Lo stato d’innocenza (937)
Senza Eva e Adamo, e senza la mela entrata
in quelle due golacce ghiotte,
per noi poveri figli di puttane
non ci sarebbe né morte né peccato.
L’uomo avrebbe continuato a fottere
qualunque donna che avesse incontrato,
e il mondo sarebbe tutto popolato
da sud a nord.
E come all’uomo, la stessa sorte
sarebbe toccata a ogni animale,
per non dire dell’esempio della morte.
E invece del giudizio universale,
sarebbe venuto Dio parecchie volte
a dare una allargatina al mondo
Lo stato d’innocenza 2 (938)
Dico, faccia il favore, signor Abate:
se padre Adamo non mangiava il fico
e oggi non ci fosse questo brutto uso antico
di far terra per ceci e patate (morire);
cioè, quando le persone nate
non morissero mai; per favore, dico,
cosa succederebbe se qualche amico
si prendesse a pugni o a coltellate?
Come?! Nessuno peccherebbe?! Eh giusto!
Che bel libero arbitrio dei coglioni
Se Adamo avesse voluto levarsi uno sfizio!
Be’, lasciamo stare il picchiarsi levarsi uno sfizio:
allora mi spieghi che ne sarebbe stato di quelli
che fossero caduti giù da un precipizio.
Lo stato d’innocenza 3 (939)
Se per una qualsiasi disgrazia nessuno
al mondo potesse mai morire,
mi tolga un altro dubbio, che guai
ci sarebbero per l’uomo a stare sempre a digiuno.
Lei, signor Abate, deve capire che ognuno
potrebbe mangiare poco, o niente, o molto,
ingoiare anche le pietre, ed eventualmente
bere il veleno senza alcun danno.
E come crescerebbe uno (stando sempre) a digiunare?
E a che gli servirebbero il pane e il vino
e tutta l’altra abbondanza benedetta?
Ma quello che mi preme è di conoscere la funzione
che Dio avrebbe dato a questo buchetto
di dietro, con rispetto parlando, al sedere.
Il Signore e Caino (1146)
“Caino! Dov’è Abele?”. E quello zitto.
“Caino? Dov’è Abele?”. Allora quello:
“Siete curioso voi! Chi l’ha veduto?
Sono forse il guardiano di mio fratello?”.
“Te lo dirò dunque io, baron fottuto (furbo mascalzone):
sta a fare terra per ceci (è morto): ecco dov’è.
Lo hai ammazzato tu col tuo coltello
quando io non c’ero ad aiutarlo.
Vattene lontano da me:
corri per tutto il globo per quanto è largo e tondo,
che tu possa essere mille volte maledetto!
E dopo avere girato a una a una
tutte le strade e le città del mondo,
va’, cristianaccio, a piangere sulla luna.
Il secondo peccato (1147)
Che il signor Caino, dopo il fatto d’Eva
ammazzasse quel povero innocente
fin qui non c’è niente da dire:
questo è un quattro e quattr’otto, e si sapeva.
Il grande problema che ho in testa
e che nessuno ancora mi risolve,
è come mai Caino sapeva
che le botte ammazzano a gente.
Prima di quella sua bricconata
nessuno era mai morto ammazzato,
e neanche morto di malattia.
Vogliamo quindi concludere che dal peccato
di mangiare un fico per ghiottoneria
la voglia di ammazzare ci sia già alla nascita?
Caino (180)
Io non lo difendo Caino, signor dottore,
perché lo so più di voi chi fu Caino:
intendo dire che qualche volta il vino
può accecare l’uomo e cambiargli il cuore.
Capisco anch’io che prendere un bastone
e con quello ammazzare un fratello più piccolo,
sembra un’azionaccia da burino,
un tradimento che puzza.
Ma stare a vedere che Dio sputava sempre
addosso al suo miele e alle sue rape,
e no al latte e alle pecore di Abele,
per un uomo di carne e d’ossa come noi
ce n’era abbastanza da inacidirgli il fiele:
e allora, amico mio, taglia che è rosso (come si dice per i cocomeri).
