Libero-Angelo Pezzana: " Oltraggio alla Shoah, rubata la scritta di Aushwitz "
La grande Menorag davanti alla knesset a Gerusalemme
a destra l'ingresso ad Auschwitz
“Arbeit Macht Frei”, il lavoro rende liberi, la macabra scritta che sovrasta l’ingresso del campo di sterminio nazista di Auschwitz, è stata rubata la scorsa notte. E’ sotto quella insegna che sono passati un milione e mezzo di persone, la maggior parte ebrei, per essere condotti a morire nelle camere a gas. Secondo la polizia la scritta è stata svitata da una parte e strappata dall'altra. "Questo furto è stato commesso da qualcuno che sapeva cosa voleva fare, che doveva sapere come entrare nel sito del museo, come rimuovere la scritta e quali sono i percorsi delle guardie notturne ", ha detto il portavoce del museo Jaroslav Mensfelt. Un furto dal significato chiaramente politico, un tentativo di aggredire, ancora una volta, il luogo per eccellenza della memoria dello sterminio, il cui nome incute dolore al solo pronunciarlo. Il primo tentativo si era verificato già nel dopoguerra, quando le autorità locali cercarono di tornare al vecchio nome polacco di Oswiecin, per cancellare, partendo dal nome, l’orrore che ricordava. Negli anni, fallito quel tentativo, e preservate tutte le strutture del campo perchè non andassero distrutte le prove di quanto era accaduto, vi furono altri tentativi di cancellare il ricordo della sua particolare spietatezza, realizzare la “soluzione finale”, lo sterminio degli ebrei d’Europa. Si cominciò, e spesso si continua tuttora da parte delle guide governative, col raccontare che in quel luogo morirono un milione e mezzo di “persone”, tralasciando di dire che erano in gran parte ebrei. E’ vero che nelle prigioni tedesche persero la vita politici, rom, omosessuali e chiunque fosse stato giudicato nemico del Reich, ma quel numero, sei milioni, pesava troppo sulla coscienza di chi aveva taciuto o, peggio, collaborato, per non cercare di sminuirne la portata. Ci fu anche un tentativo di debraicizzare Auschwitz con la costruzione di un convento di suore carmelitane, accanto al quale doveva essere eretta una croce di tale imponenza che sarebbe diventata inevitabilmente il simbolo più evidente del luogo. Per fortuna, un saggio alt, giunto infine dallo stesso Vaticano, impedì che il ricordo della Shoà venisse cancellato, per essere sostituito che un segno che avrebbe cancellato la verità storica di quanto vi era avvenuto. Adesso, un atto vile quanto maldestro – la scritta è subito stata sostituita con una copia che era stata preparata quando alcuni anni fa l’insegna era stata oggetto di restauri – ripropone un problema quanto mai attuale, il risorgere dell’antisemitismo con il nome di antisionismo, il che vuol dire continuare la guerra contro gli ebrei nell’unico modo che il mondo sembra approvare, sostituire i sentimenti antisemiti con l’odio verso Israele. Insieme a ciò, la presentabilità dell'essere negazionisti della Shoà, che infatti viene spesso visto come una espressione del libero pensiero. Il filosofo Gianni Vattimo, oggi deputato europeo per conto del partito di Di Pietro, non aveva dichiarato lo scorso anno, quando Israele era stato invitato a partecipare come paese ospite al Salone del Libro di Torino, che era ora di rileggere i “Protocolli del Savi di Sion” ? Lo Stato di Israele è nel mirino dei nuovi antisemiti, mascherati da antisionisti, che ne attaccano giorno dopo giorno la legittimità, ma il mondo sembra interessato unicamente alla costruzione di quello palestinese, poco importa se la nascita di quest’ultimo può signicare la distruzione di quello ebraico, come si augurano Ahmadinejad e i fondamentalisti islamici. Sono i sei milioni di ebrei vivi in Israele a far gola a chi ritiene che Hitler non ha portato a termine l’opera. Questo obiettivo va raggiunto per gradi, per renderlo meno evidente. E la distruzione della memoria della Shoà è uno degli strumenti per conseguirlo.