va bene, l’anno prossimo potrebbe crescere a doppia cifra, e la disoccupazione è meno della metà confrontata con quella di Gaza. Ma questa prosperità non riesce a influire ancora sull’umore politico dei palestinesi. “Fino a quando ci sarò io, non permetterò nessuna rivolta – dice Abu Mazen – Ma la calma potrebbe terminare quando me ne andrò a giugno. Non sarà più una mia responsabilità, non posso dare garanzie”. Il leader si è dimostrato un efficiente stabilizzatore durante l’ultimo conflitto a Gaza, un anno fa, quando riuscì a trattenere la frustrazione, in perenne ebollizione, dei palestinesi di Cisgiordania. “Allora tutti mi chiesero di lasciare che si scatenasse la terza intifada, ma io mi opposi. Ho promesso e sono in grado di mantenere”. Abu Mazen dà voce alle frustrazioni palestinesi con l’Amministrazione Obama, che dovrebbe convincere Israele a congelare la costruzione di nuovi settlement e ad accettare le frontiere del 1967, almeno come cornice per cominciare i negoziati. Per il politico palestinese, Washington dovrebbe proporre un piano di pace americano, da discutere in modo da riavviare e ristabilire i contatti fra le due parti. “Ora la palla è nel campo della comunità internazionale e nel campo americano. Devono intervenire e fare pressione su Israele”. Abu Mazen insiste sulla precondizione necessaria che pone per sedersi di nuovo al tavolo del negoziato diretto con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: il congelamento totale della costruzione di nuove case nei settlement israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme est. E’ una precondizione che molti alleati di governo di Netanyahu hanno già escluso a priori, come “irrealistica”, una “nonstarter”: impedisce qualsiasi inizio. Ma a ben vedere, la proposta di Abu Mazen è più morbida di quello che sembra: cinque mesi consecutivi di congelamento delle costruzioni, anche cinque mesi “non dichiarati”. Il blocco delle nuove costruzioni non deve essere necessariamente proclamato in via ufficiale, ma può anche soltanto essere effettivo. In questo modo, il governo di Gerusalemme può evitare le prevedibili controversie con i settlers. Due mesi fa, i sondaggi hanno mostrato un lieve vantaggio di Hamas su Fatah, il partito più moderato erede dell’Olp, in caso di elezioni. Abu Mazen ha deciso di non correre, ma da allora ha guadagnato punti. Le elezioni palestinesi erano previste per gennaio, ma continuano ad essere spostate in là a causa delle tensioni tra i due movimenti. Per ora sono fissate al 28 giugno prossimo, ma potrebbero ancora scivolare più in là. Abu Mazen rifiuta di indicare a chiare lettere il suo successore, ma di Marwan Barghouti, leader di Fatah in prigione, dice che è “un uomo con una buona reputazione e una storia forte di resistenza”. Proprio Barghouti potrebbe essere liberato nel grande scambio tra Israele e Hamas per la liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito nel 2006. Il negoziatore tedesco arriva oggi a Gaza per la fase finale dell’accordo.
Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.