Il sacrificio di Abramo (1) (757)
La Bibbia, che è una specie di storia,
dice che tra la prima Arca e la seconda
Abramo, da buon Patriarca volle offrire
un olocausto a Dio sul Monte Moria.
Prese dunque dalle Marche un somaro
che se ne stava tranquillamente
a pascere trifoglio e cicoria
davanti a casa sua come un re.
Poi chiamò Isacco e disse: “Fai un fascetto,
piglia la scure, carica il somarello
chiama il garzone, infilati il giubbotto,
saluta mamma, prendimi il cappello;
e andiamo via, perché Dio benedetto
vuole un sacrificio che non puoi conoscere”.
Il sacrificio di Abramo (2) (758)
Dopo aver fatto una leggera colazione
tutti e quattro partirono appena giorno,
e camminarono sempre pregando
per molte miglia.
“Siamo arrivati, andiamo”, disse il vecchio,
“prendi il fascetto, figlio caro”:
poi, voltandosi dall’altra parte, disse al garzone:
“voi aspettatemi qui con il somaro”.
Isacco saliva e diceva: “Papà,
ma ditemi, dov’è la vittima?”
E lui gli rispondeva: “Un po’ più in là”.
Ma quando finalmente furono su,
Abramo gridò al figlio: “Isacco, a te,
faccia a terra: la vittima sei tu”.
Il sacrificio di Abramo (3) (759)
“Pazienza” dice Isacco al suo padraccio,
si butta in ginocchio su un sasso,
e quel boia del padre alza la scure
tra capo e collo del povero coglione.
“Fermati Abramo; non abbassare quel braccio ”,
grida allora un Angelo che stava in disparte:
“Dio con questo volle metterti alla prova…”
Bèe, bèe…E quest’altro chi è! E’ un pecorone.
Insomma, amici cari, io sono già stanco
di raccontarvi il fatto per intero.
La pecora morì e Isacco fu salvo:
e quella pietra di cui vi ho detto
nel momento culminante della strage,
sta a Roma, a Borgo Nuovo, in una chiesa.
Giuseppe ebreo (1) (95)
Certi mercanti, dopo aver gridato: aéo (dei robivecchi del ghetto)
si sentirono chiamare dal fondo di un pozzo.
Uno si affacciò sull’orlo col mento,
vide muovere e sentì un lamento.
“Cazzo! Qui c’è un ragazzo, per san Gneo (sta per imprecazione),.
a mollo come un merluzzo fino al collo!”
Calano un secchio e viene su, fradicio e sporco,
indovina un po’ chi c’è? Giuseppe ebreo.
Lo asciugano alla meglio con un panno,
gli cambiano i pantaloni e la camicia,
e poi gli danno da mangiare, gli danno. In contrabbando
E dopo, invece di portarlo a scuola,
lo vendettero in Egitto di contrabbando
per quattro stracci e un rotolo di cuoio.
Giuseppe ebreo (2) (96)
Dopo diversi anni il signor Peppino
Diventato bello, grande e grosso,
la sua padrona, ghiotta di quell’intingolo,
cominciò a mettergli gli occhi addosso.
Cominciava a dargli delle occhiate
Sfoderava profondi sospiri:
insomma, per farla breve, dal valletto
lei voleva la carne senza l’osso.
Ecco che una mattina a questa bellona
lui doveva portare una certa acqua calda,
e la trova sul sofà senza camicia.
Che fa il cazzone? Butta la pentola;
e a lei che lo afferra per una spalla
lascia in mano la livrea e fila via.
Gli ebrei d’Egitto (619)
Faraone era un re di quelli farabutti
Che fanno e disfanno a loro piacimento,
e volendo che gli ebrei fossero schiavi o ammazzati,
o li affogava o li mandava a lavorare.
Ma Mosè, che sembrava Bonaparte,
li salvò tutti alla barba(ccia) del Faraone,
e fra due muri d’acqua, uno di fronte all’altro,
li portò con sé per mare con i piedi asciutti.
Nell’acqua andò benone, signor Giovanni,
perché il Mar Rosso restò sempre aperto;
ma in terra cominciarono i malanni.
Come minimo infatti è una grande fregatura
quella di andare a spasso per quarant’anni
a faticare a vuoto (ma fregà l’orbo ha un evidente senso diverso) in un deserto.
Il calzolaio dottore (555)
Ma come si può dire: gira la terra,
quando Giosuè con due parole
disse: “In nome di Dio, fermati o sole,
fermati, cazzo! E fai finire la guerra?”.
Per ragionare così ci vuole uno stupido
che le tomaie per suole.
Chi non sa che a Parigi in Inghilterra
sanno questa scuola in tutte le scuole
Quando mi dirai che per questo arresto
del sole si dispiacquero un po’
gli altri che lo aspettavano prima,
qui hai ragione tu: perché il divario
cambiò le ore del pranzo e della cena,
e fregò i conti del lunario.
La battaglia di Gedeone (1375)
I trecento ebrei di Gedeone
se ne andarono dunque, fila per fila,
armati fino agli occhi di pentola
con dentro una fiaccola, e di un trombone.
Una volta arrivati lì proprio come sfilano
i ballerini a Tordinona,
girarono tante volte in processione
che invece di trecento sembravano tremila.
Quando tutù, tutù, le pentole rotte,
le fiaccole in aria, trecento stornelli
e i nemici giù come ricotte.
E ora tutti questi eserciti coglioni
Invece di andare in guerra come quelli,
si mettono a sprecare tanti cannoni!
Il duello di Davide (720)
Cos’è mai il braccio di Dio! Mandare un ragazzino
contro quel marcantonio di Golia,
che ne avesse avuto voglia
poteva ammazzarlo con un pizzico!
Eppure è così. Dio benedetto
volle far vedere a tutta la Giudea
che chi è devoto di Gesù e Maria
può vedersela con un gigante da uomo a uomo.
Nel vedere un pastorello con la fionda,
Golia, saltando in piedi, gridò:”Oh, cazzo!
Questa volta figlio mio, l’hai fatta grossa,”.
Ma il fatto fu che il povero ragazzo,
grazie alle anime sante e alla Madonna,
lo fece cascare giù come un pupazzo.
Il santo re Davide (725)
Chi vuol sapere chi fu re Davide,
fu un astrologo del tempo di Noè,
che parlava con Dio a tu per tu,
e beveva più vino che caffè.
Chi poi vuol sapere qualche altra cosa,
vada a sentire la predica alla chiesa del Gesù,
e imparerà che prima di essere re
era un suonatore del re Esaù.
E a chi ancora non bastasse di sapere,
e vuole imparare qualche altra cosetta,
legga la Bibbia, se riesce a capirla;
e imparerà che il re suonatore
dal sabato fino al venerdì
gli piaceva un tantino di scopare.
Il gran giudizio di Salomone (188)
Tu insomma lo prendi per bislacco
il giudizio che diede Salomone
Io vorrei vederci l’Abate Sacco
O il nostro Presidente del rione!
In mezzo a due donnacce urlanti,
sudato, roco, stordito, stanco,
per tirar fuori l torto e la ragione
come doveva fare? Concluse per la spaccatura.
Perché, dici tu, non guardò al catasto
e al numero dell’anno e del millesimo
in tutte e due le fedi di battesimo del curato?
Ecco dove ti prenderei a botte!
Dunque non lo sapevi, eh? Che il battesimo
Fu, dopo, un’invenzione di Gesù Cristo?
La bella Giuditta (213)
Dice la Sacra Bibbia che Giuditta
dopo aver cenato con Oloferne,
spente tutte quante le lanterne
andò a mettere il soldato in garitta:
che appena lui chiuse gli occhi
tra il bere e lo schiumare della marmitta,
con un colpo da figlia di mastro Titta
lo mandò a fottere nelle fiche eterne:
e che, agguantata la testa, andò
per mostrarla al popolo ebreo
a piedi fino a Betulia.
Ecco come, Paolino mio,
si può scannare la gente per la fede,
e fare la vacca per dare gloria a Dio.
Il prestito dell’ebreo Rothschild (319)
Ma eh? Gesù Maria! Che mondo tristo!
Finchè si vede fare ai giacobini
va bene, ma un Papa deve proprio prendere soldi
da un uomo che ha ammazzato Gesù Cristo!
uh, se tornasse papa Sisto
che riempì Castel S.Angelo fino all’orlo di zecchini,
griderebbe: “Ah pretacci malandrini,
c’era bisogno di questo bell’acquisto?
Perdio, non avete tanto dii zecca
per coniare mille piastre al minuto,
senza farle venire dalla Mecca?
E con tutto questo fottuto scandalo
maneggiate a San Pietro la bacchetta
per fregare la gente senza sputo”.
Le corse d’una volta (722)
Altro che robivecchi, altro che aèo!
Don Diego che ha studiato gli animali
del Muratori, e ha letto con gli occhiali
quanti libri vecchi abbia il museo,
dice che il Ghetto adesso dà i palii
dato che anticamente era l’ebreo
il barbero di quei carnevali
a Testaccio e alla grande piazza del Colosseo.
Per farli correre, il popolo romano
gli frustava intanto il giustacuore
tutti con un nerbo o una bacchetta in mano.
E questa corsa, abbellita da questa pestata,
l’inventò un Papa, in memoria e in onore
della flagellazione di Gesù Cristo.
L’omaggio degli ebrei (944)
Vi voglio dire una fregnaccia, vi voglio.
Il giorno che a Roma viene Carnevale,
gli ebrei vanno in una delle sale
dei Conservatori in Campidoglio;
e presentato il tributo principale
per riscattarsi da un antico imbroglio,
il Haham si mette a presentare un bell’ordito
di chiacchiere vestite di morale.
Questa morale è che tutto il Ghetto
giura ubbidienza alla Leggi e manate (gioco di parole tra emanate e manate)
del Senato e del Popolo Romano.
Di quelle tre parrucche incipriate,
il parruccone, allora, che è il più anziano
alza una gamba e gli risponde: “Andate”.
Campo Vaccino (III)(Il Foro romano) (40)
Al tempo dell’Imperatore Tito,
col permesso che gli diede Dio,
mosse guerra al popolo giudeo
per castigarlo che ammazzò il Signore;
lui rastrellò l rooba dii valore
dicendo: “Cazzo, quello che è d’oro è mio”:
e gli scribi che bisbigliavano
li faceva frustare dal correttore.
Poi scrisse a Roma a un uomo dotto,
così e cosà, che costruisse un arco
con i soldi del gioco del lotto:
Se ci passarono gli ebrei! Per forza!
ma adesso, prima di passarci sotto,
si farebbero mettere i ferri dal maniscalco.
Campo Vaccino (IV) (41)
Questo candelabro sulle spalle a quello
che viene dopo quello che va avanti,
che ha sei bracci più lunghi, e tutti quanti
hanno in mezzo un braccio più corto;
quello è il grande Candelabro d’Isrele,
che Mosè fabbricò con tanti e tanti
idoli d’oro che su due elefanti
portò via dall’Egitto con il fratello.
Ora questo Candelabro non c’è più al mondo.
Per essere, c’è; ma non se lo gode nessuno,
perché sta giù nel fiume proprio in fondo.
Vuoi sapere dove si trova?
Vicino a Ponte Rotto; e se lo vogliono,
si tira su con poca spesa.
Zia Francesca al nipote sposato (72)
Dico una cosa che non è una bugia…
tu vedi che tuo figlio è grande e grosso,
e non gli fa imparare nessun mestiere?
Ma se tu muori, che cosa deve fare? La spia?
Non c’è altro che gioco, armi, osteria,
donne, sigaro… e non ci esce un soldo!
Ah, un giorno o l’altro ne farà qualcuna
da farti piangere; e te lo dice zia.
Sempre compagni! E che feccia, fratello!
Puh, Dio ce ne liberi! Gli ebrei
sono più cristiani e hanno più cervello.
Ce ne sono cinque o sei un ogni cantone:
vedi che scuola! Come dice quello?
Di’ con chi vai e ti dirò che sei.
Nono, non desiderare la donna d’altri (848)
Forse che a Roma mancano puttane
che le mignotte le vai a cercare in ghetto?
Vuoi scopare? e scopa con le tue cristiane
senza offendere così Dio benedetto.
Qua per ogni dozzine dii Romane
otto o dieci ti guarniscono il letto:
e che puoi spendere? Un paolo, una lira,
e con tre paoli hai pure resto.
Eppure tu sei battezzato, sei:
e non sai che quando uno è battezzato
non può toccare le donne degli ebrei?
E una volta che hai fatto questo peccato,
hai voglia di aspettare i giubilei:
si muore, figlio mio, scomunicato.
Le false ragioni del Ghetto (1508)
In questo io penso come pensi tu:
io odio gli ebrei più di te;
perché non sono cattolici, e perché
misero in croce il Redentore Gesù.
Chi ragionasse secondo il pensiero umano
sulla vecchia legge di Mosè,
dice l’ebreo che qualcosa c’è
per scusare le sue dodici tribù.
Difatti, dice lui, Cristo partì
da casa sua, e se ne venne qua
con l’idea di quel santo venerdì.
Dunque, seguita a dire Baruch Abbà,
visto che lui doveva morire,
qualcuno doveva pure ammazzarlo.
I due Testamenti (1543)
“Ecco”, io dissi all’ebreo: “se piano piano
vieni a dire che i tuoi comandamenti
sono uguali in tutti e due i testamenti,
per quale motivo non ti fai cristiano?
“Badonai, non è un buon ragionamento”,
mi rispose Mosè: “noi, signor Bastiano,
adoriamo Dio-padre, e il padre ha in mano
le ragioni di tutti ii parenti.
Fino al giorno che un padre non è morto,
benché abbia fatto testamento, il figlio
dipende sempre, e se brontola ha torto.
Il vostro Gesù Cristo ha il padre eterno:
io dunque, mordivoi, mi meraviglio
che possa mandarci tutti al’inferno.
La morte del Rabbino (1544)
E’ andato in paradiso oggi il Rebbino,
che sarebbe come il Vescovo del Ghetto;
e stasera alle Scòle gli hanno detto
l’ufficio dei morti e il mattutino.
Era amico del Papa: anzi, persino
il giorno stesso che il Papa fu eletto
prese la penna e gli scrisse un sonetto
scritto mezzo in ebraico e mezzo in latino.
Dunque alla sua morte il Papa
ha pianto a gocce, benché sia sovrano,
e si è sentito portar via il cuore.
Se campava un po’ più, te lo dico io,
o noi avremmo visto il Rabbino cristiano,
o il Papa andava a finire ebreo.
Il passaggio del condannato (2097)
E che novità? Uno solo è il malfattore!
Ma non erano due, mastro Giuliano?
L’altro, perché è un ebreo diventato cristiano,
il Papa l’ha voluto graziare.
E questo che muore si sa cosa ha fatto?
Nientemeno sventrò un contadino.
E l’ebreo liberato dal Sovrano?
Ha scannato la moglie con un rasoio.
Sarà stata una brutta carampana…
Oh, se è per questo era una ragazza
bella, graziosa, pulita e sexy.
Beh, e perché la scannò? T’importa tanto?
Perché non volle mai, pazza cogliona,
per dar da mangiare a lui, fare la mignotta.
Il giorno del Giudizio (273)
Quattro grandi angelicon le trombe in bocca
si metteranno uno pper angolo
a suonare: poi, con tanto di vociona
cominceranno a dire: “Sotto a chi tocca”.
Allora verrà su dalla terra
una lunga fila di scheletri curvi
cercando di riprendere la forma di persone
come pulcini intorno alla chioccia.
E la chioccia sarà Dio benedetto,
che li dividerà in due gruppi, bianchi e neri:
uno per andare in cantina, una sul tetto.
All’ultimo uscirà un formicaio
d’angeli e, come se si andasse a letto,
spegneranno le luci, e buonasera.
E’ inutile soffermarsi su Giuseppe Gioachino Belli rivolgendosi a un pubblico romano, anche perché su di lui sono apparsi numerosi e autorevolissimi studi, a cominciare da quelli di Carlo Muscetta.
Qui sono invece da sottolineare due date, quella della nascita del poeta romano, il 1791, e quella della sua morte, il 1863. Tra queste due date si registrano la Rivoluzione francese e l’epopea napoleonica: due avvenimenti che determinano un profondo cambiamento nella storia e anche nella storia degli ebrei.
Era nato da appena una settimana Gioachino Belli quando Luigi XVI di Francia, dopo avere tentato di fuggire dalla Francia in rivolta dopo la presa della Bastiglia, giurava obtorto collo fedeltà alla nuova Costituzione imposta due anni prima dall’Assemblea Generale.
E aveva appena un anno quando nasceva in Francia la prima Repubblica. Ma era già un bambino in condizione di capire quando i francesi irrompevano in Italia.
Quando nel 1815 finiva l’avventura di Napoleone e con lui sembravano crollare anche tutti gli ideali della Rivoluzione francese, Gioachino Belli aveva 24 anni.
Gli avvenimenti drammatici Belli li aveva vissuti fin da piccolo.
Nel 1798, a sette anni, Belli conosce la condizione di profugo, visto che la madre, Luigia Mazio, avendo nascosto a casa sua, nella Roma occupata dai francesi, il cugino comandante dell’esercito napoletano Gennaro Valentino, è costretta a trovare rifugio con il figlio presso il fratello banchiere a Napoli.
Valentino sarebbe poi stato catturato e fucilato, mentre ai genitori di Gioachino, dichiarati a Roma “nemici della repubblica”, vengono sequestrati i beni.
Insomma, Belli è segnato dagli eventi che si producono nel suo tempo ed è testimone della Restaurazione, quando le potenze vincitrici di Napoleone mettono indietro di decenni l’orologio della storia, riportandone le lancette a prima di quella Rivoluzione che aveva scosso troni e privilegi, dando l’avvio alla storia moderna.
Belli, nato Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo, ne ricava una insicurezza che lo porterà prima a sposare una donna di tredici anni più grande (ma con qualche solidità economica), poi ad accettare un incarico pontificio che proprio non gli si addice, quello di censore.
Lo sfogo a quest’abito stretto si riversa nei sonetti romaneschi, più di duemila, che costituiscono la sua vera grandezza, di cui però lui non si rende conto, tanto da preferire a quelli le sue ormai dimenticate composizioni poetiche in lingua italiana e da chiedere al figlio nel testamento di distruggerli, cosa che fortunatamente il figlio non farà.
Di quale sfogo si tratta i fan di Gioachino lo sanno benissimo. Il filo conduttore dei sonetti è l’ironia anticlericale (attenzione, non antireligiosa) che colpisce preti,vescovi, cardinali e gli stessi papi.
Belli vede la Roma pontificia come la sentina di tutti i vizi (che sono poi gli stessi che qualche secolo prima avevano prodotto lo scisma protestante) e raccoglie al tempo stesso gli umori della plebe romana, che è profondamente “reazionaria”, proprio nel senso che vede in ogni cambiamento, non necessariamente rivoluzionario, una minaccia diretta alla sua pur non florida condizione. Per cui quegli umori non vanno mai al di là del “mugugno” e di fatto sostengono proprio quel sistema che in Belli è l’oggetto dei suoi strali, quelli sì, davvero rivoluzionari.